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Le mani nel cassetto del Chichingiolo
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NELLA RIVOLUZIONE (6)

Per la ripresa dei voli bisogna aspettare il 12 aprile, dopo ventidue giorni di sciopero. Questo sciopero, la cui conclusione interessava tanto a quanti, come noi nelle scuole, erano in Eritrea non residenti, ebbe dunque termine ben oltre la composizione dello sciopero generale intervenuta tra il governo e la CELU (la confederazione sindacale etiopica), e che il Negus ratificava la sera del 10 marzo. Anche lo sciopero degli insegnanti si protrasse oltre questa data, però non di molto: i 17.000 insegnanti (del complessivo ordinamento che, diversamente dal nostro, non si suddivide in elementari e medie) tornano alle aule il 20 marzo. Essi avevano dato inizio, contemporaneamente ai tassisti di Addis Abeba, alla novità assoluta, per l'Etiopia, dello sciopero il 18 febbraio. Continuava ancora, invece, lo sciopero nell'Università "Hailè Sellassiè I della Capitale di docenti e studenti, in attesa di una risposta alle loro richieste.
Ma se i tanti timori, che all'annuncio dello sciopero generale avevano indotto molti dei residenti italiani a farsi scorte di viveri, come tante altre volte, essendone testimone, in precedenza - così ad esempio in occasione delle visite del Negus, con speciale certezza, qualche volta, di attentati che non si verificarono mai, nemmeno quindi le temute conseguenze di disordini e reazioni delle autorità; inoltre, questa volta, portandoli a far la coda davanti alle banche (ma c'erano, in Asmara, anche italiani senza conti in banca: di quelli, più frequentemente, nati da unioni con eritree, talvolta precarie; e altri italiani, tra cui ex militari non tornati in Italia, ridotti in povertà); se questi timori, dunque, sembravano non aver avuto conferma, le cose, come si andavano svolgendo, non li dissipavano; e non solo per il riaccendersi degli scioperi.
È una girandola che scoppietta per tutta l'Etiopia, quella degli scioperi: Stato, parastato, settore privato. Come motivi prevalenti, il miglioramento delle retribuzioni e quello delle condizioni di lavoro, richieste che in genere vanno in coppia; molto frequente però è un altro motivo, associato ai precedenti o che si presenta unico: il rifiuto di chi comanda, accusato di incapacità o di corruzione (ma queste accuse vanno volentieri anch'esse in coppia); ricorrono anche accuse di prevaricazione e altre ancora; e se ne chiede la destituzione. Questo ai vari livelli della pubblica amministrazione ma non solo di essa. Quando non ricorre allo sciopero, questo rigetto dell'autorità ritenuta indegna si esprime in esposti, petizioni, riunisce in cortei a volte imponenti gente di categorie diverse con la frequente partecipazione di studenti dei vari ordini di scuole; rivolgendosi all'autorità superiore, fino al governo, e allo stesso Imperatore. L'Eritrea non va esente da questo fermento; e i timori degli italiani che in essa si trovano (e anche di quelli, meno numerosi, sparsi per l'Etiopia, certamente) non sono solo per gli scioperi, ma per tutto questo ribollire, in cui si muove il nuovo potere dei militari. Gli scioperi rientrano in una preoccupazione più ampia, riguarda il momento politico.

*

Il 26 marzo, a scuola, voci di movimenti di militari e polizia. Nel primo pomeriggio, mi telefona un italiano residente, di quelli venuti per la conquista dell'Etiopia e poi rimasti: "Non vada. Oggi tira vento". È un'informazione da fonte "competente", aggiunge. Dalle 16 alle 18 c'è, al Liceo, il ricevimento dei parenti degli alunni per il periodico contatto sull'andamento. Ci vado, portato in auto dal collega ora preside incaricato dell'Istituto Tecnico, al quale prima ho telefonato, così come al mio preside, per comunicare l'informazione ricevuta.
La sera precedente, lo stesso Negus, in un discorso radiotrasmesso, aveva dato notizia dell'ordine da lui impartito, di effettuare un'indagine sulla condotta degli ex-ministri e - si noti - di quelli del governo attualmente in carica; la sera di questo 26 dei timori Radio Etiopia aggiunge l'informazione: il Negus ha ordinato che si faccia un'inchiesta sui funzionari di grado elevato "per accertare che non abbiano accumulato dei beni illecitamente e che non abbiano sperperato denaro pubblico"; ordinando anche che la Commissione d'inchiesta venga istituita entro l'indomani.
Questo è interessante, dando dimostrazione della presenza politica dei militari, ma non sembra dar ragione dei timori sopradetti; però, a distogliere dal giudizio di infondatezza dei medesimi, il giorno seguente, 27 marzo, Radio Etiopia, nella sua trasmissione in inglese, riferisce di un comunicato delle Forze Armate apparso su un giornale della Capitale; il 28 lo si può leggere anche in italiano sul "Giornale dell'Eritrea" ("Il Quotidiano Eritreo" anch'esso in italiano ma appartenente alla stampa governativa, per lo sciopero della tipografia non esce, come altri due giornali di tale stampa, dal 26; lo sciopero terminerà il 29). Dopo una premessa sulla necessità di attendere i risultati dell'inchiesta circa lo sperpero e l'appropriazione indebita fondi pubblici di funzionari governativi, o su loro illeciti arricchimenti, il comunicato delle Forze Armate informa che esse - trascrivo testualmente - "avevano sventato un tentativo di creare della confusione ed iniziare dello spargimento di sangue nel Paese". Nessuna informazione sulle persone implicate; ma il comunicato prosegue diffidando il pubblico contro quelle che esso "ha definito bugie propagandistiche, incluse le pretese che tutto l'Esercito appoggiava la cospirazione, che è considerata dalle Forze Armate come pericolosa per la pace e l'ordine del Paese. Le Forze Armate affermano che il cambiamento con successo è avvenuto senza alcun spargimento di sangue e che esse veglieranno sempre sulla popolazione per salvaguardarla dagli orrori di uccisioni in massa. Il comunicato ha detto - così termina la notizia di "Addis Zemén" ("Nuova Gazzetta"), il giornale di Addis Abeba, riferita da Radio Etiopia - che la mancanza della legge e dell'ordine servirà solo agli interessi dei nemici esterni dell'Etiopia".

