Ho
letto che in Brasile
le mamme mendicanti
i bimbi abbandonano
a tre anni,
cerchino da sé;
ma in Asmara
io vidi:
ancora incerti
sulle piccole gambe,
correr veloci
tuttavia
al mio fianco,
sull'alzato braccino
tesa la palma,
come gli occhi,
a chiedere;
né voce
al chiedere
davano.
Tasca nei miseri stracci,
dove il soldino riporre,
non so dove avessero;
sandali ai piedini
mai io vidi che avessero.
Alcune ne vidi
come di notte dormivano:
da poco io in Asmara,
giravo instancabile,
ecco del primo memoria
ancora mi assale,
è ricordo
incancellabile.
Notturna
era l'ora,
radi
i passanti, ormai,
nel corso principale:
il corpo accartocciato
appunto diceva tre anni,
seduto sul gradino
di un duro portone,
invisibile il volto
chiuso ai ginocchi
tra le serrate braccia;
tirato fino ai capelli
il largo bavero
del maglioncino, dono
per l'Epifania
di un comitato
|
di
italiane in Asmara.
Non so qual migliore rifugio,
come mi auguro, avessero
altri, dei molti,
tenere avanguardie
del grande questuante esercito,
ogni giorno all'attacco:
arrancando, per la polio,
tanti sulla stampella.
Dal silenzio alla parola,
nel loro precario crescere,
per dire, in italiano:
"Dammi cinque, dammi cinque"
(centesimi, il
soldino),
o, nel locale idioma:
"Bascìsc, bascìsc"
(la mancia),
o a ripetere
l'amara qualifica:
"Meschìn, meschìn, meschìn";
e io dalla
storia, che pure
in Asmara insegnavo,
l'eco nei millenni
vi sentivo
del babilonese termine
significante
semilibero,
libero
per colpe decaduto
o affrancato schiavo:
"muskinu";
"maskini ",
oggi, nome è dei poveri
in Kenia: per quanti modi ancora
esso riceva, l'Africa
tutta percorre il termine
che, nelle varianti,
sempre dice miseria
(Italia anch'essa raggiunta,
perfino le patrie lettere
hanno un
"Guerino
detto il Meschino"):
a me, là in Asmara,
questa insiem con l'altre
supplici parole
ritmando quotidiana
|
pena
in quei sette anni,
e ancora in cuore ora.
Vidi
i ragazzi grandi,
che insieme nei cantucci
delle vie si ammucchiavano
(la notte è anche al tropico
fredda, sull'altopiano);
e seppi anche del turno
che tra loro facevano
stando, or sopra il mucchio,
a fare da coperta,
ora sotto, al caldo.
Infine in età robusta,
insonni, tra loro, gli audaci
di notte arrotondavano
col furto: di giorno
in qualche spazio
concesso da vie o giardini
distesi e sonnecchianti
qualcuno me l'indicava.
Poi venne l'"Ethiopia Tikdèm",
la rivoluzione,
del mio settennio al termine.
Tornato alle men fiere
sponde del nostro affanno,
seppi come risolto
Menghistù avesse il problema:
ammazzando la gente mendicante.
Così anche in Asmara.
C'era, per loro, una casa,
notturno riparo, non altro:
forse anch'essa, mai frequentata,
divenne sui miseri accusa;
e quale
per le giovani leve,
sotto i miei occhi,
in sett'anni, cresciute
in vie e piazze di Asmara,
quale fu l'età minima?
Quanti di loro scamparono?
E torna,
sul gradino
del notturno viale,
quel piccolo bambino:
memoria più forte
il primo.
LINO
PESCE
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