TRA
RIVOLUZIONE, SICCITA' E GUERRIGLIA (5)
Il 30 marzo
(1974) voci ad Asmara di movimenti di truppe nel confinante Tigrai,
da mettere in relazione con lo sventato tentativo controrivoluzionario,
e localmente di scioperi dei dipendenti pubblici e di quelli delle aziende;
quelli dei primi sono però proibiti il 24 aprile dal Governo,
unitamente alle dimostrazioni senza autorizzazione del Ministero degli
Interni "in conseguenza dell'aggravarsi della situazione";
il 26 sono arrestati 24 tra ex-ministri e altre personalità;
il 30 dieci arresti ad Asmara tra i dipendenti del Governatorato Generale,
lo apprendo da un ingegnere italiano che vi lavora: effettuati con autoblindo,
l'ordine viene dal Comitato di coordinamento delle FF.AA., della Polizia
e dell'Esercito Territoriale; le telefonate mediante centralino sono
interrotte; torna, nella città, la tensione.
Il 31 maggio, secondo il calendario scolastico (più breve che
in Italia), terminano al Liceo le lezioni. Dal 17 al 29 giugno esami
di maturità. Ma il 1 luglio partenza con un gruppo di colleghi
anche dell'Istituto Tecnico (non era mai capitato, almeno a quelli venuti
dall'Italia nel '68 - non credo però nemmeno agli altri), per
altri esami di maturità al Liceo Scientifico e all'Istituto Tecnico
di Mogadiscio: prima tappa, Addis Abeba, nel cui aeroporto noto i soldati
in assetto di guerra che lo presidiano; anche i poliziotti sono dotati
di mitraglietta.
Il 2 luglio, dunque, da Addis Abeba a Mogadiscio: arrivato alle 12,25
all'aeroporto, per le 13 sono al Liceo, dove la Commissione di cui faccio
parte, insieme con i colleghi locali e il presidente venuto dall'Italia,
procede alla preparazione per lo svolgimento delle prove che, iniziando
il 3, terminano il 9 (tredici candidati), lo scrutinio il giorno dopo,
che è un mercoledì: l'aereo, settimanale, per il ritorno
come per la venuta, è al martedì, devo aspettare fino
alla settimana seguente, quando, tuttavia, l'aereo ritarda di un giorno
la partenza. Faccio un'ulteriore provvista di contatti con i colleghi,
del Liceo e delle altre scuole italiane della capitale somala, e con
veterani della ex-colonia radicati in quel sole che dà colpi
di maglio sul collo, se si esce dall'ombra tuttavia densa di calore
(agognato rifugio l'aria condizionata); contatti anche con somali, di
cui i più anziani hanno vivi ricordi del periodo italiano: non
sono tuttavia gli unici, a Mogadiscio, a parlare italiano; ma negli
anni, a noi vicini, della immensa tragedia somala, mi son venuti in
mente i ragazzi senza futuro che, per la strada, mi vendevano oggetti
dell'artigianato locale o bellissime conchiglie dell'Oceano Indiano.
Il 17 luglio da Mogadiscio ad Addis Abeba; il 18 da Addis Abeba ad Asmara.
Il 19, nel pomeriggio, alla Scuola di Giurisprudenza, dove ho l'incarico
di Filosofia del Diritto, colloquio per la convalida dei voti per un
giovane proveniente da Montreal, ed un esame. Questa Scuola, unico esempio
italiano all'estero, sorse ad iniziativa di valenti avvocati della nostra
comunità di Asmara nel '45, con altra denominazione; con quella
di Scuola di Giurisprudenza è, nel '74, al suo 29° anno,
acquistando, grazie all'impegno di avvocati e altri collaboratori qualificati,
molto prestigio sia presso le autorità locali che presso il Governo
italiano, con segnalazione, da parte del Ministro della Pubblica Istruzione,
ai Rettori delle università; presso otto delle quali, mi fu riferito,
sostenuti con esito positivo ancora uno, o due (a seconda delle università)
esami particolari, gli studenti erano ammessi a quello finale con la
presentazione della tesi. In Asmara c'era anche una Scuola di Medicina,
anch'essa prestigiosa, che aveva cessato di esistere prima del mio arrivo
nel '68, con valenti Docenti, alcuni allievi dei quali ebbi occasione
di conoscere, e apprezzare, durante il periodo della mia permanenza.
Nonostante l'esenzione dall'obbligo della residenza per i mesi di luglio
e agosto, a causa degli impegni surriferiti, sono ancora nella sede
di servizio: salgo sull'aereo per l'Italia il 26, lieto per dove vado,
ma pensoso per dove devo tornare (resta, per completare il settennio,
l'a. scol. '74-'75): ad Asmara, dal 17, c'è il coprifuoco, con
inizio alle 20 fino al giorno dopo, spostato alle 22 dal 19 e quindi
alle 23 dal 24, restando immutato il termine alle 5 del mattino; in
concomitanza, il provvedimento, con l'arresto, effettuato dal Comitato
di coordinamento eccetera, del governatore dell'Eritrea, del sindaco
della città e di cinque loro collaboratori, i quali si sono costituiti
- informa lo stesso Comitato - il pomeriggio del 17.