LA "GUERRA" DI ASMARA, A MEZZO DELLA VIA DI SANGUE PER L'INDIPENDENZA (7)

Gli italiani, la maggioranza di essi composta da quei residenti che amavano ricordare i tempi in cui, in Eritrea, ci si poteva mettere a dormire sotto una pianta, in aperta campagna, senza alcun timore (ovviamente, delle bestie avrebbero potuto anche averlo) - gl'italiani, ora, riempiono di facce ansiose il Consolato, impazienti per il ritardo dello sgombero, ne fanno responsabili i funzionari, che invece fanno le notti bianche per affrettarne, nell'ambito delle loro competenze, l'effettuazione; fino a quando l'ambasciatore ad Addis Abeba ottiene gli aerei: ne arrivano tre, con i quali il 6 parte per la capitale etiopica il primo gruppo (la precedenza a donne e bambini); il 7 il secondo gruppo, sempre su tre aerei. Ma ci sono quelli che rinunciano alla partenza, pur dopo la prenotazione, per timore di disordini in Addis Abeba, dove ci son stati attentati. In Asmara, dopo l'arrivo di notevoli rinforzi, minaccianti ad un certo momento di tagliare la strada, a nord della città, per Cheren, gli etiopi si sentono più tranquilli, sì da togliere, in questo stesso giorno 7, il blocco alle vie d'uscita. Prova ne è anche la riattivazione dell'aeroporto, dopo i violenti combattimenti svoltisi nella zona.
Già il 9, per ordine arrivato nel tardo pomeriggio del giorno prima dal Consolato, al Liceo abbiamo insaccato tutti i documenti scolastici: gli scrutini di quest'anno dimezzato (la chiusura del primo quadrimestre è stata giusto al 31 gennaio) si terranno ad Addis Abeba, per il Liceo e l'Istituto Tecnico. Tra il 1 e il 12 parte quasi tutto il corpo insegnante delle due Scuole. Tra i ritardatari ci sono anch'io: ma ecco che veniamo a sapere della cessazione dei voli!
Il valido titolare dell'agenzia eritrea a cui son solito rivolgermi si dà da fare, e riesce ad ottenerci un charter (sospiro di sollievo dei ritardatari) per il 14. Il quadrigetto decolla alle 11.45, lascio la città che rivedrò ancora, dopo la parentesi addisabebina, ma ora non so ancora quando. I patrioti dovranno camminare per una via di sangue ancora molto lunga, fino al 1991, anno in cui vi entreranno, ultimo spazio d'Eritrea non ancora occupato, il 24 maggio, nel collasso della guarnigione etiopica, parte di quello generale del loro esercito, venuto a mancare il sostegno sovietico, per l'azione congiunta del Fronte eritreo e di quello sorto in Etiopia contro la dittatura di Menghistù, che allo sfascio diede l'impulso finale con la sua fuga, avvenuta il 21 maggio. La lascio con i suoi morti, quelli delle due parti combattenti che hanno coperto, oltre le sue vie e piazze, anche le campagne intorno, e quelli della popolazione civile, in città e fuori: per la rappresaglia contro i collaboratori, veri o sospettati tali, ma anche indiscriminatamente, compresi i bambini. La lascio con i suoi vivi in pericolo, più o meno prossimo: basta essere usciti di casa, e trovarsi tra tutti quegli uomini armati. Sfuggono al pericolo di morir di fame i mendicanti che ho visto accoccolati, lunga fila sul marciapiede contro il muro presso la Cattedrale, al suo interno rifugio (come ho già detto), ai senza tetto dei quartieri devastati dai combattimenti: soccorsi quei mendicanti, come questi rifugiati, dalla carità dei Cappuccini, tra i quali gli italiani provengono dalla Provincia religiosa di Milano - uno di essi è il parroco della Cattedrale, a cui ho già fatto accenno; attivo nel bussare alle ditte alimentari, attivo nel distribuire, lì alla Cattedrale e altrove. La lascio, Asmara, con il ricordo di quel furgone, di quelli che in Italia hanno smesso di circolare parecchi anni fa, ma che gli anziani ricorderanno: il loro nome è ora passato ai telefoni tascabili, allora i cellulari, con angusti finestrini rettangolari in alto, due per fiancata, erano autoveicoli destinati al trasporto dei detenuti; un furgone di quelli, residuo del periodo coloniale, lo vidi, un giorno di questa prima metà di febbraio, mentre passava in centro, e nello stretto spazio del finestrino anteriore sulla fiancata sinistra, schiacciate con il palmo contro il reticolo della grata, occupandola tutta strette come sono l'una all'altra, delle mani: a un dito di una di esse c'era un anello d'oro. Quel muto linguaggio ... Ma da Asmara porto un altro ricordo, dopo quello ora raccontato di persone in pericolo; è un ricordo, questo, al singolare, ed è una storia di segno opposto alla precedente: la ragazza, di cui per strada mi parla uno studente, italiano di madre eritrea, dell'Istituto Tecnico (dove, oltre che al Liceo avevo insegnato storia in una classe), deve temere non dai soldati etiopici, ma dai patrioti eritrei. Ho già parlato del rapporto, non solo di simpatia, degli studenti eritrei del "Bottego" con la guerriglia; questo rapporto è tale, che molte cose che la riguardano, non solo in Asmara ma anche nelle zone in cui si svolgono gli scontri, vengono risapute, né a quelle di fuori è di un qualche ostacolo lo schieramento etiopico. In città si svolge la guerra delle spie, con i suoi morti. La ragazza, m'informa lo studente, è una spia degli etiopi. Tutto si riduce al fatto che si è innamorata di un ufficiale dell'esercito occupante? O c'è in lei anche la convinzione che l'Eritrea è Etiopia? In questo caso la dichiarazione di Bantì, semplice ripetizione di quella dell'ex-Negus, "A noi interessa l'Eritrea, non gli eritrei", non fa rimescolare il suo sangue eritreo? Inutile porsi degli interrogativi, anche se tenta l'ipotesi di un'adolescente soggiogata da un esperto agente del servizio informazioni. Sapevo chi era, lavorava quale commessa nel negozio di articoli fotocine indicatomi dallo studente, dove acquistavo pellicole. Una bella ragazza sui vent'anni, in un'avvincente esattezza delle membra disposte nella sua media statura, il volto anch'esso perfetto dimostrava grande sensibilità; seria e rispettosa, non sorrideva: lo sguardo sembrava denunciare, dal profondo, qualcosa che gliela impediva. E così era.
Questa ragazza aveva continuato nella sua attività di informatrice a danno dei compatrioti, pur dopo numerose ingiunzioni, per telefono, di smetterla: altrimenti, la morte. "È già nella lista..." mi riferiva lo studente, con un grande scontento nella voce, derivante dalla comunanza eritrea nella madre. Un altro ricordo, di questa prima metà di febbraio, che mi segna.

*

L'Asmara che lascio è presentata, a "Radio-sera", già nella trasmissione del giorno 8 (siamo sempre assidui, come ho già detto, ai notiziari italiani), come una città ormai avviata verso la normalità, anche se alle 0.05 siamo stati svegliati da un rombo di cannonate, forte pur non essendo vicinissimo, seguito dal crepitio, anch'esso udito distintamente, della mitraglia. Era pero dalla notte tra il 3 e il 4 che (come gia riferito) non si sentiva fracasso di armi; ma dopo lo strepito antelucano dell'8, noi dalla città registriamo, il 1, una ripresa, più violenta per quel che sapremo poi, dei combattimenti (avendo il FPLE - Fronte Popolare di Liberazione Eritreo, che con il FLE compone il Fronte della guerriglia - respinte le iniziative per una tregua). Tuttavia, nei giorni che restano fino a quello della mia partenza, non si sentono più rumori della "guerra" (ho già detto che questa definizione è stata data dai residenti italiani a quanto è accaduto, città e dintorni). L'11 riapre la Posta; nella mia cassetta, trovo una busta con una lettera di mia moglie e una di mio figlio (scritte il 26, bollo di partenza il 27: lettere ancora ignare delle novità). Gli aerei per Addis Abeba sono potuti arrivare e ripartire dal 6 al 12, anche se dopo s'è rimediato solo un charter: Asmara verso la normalità? Anche se i guerriglieri tornano alla precedente strategia, se si pon mente alle truppe concentrate, con forte aumento, nella città e nel dintorni, e a quello che fanno (non unico esercito, al mondo, ma questo non consola le vittime), di cui ho riferito qualche esempio, la risposta è triste per me, anche se per il momento a questa Asmara, mia da più di sei anni, mi sottraggo: normalità di violenze.
L'aereo atterra ad Addis Abeba alle 12.40. Il circolo "Juventus", ritrovo degli italiani residenti nella Capitale etiopica, è saturo degli asmarini (e altri italiani d'Eritrea) sfollati in precedenza: vedo molti miei alunni, e loro familiari. La prima sistemazione, anche per noi ultimi arrivati, è presso i connazionali, tra i quali è stato diffuso l'appello da parte delle nostre rappresentanze. Dei cinque aerei militari inviati dall'Italia, apprendo, due sono ripartiti ieri per l'Italia con il primo gruppo; altri due (dei tre rimasti che abbiamo visto all'aeroporto arrivando) partono oggi; l'ultimo domani: tolte infine dal governo etiopico tutte le remore. Non dovute soltanto, queste remore, alle preoccupazioni per l'uscita dai confini di testimoni diretti della gravità di una questione, quale quella eritrea la cui stessa esistenza si vorrebbe negare (come ho già riferito a proposito dell'ex alunno costretto a soffrire anche lui, e più di tutti, per la gravità delle sue condizioni); ma anche per quell'accertamento fiscale preteso per ogni partente, nonostante la garanzia del nostro ambasciatore, a nome del governo italiano, per ogni eventuale credito dell'erario etiopico che risultasse per qualcuno.
Tra i connazionali già partiti o in partenza, ce ne sono di quelli che l'Italia la vedono ora per la prima volta, ma anche per molti di altri il nostro paese è un'avventura; e se una parte dei profughi vuole tornare, altri che non vogliono dovranno. Ma ci sono anche coloro per i quali Addis Abeba è solo luogo di scampo dall'emergenza, per tornare ad Asmara il più presto possibile.
Presso la famiglia che mi ha accolto resto una settimana; poi, nonostante le cordiali istanze a rimanere, mi trasferisco in un albergo e, infine, nella pensione tenuta da una ex-soprano italiana la cui voce, quando ride, è una sonora cascata: così, dal 6 marzo fino al mio ritorno ad Asmara il 10 aprile vi matura la nuova amicizia con alcuni colleghi delle Scuole italiane in Addis Abeba che mi ci hanno invitato.