*
Sono ancora
in Italia per ragioni di salute quando arriva la notizia della deposizione
dal trono di Hailè Sellassiè, avvenuta il 12 settembre:
punto di arrivo di quella che gli osservatori hanno definito la "rivoluzione
strisciante" dei militari etiopici, dando atto alla regia della
sua perfetta realizzazione. Tante affermazioni di fedeltà, l'interesse
del Paese dichiarato solidale con quello della Corona, pronti essi perciò
a difendere l'uno e l'altra, dissolvendo intanto, poco per volta, con
accuse, arresti, destituzioni e nuove nomine, che l'Imperatore puntualmente
firma, il semifeudale sistema di potere che alla monarchia s'appoggia,
mentre essa a sua volta ne riceve appoggio: di questo sistema vengono
bollate l'inefficienza amministrativa e la corruzione, contro la quale
i rivoluzionari in divisa, occupate il 22 giugno le stazioni radio,
diffondono un proclama, al cui effetto concorre certo l'imperversante
siccità (100.000 o 150.000 i morti?), quale verifica in rilievo
di inefficienza, nella distribuzione dei soccorsi, ai quali contribuiscono
molti aiuti affluenti dall'estero, e di corruzione, che fa prendere
ai soccorsi altre strade. L'Imperatore è tenuto fuori, come parte
lesa insieme con la nazione, da queste imputazioni, nella già
ricordata solidarietà d'interessi riconosciuta dai militari,
tornando quindi anche a suo vantaggio, al dire di questi, l'azione purificatrice
da essi intrapresa; ma con settembre cade ogni finzione: dal 1°
di questo mese anche il Negus è investito da una campagna accusatoria,
con manifesti e dimostrazioni, seguono provvedimenti per la gestione
del "palazzo nazionale" (l'ex-palazzo imperiale) e la riorganizzazione
dell'amministrazione del Paese; il 12, infine, il Comitato delle FF.AA.
si presenta a lui nella reggia non più sua, per leggergli il
riassunto delle accuse di cui quella campagna è stata la fioritura,
nel proclama della sua deposizione dal trono per corruzione e negligenza.
AI termine della cerimonia (l'istituto monarchico, per il momento, non
è soppresso), Hailè Sellassiè, nella scena finale
della grande recita, risponde con regale condiscendenza, che se questo
era per il bene del Paese - dice in sostanza nel suo breve discorso
- lui non si opponeva: risultando, questa sua deposizione, a vantaggio
del popolo etiopico, egli anzi la accoglieva con piacere.
Terminato il congedo che per necessità della mia salute ha prolungato
la mia "licenza" (secondo il linguaggio dei connazionali residenti,
con frequenti termini militari, denotante il clima in cui avevano vissuto
nell'ultimo periodo coloniale), il 26 settembre sono di nuovo ad Asmara.
Il Comitato coordinatore di FF.AA. e affini è diventato il Comitato
del Governo militare provvisorio: chi comanda è il Comitato;
dipendenti da questo "Comitato Centrale", come viene anche
chiamato, i Comitati interregionali, a comandare sugli "amministratori-capi"
(abolito il titolo di governatore, legato a tristi ricordi di sopraffazioni
e abusi) delle regioni (ex-provincie) loro assegnate. "Comitato"
traduce nella stampa in italiano di Asmara "Dergh", ma ormai
anche in essa il termine originale prevale, accompagnato ben presto,
sia per quello centrale sia per quelli dei gruppi interregionali, da
"militare": così, invece di "Dergh del Governo
militare" abbiamo "Dergh militare del Governo". Come
a sottolineare che chi comanda è il Dergh, che dal centro espande
le sue diramazioni; i Dergh periferici hanno, a loro volta, nelle regioni
di loro competenza, dei sottocomitati.
*
L'Eritrea
è ricompresa nel gruppo di regioni su cui ha autorità
il "Dergh dell'Etiopia settentrionale". In un incontro del
presidente di esso con l'amministratore-capo della stessa Eritrea (con
loro i rispettivi collaboratori) ad Asmara il 25/9, il primo dichiara
che la situazione di tale regione è uno dei problemi più
importanti dell'Etiopia. In conformità alle direttive date dal
primo ministro Amàn Micael Andòm (eritreo, "creatura"
del Dergh Centrale che lo ha scelto fuori della sua cerchia), il Dergh
del nord, dice il presidente, collaborerà con l'amministratore-capo
per risolvere pacificamente il problema eritreo. I tentativi e gli appelli,
infatti, si susseguiranno, ma siccome per gli etiopi (in questo come
nel precedente regime) la premessa per una trattativa è che l'Eritrea
è Etiopia, ogni sforzo si dimostrerà inutile, e in Eritrea,
dove - come ricorda l'amministratore-capo nella sua risposta, elogiativa
del Dergh - per molti anni è stato sparso molto sangue, sangue,
e molto, se ne spargerà ancora: fino al 1991; e la soluzione
del problema Eritrea sarà, per il lungo sacrificio dei combattenti
eritrei, l'Eritrea indipendente. Ho riportato questa notizia dell'incontro
tra l'autorità militare e quella civile dalla prima pagina del
Quotidiano Eritreo del 27 settembre; passando alla seconda, un elenco
di offerte al Comitato per l'assistenza nella regione eritrea, affaccia
al pensiero l'altra tragedia che è venuta ad associarsi alla
precedente: la siccità, burocraticamente minimizzata al suo primo
pronunciarsi, ha sempre più allargato il suo bruno ventaglio
di morte: un aggravamento, per la carestia sua conseguenza, delle sofferenze,
già fierissime, di questo popolo, provocando una partecipazione,
per l'affetto a cui hanno contribuito anni di vita tra di esso, il settennio
del mio servizio scolastico al Liceo di Asmara ora quasi al termine.
Il 7 del mese di ottobre inizia, così come in Italia, l'anno
scolastico 1974/75. Nella nostra scuola, ho l'incarico della presidenza
(ho conseguito l'idoneità per questo tipo di Istituti in un concorso
nel '68, pochi mesi prima della mia partenza per Asmara, succedendo
ora al preside di ruolo che va in pensione per raggiunti limiti di età).