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Nella Capitale l'inizio del coprifuoco è ancora a mezzanotte; ma per entrare nei pubblici uffici, banche, anche grandi alberghi (per me, come per gli altri giunti da Asmara con i parenti in Italia, o dovunque fuori dei confini etiopici, è importante la Posta, dove ci rechiamo subito per ristabilire i contatti con i nostri cari), bisogna lasciarsi perquisire dai soldati posti all'ingresso. Al Municipio, staccionate allo sventramento da parte a parte in seguito ad attentato. Ma non mancano le feste, in Addis Abeba, con cortei, bande musicali, cartelli, bandiere, rossi stendardi tesi su asta orizzontale, un cerchio con simboli al centro, e tanta polizia con mitragliatrici sulle camionette: così il 2 marzo, per la rituale commemorazione della battaglia di Adua, e per quella, fresca di regime, poco dopo, il 5, per la nazionalizzazione della terra; in aprile, quella del giorno 6 per la vittoria del 1941 (determinante, in verità, per la sconfitta delle nostre truppe, l'esercito inglese, e secondario il contributo della guerriglia etiopica pur mai cessata), con cerimonie varie e concorso numeroso di reparti dell'esercito.
Intanto noi delle Scuole italiane di Asmara facciamo gli scrutini, finali a metà dell'anno scolastico per causa di forza maggiore. Essi consistono nello stampigliare sui documenti, per ciascun alunno, le istruzioni ministeriali che dichiarano chiuso l'anno scolastico al 15/2 e promosso l'alunno stesso: ad eccezione, s'intende, degli alunni dell'ultimo anno che, tuttavia, sono tutti ammessi all'esame di maturità (una commissione esaminerà quelli qui sfollati, un'altra quelli rimasti ad Asmara).
Tutti, noi delle Scuole di Asmara, a disposizione del Consolato di Addis Abeba (nella sua funzione di Provveditorato agli Studi) per le supplenze nelle nostre locali: tra le quali, tuttavia, l'unico Istituto medio-superiore è quello Tecnico per Ragionieri e Geometri "Galileo Galilei" (dove anche noi del Liceo di Asmara abbiamo fatto gli scrutini).
lo però chiedo il permesso di tornare ad Asmara per la tempestiva spedizione delle masserizie, in vista del ritorno definitivo in Italia: le notizie di là pervenute - sparatoria nella mattinata del 21 febbraio, e "grande pirotecnia" nella notte tra il 26 e il 27 dello stesso mese - non mi trattengono, semmai è il contrario. Riesco a partire, dopo vari tentativi (il fallimento dell'ultimo non dipende da disfunzioni d'agenzia ma dall'inversione di rotta dell'aereo, che dopo venti minuti dal decollo è di nuovo su una pista dell'aeroporto di Bole), la mattina del 10 aprile.
Ad Addis Abeba non tornerò più: il Console Generale, che al mio arrivo colà avevo trovato intento all'organizzazione dell'esodo e che ora trovo ad Asmara, dove è rientrato non molto prima di me, esclude senz'altro il mio ritorno nella Capitale etiopica, essendo io l'unico presente in sede (permanendo gli altri presidi ad Addis Abeba, dove funziona un Ufficio Stralcio) a poter provvedere, quale presidente di commissione o commissario, agli esami e - dove occorre - agli scrutini, nelle Scuole del territorio: verrà infatti dall'Italia solo un presidente per il Liceo (nella cui commissione sarò commissario); la Scuola Media ha una sezione staccata anche a Decameré; a Massaua esiste una Scuola Media legalmente riconosciuta.
A Massaua, nella Scuola "S. Francesco d'Assisi" dei Cappuccini, sono commissario governativo, prescritto per le nostre Scuole all'estero così come in patria, per la verifica dei documenti, assistente poi agli scrutini circa la regolarità loro e, nella terza, per quella dell'ammissione all'esame di licenza; della cui commissione, sempre secondo le norme, sono inoltre presidente (vi fui già, in questa scuola, con le stesse funzioni, nel '69, e allora come adesso in maggio, ma con uno spostamento, ora, verso la metà del mese, terminando qui, al livello del mare, le lezioni alla fine di aprile, con l'abbreviazione di un mese dell'anno scolastico, a cagione del caldo che, aumentando, rende impossibile agli alunni la fatica scolastica).

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Nella prima metà di giugno, sono presidente della commissione alla Scuola Media "Alessandro Volta" e contemporaneamente membro della commissione al Liceo (a questo impegno ho già accennato) per l'anticipazione dalla solita data al principio della seconda metà del mese. Dalla metà del mese sono presidente per le due commissioni di Maturità Tecnica, Commerciale e per Geometri, perdurando ancora (fino al 19) gli esami alla Scuola Media, la quale, in Asmara, oltre alla sede centrale ha tre sezioni staccate: della quarta a Decameré, s'è già detto. Gli esami, per disposizione ministeriale, sono in tutte le scuole solo orali per gli alunni interni, mantenendosi gli scritti per i privatisti, così come nella Scuola Media legalmente riconosciuta di Massaua. Presente alla coscienza di tutte le commissioni l'anno scolastico dimezzato e le perduranti cause del dimezzamento, nel giudizio finale che dà il diploma di maturità o di licenza a tutti gli alunni esaminati, tranne pochi casi (un solo italiano tra essi) alla Scuola Media "Volta"; per gli scrutinati delle classi inferiori non ho ricordi, ma penso che le cose siano andate in modo analogo.
Asmara si ripopola alquanto, in questi mesi che restano al mio ritorno in Italia (non ancora definitivo) il 22 luglio, alcuni tornati già prima di me da Addis Abeba. Tornano anche dall'Italia, via via; ma per quanti ne tornino, non raggiungeranno la metà degli sfollati di febbraio: una comunità già ridotta, negli anni precedenti, specialmente gli ultimi, dallo stillicidio delle partenze, con la sempre più frequente apparizione, sul "Giornale dell'Eritrea", dei saluti per chi resta. Nella città ancora molto silenziosa, rintronano ogni tanto degli spari: contro gli etiopi, o loro collaboratori, spesso informatori; o contro i loro avversari; qualche volta sparatorie, anche di notte. La lotta che si svolge nel territorio registra pesanti perdite per gli occupanti, che reagiscono incendiando, mediante attacchi aerei, i villaggi. Chi ha dato da mangiare a un guerrigliero busca mesi di prigione; infermieri con ricoverati in ambulatorio, nei villaggi dove esso esiste, sono uccisi insieme a loro: è proibito raccogliere i feriti del Fronte, ma quest'ordine, di per sé inumano, comportava una verifica per escludere errori? C'è da dubitarne. In Asmara, del resto, i soldati, o poliziotti, accorsi in un bar dove erano stati appena uccisi due giovani, uccidono tre dei presenti e ne feriscono un quarto, gente che non c'entrava per nulla. Non si sbagliano, invece, etiopici e soci, quando il 30 maggio impiccano, al mercato, un capo dei patrioti, che dalla città inviava istruzioni a quelli fuori: prima dell'esecuzione disse che non gl'importava di morire, perché moriva per la libertà dell'Eritrea.
Il sospetto rivela il timore che domina Asmara. Nelle autorità: il parroco della Cattedrale viene interrogato per quattro ore in Polizia circa le sue attività a favore dei poveri; anche la signora, presso la quale aveva affittato una casa per sistemarvi degli assistiti, è interrogata a lungo. Risultato otto giorni dopo: da quella casa gl'indigenti sono costretti a uscire, e vengono alloggiati in una pensione. La vicenda si svolge dal 30 aprile all'otto maggio; il 26 di questo mese ho la notizia che il grano inviato ai missionari per i poveri, è sequestrato dall'autorità etiopica a Massaua. Ad Asmara ispezione ai depositi presso la Cattedrale e istituti religiosi, e militari agli ingressi: non si può più prelevare, le distribuzioni di viveri sono vietate, non solo per i religiosi, ma anche per altre iniziative, sorte anch'esse per la scarsezza, da tempo, di rifornimenti alimentari: timori aumentati nei poveri, numerosa parte di Asmara; mancano verdura, farina, latte (non ricordo se o cosa sia mancata nella mia pensione: in ogni caso, non abbiamo sofferto la fame).
Ma chi non teme la fame ha pur sempre da temere, in Asmara. Partecipe anch'egli del timore universale nei confronti delle truppe, come dimostra lo spostamento dell'inizio del coprifuoco (non molto generoso) dalle 18 alle 19.30, a partire dal 16 aprile: pochissimi ne approfittano, e con sospetto. Appunto: il sospetto che rivela il timore. La normalità di violenze continua, qualcuno purtroppo se ne dimentica, come due guardiani usciti nel cortile dove sono entrati per rubare dei soldati: ad uno viene spaccata la fronte col calcio del fucile, l'altro è ferito con la baionetta. Ugualmente dimentichi coloro che vanno a denunciare furti patiti: se insistono a dire che sono stati i soldati, sono duramente picchiati e assaggiano anche la prigione; ne fanno esperienza anche dei connazionali. Ma caso più grave è, per gl'italiani, l'arresto per comportamenti in favore degli indipendentisti, anche solo per un sospetto.