È il giorno in cui, ad Addis Abeba, viene pubblicato il regolamento
della "Campagna per il progresso attraverso la cooperazione, l'istruzione,
il lavoro": non si tratta, quindi, solo di una campagna di alfabetizzazione,
sulla scia di noti precedenti nel campo socialista, ma anche, al fine
di colmare il divario fra popolazione urbana e rurale, di vario aiuto
alla portata degli alunni dei due ultimi anni delle scuole medie superiori,
"pubbliche, private e missionarie": ovviamente, alunni di
cittadinanza etiopica. Anche quelli, dunque, di quelle classi nell'Eritrea
etiopizzata; e però compresi gli alunni di nazionalità
etiopica dell'Istituto Bottego e del Liceo Martini, che sono scuole
pubbliche di un altro Stato: nonostante ciò, vengono convocati
(nel Liceo sono 4 in terza e 13 in quarta) dal Dergh. L'incontro ha
luogo il 24 ottobre presso la "Daniele Comboni", una delle
otto Scuole Elementari italiane, dipendenti dal nostro Ministero degli
Affari Esteri, in Asmara; penso, se la riunione non era in comune con
gli alunni interessati (d'autorità) di tutte le scuole medie
superiori della città, che fosse anche per quelli del nostro
Istituto Tecnico; quanto al luogo scelto, non ricordo di aver avuto
una spiegazione. Il regolamento citato parlava di obbligo; successivamente
gli aderenti alla "Campagna" (effettivi o sperati) sono presentati
quali "volontari": ma per il momento i militari ottengono
soltanto di spaventar tanto che il 29 i nostri scappano da scuola, dicono
che arriva il Dergh (hanno chiesto il permesso, per la verità:
non posso concederlo ma - rispondo - siccome non sono una guardia, non
posso nemmeno oppormi alla loro uscita); l'indomani non si fanno vedere,
tranne una ragazza, in quarta (suo padre è dipendente governativo),
e pertanto a lei soltanto posso leggere la circolare del Dergh ricevuta
in Consolato nel pomeriggio del giorno prima, da me e dal preside dell'Istituto
Tecnico: trovando con il Console aggiunto a cui sono affidate le scuole,
anche il Console Generale: se e quali commenti abbiano fatto al riguardo,
non ricordo.
*
Dopo l'interruzione
di quattro giorni (Ognissanti, Commemorazione dei Defunti, la Domenica
e l'anniversario della Vittoria nella guerra 1915-18), ripresa delle
lezioni nelle nostre scuole il 5 novembre e, in coincidenza, dimostrazione
nelle vie di studenti delle scuole etiopiche che disertano le lezioni
e lanciano sassi contro quelle scuole in cui le lezioni continuano (anche
il nostro Istituto Tecnico, con una numerosa frequenza di eritrei, ha
i vetri rotti, come altre sette scuole; il Liceo non è toccato,
ma genitori allarmati telefonano, vengono a ritirare, alcuni, i figli
in anticipo sull'orario): promotori gli universitari, che hanno costretto
all'inattività l'Ateneo; si vuole impedire il successo della
"Campagna" indetta dal Dergh; minacce sono state rivolte anche
a nostri alunni, perfino italiani, individuati per istrada dai libri
e anche, le ragazze, dai grembiuli (allora, come forse non più
nell'Italia post '68, ancora prescritto): ci viene riferito l'indomani
mattina a scuola.
La polizia, secondo la cronaca dei fatti del 5 novembre che esce solo
il 7, ha sparato colpi in aria; sulla mia agenda, alla data del 5, ho
annotato l'informazione dell'impiego di lacrimogeni: "voce"
fantasiosa? Ma della polizia, nella stessa cronaca, è inserito
un avviso: i ragazzi trovati in giro in gruppo di più di 3 saranno
considerati fomentatori di disordini, e fatti oggetto di provvedimenti.
Il giorno seguente tre nostri alunni eritrei della quarta arrivano con
mezz'ora di ritardo: fermati da militari perché in gruppo di
tre - considerata l'"attenzione" dei sorveglianti, sarà
bene accompagnarsi in due.
Il Dergh del Nord, intanto, ha comunicati minacciosi per quegli studenti,
universitari e medi, che seminando disordine cercano di impedire l'adesione
alla "Campagna", mentre è pubblicato il termine per
l'adesione stessa: 11 novembre. Per ordine dello stesso Dergh i nostri
studenti sono nuovamente convocati il 9, questa volta presso il Dipartimento
dell'Educazione e accompagnati dai genitori: lasciano il Liceo, per
recarsi all'appuntamento, alle undici; non convocata, rimane la ragazza,
unica presente degli alunni eritrei il 30 ottobre, quando mi reco nelle
classi terza e quarta per leggere quella circolare del Dergh di cui
ho già detto. Ed è questa ragazza l'unica a ritirare il
modulo per dichiarare la propria adesione alla "Campagna"
(questi moduli arrivano, anch'essi come la circolare, tramite il nostro
Consolato, lunedì 11 - l'ultimo giorno, dunque, per l'adesione
- nella tarda mattinata, sicché li posso portare nelle due ultime
classi, per verificare il rifiuto di tutti gli altri alunni eritrei,
solo nell'ultima ora di lezione).