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Due notizie, in questo periodo successivo al ritorno da Addis Abeba, suonano lietamente al mio orecchio, in mezzo alle altre normalmente spiacevoli. La prima, che la compagnia aerea etiopica ricomprende, dopo la lunga interruzione in seguito alla "guerra" di Asmara, questo scalo nei suoi voli per Roma (non riprende ancora, invece, l'Alitalia). Non sarà più quindi necessario imbarcarsi ad Addis Abeba. La seconda lieta notizia è che il 6 giugno si riapre alla navigazione il Canale di Suez: le mie masserizie, a spese del Ministero nel ritorno a fine servizio come all'andata, invece dei tre mesi impiegati in questa nella circumnavigazione del Continente, arriveranno molto più presto, dopo la lunga interruzione in seguito alla guerra del '67 tra Egitto e Israele che ora, finalmente, termina; ne beneficeranno, inoltre, le copie del libro, che uscirà a fine mese, quando alcune faranno a tempo, così, a comparire nelle vetrine delle librerie. Sotto il titolo "Immagini e pensieri", sono in esso raccolti gli asterischi nel "Giornale dell'Eritrea" e quelli successivi (il quotidiano della comunità italiana esce fino al 31 gennaio, così come "Il Quotidiano Eritreo" ma, a differenza di questo, che ha una ripresa da aprile, con quella data termina, nella rarefazione del suo pubblico): collaborando anche con articoli a quel giornale; e questo è stato, insieme alle conferenze, il mio contributo culturale nella città, così come quello, per articoli e conferenze, di altri docenti. Da questo libro quello, con lo stesso titolo, pubblicato dall'editore Rebellato nel 1980.
Nel corso della settimana precedente a quella della mia partenza, che avviene martedì 22 luglio, si esaurisce il gas in bombole, l'unico ad Asmara, e dal 20 è esaurita anche la benzina. Chissà come troverò questa città, quando tornerò per completare l'ultimo anno scolastico del mio settennio: interrotte le lezioni, altro lavoro non è restato che spedire i certificati richiesti dai Licei in Italia dove si sono trasferiti i nostri alunni; tuttavia la mia responsabilità di preside rimane finché farò le consegne al mio successore: perché, nonostante tutto, il Liceo continuerà.
Il 22, quando alle 12.41 l'aereo si alza dalla pista, nel bagaglio della mia memoria c'è un ulteriore carico per gli anni a venire, quasi completo rispetto al totale, dunque, essendo questo il mio penultimo ritorno. Ci sono i connazionali che continuano a raggrupparsi nella casa di qualcuno di loro per passarvi la notte, c'è la gente che fugge agli spari, tante cose viste, altre sentite raccontare, altre ancora sentite raccontare e poi anche viste: raccontata e vista, sia prima che dopo le informazioni, però, la commessa che faceva la spia, a me nota per essere stato, come ho già detto, nel suo negozio; e solo ora, la rivedevo.
Si avvicinava, in direzione opposta alla mia, in uno dei giorni dopo il mio ritorno da Addis Abeba, sul marciapiede del corso principale (ex-Hailè Sellassiè), raccontando tutto di sé in un eloquente silenzio, senza avvedersi di me che la stavo incrociando: non poteva, infatti, accorgersi di nessuno, presa com'era in un sorriso di tenera compassione verso se stessa. Aveva un molto dolce sorriso di ironia su quell'aspettativa di vita, impeto naturale della giovinezza, che ormai più non la riguardava. Porto confitto in me, mentre sotto l'aereo rimpicciolisce quella terra di sangue che è ora e per ancora molto tempo l'Eritrea, il sorriso di una ragazza sulla sua condanna a morte: quel sorriso che, in quel momento di radi passanti, nessun altro ha visto; e forse nessuno, nei brevi giorni che le restavano. La notizia dell'avvenuta esecuzione mi giunse infatti poco tempo dopo.
Mi trovavo in Italia quando il 12 settembre dello scorso anno, Hailè Sellassiè fu deposto dal trono; mi trovo di nuovo in Italia quando l'ex-imperatore, da allora prigioniero dei militari, il 27 agosto muore. Su quella morte, per cause naturali secondo l'annuncio, ci sono molti dubbi. Ero in quinta elementare quando la nostra guerra contro di lui del '35'36 ci diede il suo nome; ad Asmara ebbi occasione di vederlo diverse volte, nelle sue annuali visite, sull'ultima delle quali nel '74, ho riferito; ma ci furono anche altre occasioni.
Sono di nuovo in Asmara dal 5 settembre; giusto in tempo: l'indomani l'aeroporto è chiuso. Non per molto, però; è riaperto almeno dal 9, quando partono persone di mia conoscenza.

*

Ritrovo in Asmara la tensione in cui l'ho lasciata, anche se i colpi di arma da fuoco che sento, nel periodo che termina con la mattinata del 9 ottobre, giorno della mia partenza (in ritardo per le lungaggini burocratiche), sono limitati a otto giorni, compresi tra l' 11 e il 20 settembre; ma la preoccupazione per i rifornimenti è sempre un altro coefficiente di tale tensione, forse accresciuta: il 29 mattina, quando la bidella arriva al Liceo, "Così non si puo andare avanti", è la conclusione ad ogni notizia di viveri irreperibili e vane attese per la carta annonaria che mi dà (per quanto mi riguarda, debbo ripetere il già detto per il periodo precedente: nella pensione in cui sono tornato, non ho sofferto la fame).
"La pace! il popolo eritreo adesso non cerca che la pace", mi dice un connazionale di madre eritrea, che questo popolo lo conosce. Da questo profondo desiderio sorgono, come succede in con simili condizioni, le voci sicure dell'epilogo imminente, preconizzando il collasso del governo di Addis Abeba; donde, intanto, giungono notizie di disordini.
Le esecuzioni sommarie da parte dei guerriglieri e dei loro avversari sono, in realtà, molto più numerose, in Asmara, degli spari da me avvertiti; a piedi, allontanandosi poi con calma, qualche volta in bicicletta, e anche in auto i primi, con un'apposita macchina nera i secondi, per cercare di contrastare quelli.
Questa nera automobile io non l'ho mai vista, ma una volta l'ho sentita passare ... non per il rumore del motore. È il 16 settembre, e sono al Liceo: dopo che, nella mattinata, ho ancora ricevuto qualche alunno ritardatario, di quelli rimasti o rientrati in Asmara, per la restituzione di libri della biblioteca, al pomeriggio vi ritorno. Il Liceo dà, con una porticina laterale, su una breve via che costeggia, dopo di esso, il Consolato, col quale fa angolo sul corso, che ho gia descritto, delimitato sul Iato opposto dalla cinta del "Palazzo": nella quale un cancello, vigilato da una sentinella, sta esattamente di fronte a quella breve via. Alle 16.30, da essa, il rumore di due spari in successione; dopo un intervallo molto breve, un colpo fortissimo. Scendo, un fila di gente guarda d'in cima alla via, mi volgo a guardare dove guardano: quasi al termine di essa, un giovane giace col ventre sull'asfalto, le braccia lungo il corpo e così le mani con le palme rivolte in alto, le gambe strette l'una all'altra; sull'asfalto la testa poggia con la guancia destra, gli occhi sono chiusi: i molti poliziotti subito accorsi, schierati su ambo i Iati della via, lo stanno osservando. Secondo il racconto di uno di quelli che hanno seguito dalle ampie vetrate al primo piano del Consolato la scena, la macchina nera ha sorpassato il giovane, quindi da un finestrino è spuntata la pistola dei due colpi in successione: il giovane si è arrestato chinandosi con le mani portate al petto; allora la sentinella, puntato il fucile in direzione del basso ventre di lui, ha fatto partire quel colpo che io avevo sentito fortissimo e il giovane è stramazzato. Solito a passare per quella strada per recarmi al Liceo, ogni giorno che poi la percorro, compreso quello della mia partenza per l'Italia, il sangue della pozza e del ruscelletto colato per la curvatura della via fino al suo margine, lasciato lì a seccare, impronta intensa che solo molto lentamente si attenua, mi ferisce: una pena propria a quest'ultimo periodo, come altre ai precedenti, per segnare la mia memoria.