Nel pomeriggio, arrivando al Liceo alle 16.50, sono informato del limite
per la firma di adesione: alle 17; entro tale ora, l'unico modulo firmato
è quello di quell'alunna di quarta. Due altre alunne di questa
classe, però, alle 17.35 circa, si presentano chiedendo di firmare:
io non ho nessuna difficoltà per il ritardo. E non difficoltà
quando, l'indomani, tutti gli alunni eritrei della quarta, meno tre
(due ragazzi e una ragazza), chiedono di compilare il modulo per l'adesione,
e i due presenti nella terza (dei quattro frequentanti), anche se non
subito, vengono a chiedere il modulo; le assenze in questa classe sono
di due alunne: per una di esse si presentano la madre e il fratello
informandomi che è assente per malattia. Suggerisco di recarsi
dal Dergh con il certificato medico, che hanno portato con sé:
a me la fotocopia da allegare (mi viene portata l'indomani); l'altra
alunna viene il 13, secondo giorno di ritardo, che spiega con la partecipazione
ad un funerale, chiede anche lei di firmare: non faccio difficoltà
nemmeno con lei, diventato, come il collega dell'Istituto Tecnico e
lo stesso Consolato, delegato senza entusiasmo del Dergh. Telefono al
Dipartimento dell'Educazione (non ricordo sollecitazioni al riguardo)
che entro le 17 farò avere i moduli; nel pomeriggio di domani
le fotografie ancora mancanti; e così avviene, dopo le 17 del
giorno 14, ultimo della mia partecipazione burocratica alla vicenda,
ma non di quella affettiva, che coinvolge l'intero Liceo.
*
Questi nostri
alunni sono passati dalla paura di certe conseguenze, a quella di altre,
apparse più temibili, cedendovi, ad eccezione di quei tre (da
ammirare, se invece di paure hanno valso motivi ideali), dopo strenua
resistenza nell'avversione istintiva. Ma i firmatari dell'adesione hanno
continuato a frequentare le lezioni, e parimenti i due ragazzi e la
ragazza che avevano rifiutato, fino alla cessazione di esse il primo
febbraio del 75, quando i patrioti eritrei attaccarono Asmara. E così
nell'Istituto Tecnico. La caratteristica di scuole pubbliche di un altro
Stato, per giunta utili e molto apprezzate, ha infine difeso quegli
alunni.
Arresti e nomine come nel periodo precedente, quando li si faceva firmare
dal Negus: la libertà, che viene proclamata, non può contraddire
la filosofia dell' "Ethiopia Tikdèm" (l'Etiopia innanzitutto),
per la quale si svolge intanto in Etiopia una capillare opera di propaganda,
come possiamo vedere, da parte del Dergh dell'Etiopia settentrionale,
nell'Eritrea, che rientra nell'ambito interregionale, come s'è
detto, della sua autorità. Il favore che gode il termine "filosofia"
presso i rivoluzionari per indicare i principi del loro movimento, rimanda
alla formazione di questi "intellettuali in divisa", come
sono stati chiamati, a quella istruzione universitaria che è
stato uno dei pochi successi del riformismo dell'ex-imperatore.
Dal 16 ottobre il coprifuoco inizia a mezzanotte, per una decisione
del Dergh Centrale riguardante tutta l'Etiopia, "perché
la situazione dell'ordine e della sicurezza è andata migliorando":
la popolazione ha dimostrato rispetto e ha dato la sua piena collaborazione.
Chi non collabora e, anzi, contrasta, incorre nelle sanzioni. Per giudicare
i maggiori responsabili, è pronto il Tribunale supremo militare
del Dergh Centrale, davanti al quale e al primo ministro Andòm
i giudici scelti a comporlo prestano giuramento il 28 ottobre (ma verranno
costituite anche Corti marziali distrettuali). Il 22 novembre il Quotidiano
Eritreo dà in prima pagina, con grande rilievo, la notizia da
Addis Abeba della emanazione di un nuovo Codice penale per il processo
dei funzionari di governo in attesa di giudizio; inoltre, di un nuovo
codice di procedura penale; infine, di nuove misure per l'ordine pubblico:
nessuna data, né per la corrispondenza, contrariamente all'uso
allora ancora seguito, né per i documenti riportati.
Il giorno dopo, sabato 23, sessanta tra civili e militari sono passati
per le armi ad Addis Abeba: condannati e giustiziati - secondo l'annuncio
dato dal Governo il 24 mattina, alle 8.30 - quali colpevoli di malamministrazione,
di ingiustizia e corruzione ai danni del popolo etiopico. Nella lista
c'è anche il primo ministro Andòm, preventivamente destituito
il 23, come informa radio Addis Abeba alle 20 dello stesso giorno, elencando
le otto ragioni di tale provvedimento, che posso riassumere in quella
del suo sganciamento dal Dergh patrono del Governo. Secondo le precisazioni
fornite dallo stesso Governo il 27, Andòm sarebbe morto nella
sparatoria seguita al suo rifiuto di arrendersi, quando sono andati
a cercarlo nella sua residenza. Ne prende il posto il generale di brigata
Tafarì Bantì, anche lui scelto dal Dergh all'esterno:
l'elezione, col giuramento del neo-eletto, avviene il 28 novembre.
*
Impressione
enorme, all'interno e all'estero. Il Dergh Centrale respinge le preoccupazioni
espresse dal presidente dell'Uganda Amìn in un telegramma, assicurando
(la risposta è del 29, ed è riportata dal Quotidiano Eritreo
il 30) dell'ordine e sicurezza in Etiopia, dove il movimento delle FF.AA.
ecc. gode dell'appoggio di tutto il suo popolo, in vantaggio del quale
sono i principi della filosofia rivoluzionaria dell' "Ethiopia
Tikdem"; il generale Andòm ha tradito; quanto all'Eritrea,
avere espresso un parere favorevole alla sua separazione, oltre a denotare
"mancanza del senso di responsabilità, rappresenta un atto
deliberatamente commesso per turbare la situazione interna di una nazione
sorella" (cit. pag. 1); dopo aver detto che l'Eritrea è
la culla della civiltà etiopica. Poi è la volta dell'ONU,
a nome della cui Assemblea Generale Kurt Waldheim invia un messaggio:
a questo altro telegramma, del 27 novembre, la risposta è inviata
il 3 dicembre, a nome del Consiglio (altra traduzione di "Dergh")
del Governo militare provvisorio, dal Presidente Tafarì Bantì,
mentre ad Amìn aveva come firma "Il Dergh" dello stesso
Governo; la posso leggere, in una corrispondenza da Addis Abeba del
5, sul Quotidiano Eritreo del 6 dicembre. In questa risposta al Segretario
Generale delle Nazioni Unite il tono è molto educato, ma la sostanza
è la stessa della precedente: se ad Amìn non si mancava
di sottolineare il rispetto da parte dell'Etiopia ai principi della
Carta dell'Unità africana, a Waldheim è ricordato, da
Bantì, come il Consiglio abbia "ripetutamente affermato
la sua dedizione e la sua fede nei nobili principi contenuti nella 'Carta'
dell'ONU": il rispetto dei diritti dell'uomo è lo scopo
principale della filosofia fondamentale dell' "Ethiopia Tikdèm"
(cit. pag. 1). Ricorre anche qui il confronto tra la precedente "era
di oppressione" (id. c.s.) e la nuova, inaugurata dalla rivoluzione,
in cui sono garantiti regolari processi per i detenuti e il loro umano
trattamento. Quindi, "con rispetto all'Assemblea generale, il CGMP
desidera dichiarare che l'appello dell'Assemblea generale è stato
piuttosto ipotetico per quanto riguarda l'azione futura del CGMP, basato
su errate ipotesi, frutto di false e tendenziose notizie giornalistiche":
sull'eliminazione dei sessanta senza processo neanche una parola (cit.
pag. 2).
Bantì firma questa risposta come presidente del Consiglio del
Governo militare provvisorio, cioè del Dergh; ma il vero capo
del Dergh è il maggiore Menghistù Hailemariàm,
che diventerà anche di nome il capo dello Stato nel '77, dopo
che Bantì fu ucciso dai fautori di Menghistù durante una
riunione del Dergh. Ma Bantì, l'11 dicembre, convoca giornalisti
nazionali ed esteri (dall'estero anche televisioni), non solo per lodare,
a nome del Dergh, i servizi di questi ultimi per l'obiettività
- tranne alcune eccezioni, esortando in proposito a non prestar fede
a tendenziose voci allarmistiche, per avere il Governo il controllo
della situazione, conseguendone la tranquillità del popolo etiopico
- ma anche per parlare, questa volta, di quella sentenza senza processo
del 23 novembre. Dice che è stato necessario ricorrere a una
"decisione politica" (già cosi qualificata nei primi
annunci dell'eccidio), per sventare un complotto "preparato nel
luogo dove i condannati avevano ricevuto i trattamenti più umani
che potevano essere loro riservati" (cit. a pag. 2 del Quotidiano
Eritreo del 12 dicembre, nell'articolo che comincia nella prima). Per
gli imputati in carcere, trattati bene, e con possibilità per
i familiari di portar loro cibo e vestiario, Bantì informa che
è iniziato il loro regolare processo davanti alla Corte militare
suprema e davanti alle Corti militari inferiori.
*
Il Natale
cattolico è sincronizzato con quello capto, in una intenzione
ecumenica: va perciò al 6 gennaio, spostando di altrettanto l'Epifania:
ma non si può evitare, nelle famiglie italiane, che il 25 dicembre
suoni in cuore. Falliti i tentativi di domare con la persuasione la
guerriglia, il Dergh dell'Etiopia settentrionale, in un comunicato pubblicato
il 24, annuncia di aver perso la pazienza, dopo il fallimento degli
appelli alla pacificazione ("etiopica"), quindi ora i "fuorilegge"
saranno oggetto di "provvedimenti", al successo dei quali
la popolazione è invitata a collaborare. Il comunicato (sul Quotidiano
Eritreo ha l'inizio sulla prima e la continuazione sulla quarta pagina,
che è l'ultima) cosi termina: "Chiunque rifiuta di collaborare
o di dare informazioni sulla presenza dei fuorilegge nei suoi dintorni,
sarà responsabile delle conseguenze che potranno derivare dai
provvedimenti che verranno presi per l'eliminazione dei banditi. Ethiopia
Tikdèm" (cit., pag. 4 sulla prima pagina, le tre colonne
dell'inizio s'inseriscono, in basso tra le altre - tutte dedicate al
solenne inizio della Campagna d'istruzione ecc., con due fotografie:
una, relativa alla cerimonia in Addis Abeba, con Banti in primo piano
e, in secondo piano, alla sua destra Menghistu, primo vicepresidente,
e dall'altro Iato il secondo vicepresidente; l'altra, recante in primo
piano la foto del vice-amministratore capo della regione eritrea, relativa
a quella in Asmara; nella seconda pagina, impegnano cinque delle sue
sette colonne la continuazione del testo e altre quattro foto: tre di
personaggi e l'ultima della parata al suo inizio nello stadio sportivo,
per poi continuare nelle vie della città; la cerimonia, ovviamente,
riguarda gli effettivi partecipanti alla "Campagna", e non
quei nostri alunni (qui riferendoci ad ambedue le Scuole, Liceo e Istituto
Tecnico, di cui si è già discorso). Il Dergh non perde
tempo: lo stesso 24 della pubblicazione del comunicato si scatena una
repressione, con seguito il 25, nella quale vengono uccise persone per
strangolamento (circolano varie ipotesi: alla maniera - non ricordo,
se mi è stata raccontata, quale sia - usata dai Galla, quindi
- è l'immediata illazione sono le truppe (i Galla - chiamati
anche oromo - gruppo etnico al quale appartiene Menghistù, in
verità non costituiscono l'intero contingente etiopico presente
in Eritrea, tuttavia questo gruppo etnico sta scalzando il tradizionale
predominio in Etiopia degli Amhara: nei comunicati si vedono affiancati
non più soltanto l'amarico e il tigrino, ma anche l'oromonico;
traboccati in Etiopia da sud-est nel secolo XVI, pur essendo un popolo
pastore che non conosceva ancora i metalli e il cavallo, i Galla vi
ebbero una rapidissima e larga espansione; non dimostrando ancora di
aver rimontato del tutto lo scarto di civiltà rispetto ai cristiani
e ai musulmani, con i quali la loro invasione li mise in contatto);
oppure, quegli strangolamenti di veri o presunti collaboratori del Fronte,
con una pinzetta (variante: pinzetta con la pila, dall'effetto fulminante)
alla carotide, e questa è la congettura prevalente; oppure, ultima
ipotesi, con filo di ferro; e allora questo modo avrebbe dei precedenti:
il primo di cui fui informato, riguardava otto giovani; ma i militari
che li avevano uccisi, seppi ancora poco tempo dopo, a loro volta furono
trovati morti, conferma che il servizio informazioni della guerriglia
è anche in città efficientissimo - però ora si
parla di un filo di ferro estratto dall'orologio ... riferisco per dare
un esempio della fantasia che galoppa sotto la sferza degli avvenimenti
in corso, dei tanti che potrei portare: come accade in genere nelle
emergenze.
*
1975! L'anno
del mio ritorno, compiuto che sia, col 30 settembre, il mio impegno
settennale all'estero: tutto qui in Asmara, senza trasferimento ad altra
sede, dopo il triennio d'obbligo nella prima residenza. Che sarà
un anno per niente noioso, come tutti, senza nessun piacere, pensano,
fin dai primi di gennaio ce lo confermano le bombe che scoppiano nel
Municipio di Asmara il 5, domenica e vigilia del Natale copto (con cui,
come s'è detto, è sincronizzato il Natale cattolico).
Il 7 è il giorno della ripresa scolastica, dopo le vacanze del
periodo: è, quindi, martedì; il martedì della settimana
seguente, 14, giusto quando varco l'entrata della Posta tre esplosioni
che si succedono all'interno fanno vibrare la soglia sotto i miei piedi,
mentre esce fumo. Me ne vado e ritorno un po' più tardi, ma rinuncio
ad entrare quando vedo davanti all'entrata che una decina di soldati
in assetto da combattimento ne è il presidio. L'indomani, alla
Posta vedo in riparazione le cassette postali, quelle grandi in basso,
danneggiate dalle esplosioni: non molto devastanti, allora; sennonché,
quelle cassette, sul lato destro del corridoietto dell'angusto locale
posto subito a sinistra dell'entrata dell'edificio postale, stanno proprio
di fronte a quel tratto del Iato sinistro dove, in alto, sta la mia
cassetta. Cosa dire? - che son molto contento di non essere entrato
con qualche secondo di anticipo.
Da questo 15 passiamo al 16 giorno del secondo convegno, il pomeriggio
dalle 15.30 alle 17.30, con i parenti degli alunni del Liceo. Un connazionale
dopo i colloqui con i professori di sua figlia, si congeda formulando
auguri per me che faccio il preside in questi momenti difficili. Alle
19.20, quasi a premurosa conferma, un'esplosione. Il 20 due esplosioni
in lontananza, come colpi di cannone, alle 15.50; il 22, invece, alle
13 circa un forte scoppio nelle vicinanze: telefonate di due genitori
(una madre eritrea e un padre italiano) in ansia per la rispettiva prole;
il padre ha, qui da noi, una figlia, mi prega di non farla attendere
il suo arrivo: da lui apprendo che una bomba ha ucciso, nel parco del
"Palazzo" (del governatore italiano nei tempi coloniali, poi
delle autorità sopravvenute, secondo le vicende dell'autonomia
e della sua soppressione da parte del Negus), situato a breve distanza
dal Liceo, un "meschìn", uno dei tanti ragazzi che
stanno sulla strada a mendicare, che forse, rinvenuta la bomba, l'ha
maneggiata. Non sento più esplosioni fino alla fine del mese.
Ma già il 20 io annotavo come già ho riferito, la previsione
udita dello scontro tra combattenti del Fronte ed esercito etiopico
"per fine gennaio": una previsione esattamente verificata
dai fatti.
La sera del 31 gennaio, trovandomi ancora al Liceo, comincio a sentire,
alle 19.20, uno sparo; due minuti dopo ne seguono altri tre; alle 19.28
una serie di quattro esplosioni dietro il Liceo;alle 19.43 scarica di
colpi; altri colpi (posso contarli di nuovo: cinque) alle 19.50: questo
momento è annotato ancora nell'agenda '75 per quel giorno, come
quello della partenza, seguito da quello dell'arrivo alla pensione (dove
mi sono trasferito, nel '74, dopo il rientro in Italia di mio figlio
nel '71 e di mia moglie nel '72), alle 20.10: venti minuti nella sera
ormai buia e piovigginosa, per le strade deserte, solo due soldati che
verificano la mia carta d'identità (quella fatta arrivando al
mio primo arrivo ad Asmara, come d'obbligo) poi, proseguendo lungo il
solito percorso, colpi, raffiche, scoppi, e bagliori vivissimi che si
levano dietro basse e prossime case, finché arrivato ad una piazzetta
che ha al suo angolo un posto di polizia donde la violenza a vista e
udito per l'azione in corso è veramente forte, sono costretto
a cambiare la parte ultima del mio cammino: devo però attraversare
un larghissimo viale, tra un crepitare incessante di colpi che sento
sempre vicinissimi: arrivato alla pensione, picchio al cancello in lamiera,
infine un giovane in servizio alla pensione, che mi riconosce, perché
grido anche, per farmi sentire nel fracasso che circonda, e mi intravede
tra cancello e pilastro, con simpatica prontezza ed esclamando il suo
riconoscimento, mi apre. È cominciata la "guerra" di
Asmara, come poi l'hanno chiamata gl'italiani residenti. Ma è
cominciata anche la vicenda che porterà al minimo la loro residenza
nella città e nel territorio.
*
Tuttavia,
dopo alcune ore, tutto finisce, e la notte ristabilisce il suo silenzio.
La mattina, 10 febbraio, la vita, per chi è rimasto vivo e indenne,
riprende; nostri alunni, nonostante tutto, arrivano al Liceo: non sono
molti, in verità. Sono presenti i professori. Calma in tutti
ma, sotto l'apparenza, in tutti c'è tensione. In queste condizioni,
sentiamo, poco dopo le otto, il primo dei colpi di cannone che continuano,
a intervalli, fino alle otto e cinquanta. Le telefonate degli allarmati
genitori si susseguono, quelli provvisti d'auto accorrono, non appena
cessa il rumore delle cannonate, per portare a casa i figli, quelli
che rimangono vi sono portati con l'auto dai professori e professoresse
che ne dispongono: entro le nove è completato lo sgombero (gli
alunni uscendo fanno il segno della croce). Dopo che ho autorizzato
il bidello presente ad andarsene anche lui, con un arrivederci (quanto
mai ottimistico) per l'indomani, sto per uscire anch'io quando - sono
le 9.25 - sento, discretamente forte come i precedenti, un altro colpo
di cannone; altre cannonate, ma più lontane, alle 9.30; e un
minuto dopo, vicinissime, esplosioni di bombe e scariche di mitraglia.
Purtroppo (è il momento di dire "purtroppo") il Liceo
si trova non solo, così come il nostro Consolato, nelle vicinanze
del "Palazzo", ma anche del complesso di edifici dell'amministrazione
regionale, con un giro di caserme tutt'intorno. E anche noi ci stiamo
in mezzo. Bombe e mitraglia continuano, aumentando d'intensità,
"voci" di diversi calibri insieme cospirano, mentre sto seduto
su una sedia nel punto creduto (chissà con quale ingenuità)
più sicuro, a produrre nella mia mente una specie di ebbrezza:
mi pare di avere nella testa una massa dilatantesi sempre più
contro un leggerissima involucro sempre più vicina a rompersi,
mentre il frastuono, dopo una flessione, arriva al parossismo alle 10.15;
viene a mancare la corrente. Cannonate a ripetizione alle 10.20, e fine
del concerto alle 10.37: poi solo qualche raro colpo lontano. Quanto
alla frequenza, l'anno scolastico 1974-75 è finito.
In Consolato apprendo la morte, stamane, del padre di un'alunna di quarta,
uccisa da un soldato nella sua panetteria (varie ipotesi, in Consolato
e fuori, del motivo; oltre alla panetteria in Asmara, aveva un'azienda
agricola nel bassopiano). Apprendo anche il ferimento del marito di
una nostra professoressa. Questa, dopo avere encomiabilmente collaborato
con i colleghi e le colleghe, come lei con l'automobile, per il trasporto
alle loro case di quella parte degli alunni rimasta nel Liceo. Era passata
dall'ufficio del marito, secondo l'abitudine quando consentito dall'orario,
e con lui arrivando a casa, il marito (di madre italiana ma di padre
eritreo) stava per aprire la porta; in quel momento, da un autocarro
di soldati che stava passand, era partita una raffica, colpendolo al
braccia destro, e quei saldati ridevano, aveva riferito la consorte.
Ora suo marito era all'Hospitem, l'ospedale italiano già dell'INPS,
scritta ancora figurante sopra l'entrata. In esso, come seppi ancora,
era ricoverato anche un mio ex-alunno, diplomato da qualche anno, ferito
invece ieri sera; l'amico che era alla guida dell'auto su cui si trovava,
non avendo inteso il "Kum!" (alt) di un soldato, non si era
fermato, una raffica era stata la conseguenza.
Il mio ex-alunno era stato colpito al petto da due pallottole e un'altra
gli aveva spezzata una gamba (trasferito in seguito all'ospedale di
Addis Abeba e ivi operato: ma per la pallottola alla base dell'emitorace
destro, di più difficile estrazione, è necessario il trasporto
in Italia, che però avviene solo alcuni giorni dopo la prima
operazione, l'11 febbraio: nonostante le sue condizioni serie anche
se non eccessivamente preoccupanti, è bloccato anche lui dalle
remore opposte dal governo ai profughi intanto arrivati da Asmara, per
il timore di questi testimoni diretti della reale portata dei fatti,
che provocano la fuga in massa degli stranieri, e che esso invece vorrebbe
occultare). I casi dolorosi riferiti, con la morte di una persona e
il ferimento di altre due, mentre toccano la comunità italiana
di Asmara, interessano, come si vede, in vari modi anche il nostro Liceo.
Ma quanti altri dolori, da ieri sera, in Asmara.Quanti cadaveri, se
invece di girare a sinistra per tornare alla pensione, avessi girato
a destra, avrei trovato, a poca distanza, su quella strada costeggiante
il "Palazzo". Ma anche tra la popolazione, apprenderò
in seguito, già in questa prima giornata i morti sono a decine.
Pagano con la vita, inoltre, diversi guardiani che cercano di opporsi
all'ingresso nei luoghi loro affidati di soldati predatori: notizia
anch'essa di oggi, è stato ferito quello di un cotonificio (industria
italiana di primaria importanza) e un portiere del CIAAO, un albergo
della catena con tale sigla, è stato ucciso, intanto che sfasciato
l'albergo. Agli italiani danneggiati non resta che sperare nel risarcimento
da parte del nostro governo - ne ho veduti alcuni, che nelle vie ormai
deserte facevano fotografare i loro negozi con le saracinesche ingobbite
e divelte. Nei giorni seguenti, però, a dar man forte alla polizia
contro il perpetuarsi di queste violenze alle persone e alle cose, affluiranno
dai centri minori i "commandos" antiguerriglia; il giorno
4 sentirò voci di scontri già avvenuti e di cui è
prevista la continuazione: "Staremo a vedere", conclude la
mia nota in tale data.
*
E per concludere
quella prima giornata straordinaria nella vita di Asmara, spari intervallati
vicino e qualche cannonata lontano (sono ancora in Consolato, dove resterò
fino alle 15) riprendono dopo le undici e mezza; dalla pensione dove
sono poi tornato registro una nuova sparatoria alle 17.40; dopo le 18,
un paio di colpi di diversa forza precedono una serie di scoppi che
comincia alle 18.25; ma dalle 18 Asmara è chiusa in casa (o presso
la Cattedrale, anche in altre chiese, e istituzioni religiose, rifugio
dei fuggiaschi da zone periferiche investite dai combattimenti) per
anticipazione locale del coprifuoco alle 18.
Il 2 fuoco nutrito dalle 10.15; lo avverto dalla pensione: non era il
caso di andare al Liceo; quanto al bidello, al quale avevo dato, nella
pausa dopo le prime cannonate, un "arrivederci" troppo ottimistico,
penso naturalmente che non ci sia andato; riprendo ad andare al "Martini"
il giorno dopo, senza però vedere né lui né alcun
altro del personale, già il 1° tutto assente tranne lui fino
alla mia partenza per Addis Abeba il 14, dopo quella del corpo insegnante.
Dalla mia camera al piano superiore della pensione osservo caccia-bombardieri
che passano in direzione sudovest: è il primo giorno di intervento
dell'aviazione etiopica, che prende di mira qualsiasi assembramento,
nelle immediate vicinanze della città, oltre a due villaggi a
questa prossimi; mi accade di osservarli ancora l'indomani, sempre in
quello spazio a nord-ovest; vicini tanto da poter nettamente distinguere,
il giorno 2, sull'ala di uno di essi l'esplosione della carica di lancio
e lo staccarsi del missile, prima del suo rapido sparire alla vista.
Ritiratisi i combattenti del Fronte dal centro, gli scontri continuano
nella periferia settentrionale e in quella meridionale; i morti giacciono
insepolti, tra le case abbandonate, né so dire quando si sia
provveduto. Per noi vivi, già dal giorno 2 alcuni negozi riaprono:
ci sono eccezioni, ma i prezzi salgono, la vendita è a esaurimento
delle scorte (quelle però nei frigoriferi rimasti senza corrente
sono inutilizzabili), ma non si formano code; ci sono invece davanti
a magazzini, dove, si presume, si vende la dura e altri cereali di produzione
locale, a prezzi inferiori. Nella difficoltà a trovare negozi
di viveri aperti e ancora provvisti, si è grati del dono: la
mattina del 3, uscito dalla pensione per recarmi, come ho già
detto, al Liceo, mi accorgo mentre passo davanti alla Cattedrale che
ho dimenticato le chiavi, e li c'è il parroco, che non mi lascia
tornare a prenderle senza avermi fatto dare carne in scatola, biscotti
e due bottiglie di latte; è poco, anche se gli ospiti della pensione
non sono molti; ma, come diceva un contadino dalle mie parti, il poco
si conta. E sono grato al barista italiano di mia conoscenza che (dopo
essermi già felicemente rifornito di carne e patate al mercato)
trovo il giorno dopo davanti al bar, chiuso, e che mi porta in casa
sua poco distante, dove mi rifornisce con generosità del suo,
facendomi pagare al prezzo di costo. Adesso non voglio dimenticare di
dire che, mentre parlavo col parroco, un connazionale che passa in auto
gli comunica: "Siamo tutti nazionalizzati", facendo seguire
notizie sulla nazionalizzazione delle industrie. La conferma a "Radio-sera"
delle 21.30 (equivalenti alle 19.30 in Italia) - siamo diventati tutti
assidui ai notiziari italiani -, con la precisazione che le industrie
nazionalizzate in Etiopia (di cui i combattenti del Fronte stanno dimostrando
da presso di non voler far parte) sono 73.
Bimbi randagi (pochissimi) - annoto inoltre in questo giorno 3 - mendicano
ancora nelle vie (cfr. la mia poesia "Bambini
ad Asmara", rievocante il tempo prima della "guerra",
in cui i bambini mendicanti erano molti), ma i mendicanti adulti sono
più numerosi e assillanti. Dalle 23.50 del 3 alle 0.10 del 4
scoppi e poi mitraglia.
Per l'acqua andiamo bene, nella pensione: c'è un pozzo, nel cortile;
rassicura vedere il padrone che, per rimetterlo in uso, vi cala una
specie di larga e spessa pastiglia depurativa, così possiamo
aspettare il ritorno del vitale elemento dai rubinetti; ritorno che
avviene, gradualmente, tra il 6 e l'8. Per un professore del Liceo,
e per la sua persona di servizio, nei giorni dell'attesa l'acqua a disposizione
è stata quella della vasca da bagno, in cui stavano già
immersi i panni da lavare, fortunatamente per loro non ancora a contatto
con sapone o detersivi.