*

Comincia ottobre e, come ho già detto, sono ancora nel bosco fiorito (significato di Azmarà, con la zeta, da cui il nome italianizzato), in cui adesso fiorisce la violenza. In questo mese cessa anche la pubblicazione del Quotidiano Eritreo il cui ultimo numero esce il giorno 3 (nel penultimo c'è la notizia dello stato di emergenza in Addis Abeba e dintorni, mirante a "stroncare tentativi reazionari"): questo giornale, successore di varie altre testate, tutte tra loro concatenate, col primo inizio nel periodo coloniale, nelle sue quattro pagine (ridotte a due alla ripresa di aprile, poi di nuovo, ma parzialmente, in maggio, per le difficoltà di rifornimento della carta), oltre alle notizie dall'interno forniva validamente quelle dall'estero, riferendo non solo i fatti della politica, ma anche eventi e problematiche nei campi della cultura e dell'arte, i progressi della scienza e i loro riflessi sul presente e sul futuro dell'umanità. Non trascuravano certo, gli italiani a cui era dovuto questo foglio italiano solo per la lingua in cui era scritto (per la delicatezza di questa particolare condizione, il loro nome non compariva su di esso), di far giungere ai lettori, eritrei e italiani, le informazioni sul contributo del nostro Paese a quei valori di civiltà (affiancandosi per questo aspetto all'opera meritoria del "Giornale dell'Eritrea"), mentre l'articolo di fondo cercava, con la perseveranza di una coraggiosa saggezza, di indurre alla riflessione sulla concretezza dei problemi e sul costo delle soluzioni, uscendo dall'entusiastico e inerte fantasticare.
Ma questo 3 ottobre è anche il primo giorno del nuovo anno scolastico: la carica di speranza, racchiusa in questo inizio, s'incarna, per me, mentre sono per strada, in due bambine, una eritrea e l'altra italiana, che procedendo affiancate si stanno avvicinando, nei loro grembiulini nuovi o freschi di bucato: la violenza dell'urto, che sento dentro di me, di quella carica contro il cumulo di affliggenti esperienze è tale, che non reggo e piango.
Le Scuole elementari italiane, tutte statali, a una delle quali si stanno dirigendo le due bambine (vicine, per l'età che dimostrano, al compimento del secondo ciclo), già arrivate, nella città, al numero di otto (rilevo da "Istituzioni scolastiche italiane all'estero", Roma, 1970, a cura del MAE), per lo sconvolgimento intervenuto subiscono ora una grande riduzione: per l'esodo delle famiglie italiane ma più ancora, penso, per quello delle nostre insegnanti, e conseguenti disposizioni ministeriali. La rete delle nostre Scuole elementari nel territorio scomparve totalmente; e tutto il complesso delle nostre istituzioni scolastiche (statali e private - per la maggioranza di quelle fuori di Asmara, le private erano le elementari presso le Missioni), fino ad allora il nostro più importante all'estero, come ho avuto occasione di dire alla fine della seconda puntata di questa serie, continuò in dimensioni più limitate. Continua, cambiato il nome, il Liceo (da "Ferdinando Martini" - lo scrittore e uomo politico che fu commissario civile dell'Eritrea dal 1897 al 1900 - a "Gugliemo Marconi"); parimenti l'Istituto Tecnico "Vittorio Bottego" e Scuola Media "Alessandro Volta" e le due Scuole elementari residue.
Negli ultimi giorni di quest'ultimo periodo, si addensano i commiati. Rivedrò, in Italia, solo alcuni degli amici che mi son fatto qui, nell'ambiente scolastico e fuori di esso. La mattina del 9, giorno della partenza, il mio saluto al Liceo: al preside mio successore (che rivedrò in patria), ai docenti e agli alunni nelle classi; rivolgo un saluto e un augurio, cominciando da essi, a quelli della prima, che sono tutti eritrei. Quando arrivai in questo Liceo, ce n'erano pochi e, tranne qualcuno di altra nazionalità (in questa città che, per quanto ridotta di popolazione, era sempre, certo col preponderante apporto italiano ma anche con altri, talora non esigui, cosmopolita), la grande maggioranza era appunto di italiani; ma poi gli eritrei, via via, aumentarono: ora tutta questa classe. Un Liceo italiano per l'Eritrea. Così è tuttora, come per le altre Scuole italiane sopra menzionate, in regolare ripresa per l'a. scol. '75/'76 il 3 ottobre; anche se, per esse e per il Liceo, con incaricati, per il momento, locali, tuttavia culturalmente provveduti e responsabili, in sostituzione del personale di ruolo rimpatriato.
L'aereo della conclusione, per me, alla fine della mattinata di questo 9 ottobre in cui, al Liceo, gli alunni già miei hanno visto la mia commozione, invano tentando io di celarla, l'aereo dunque, arrivato da Addis Abeba regolarmente, in cui salgono con me sette anni (con brevi interruzioni: troppo brevi!) "eritrei", si leva alle 11.39 dalla pista ma, è la prima volta, per un buon tratto vola molto basso, e agevolmente distinguo le capanne e i cortili: come a imprimere meglio in me il ricordo di questa terra. Il suolo dell'Africa lo tocco ancora al Cairo dove, anche questo per la prima volta, cambio aereo: da quello etiopico, che in questo volo non prosegue, a uno della TWA; sul quale, il mattino dopo, con sosta nell'aeroporto di Atene più lunga di quella, il giorno prima, a Khartum, concludo il mio servizio all'estero (non ve ne saranno altri), posandosi l'apparecchio sulla pista all'aeroporto di Fiumicino alle 11.10. L'Italia è intorno, oltre che dentro; ma dentro, per non uscirne più, anche l'Eritrea.

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Caro lettore, era già per me una cosa straordinaria andare in Africa; in una sua parte, poi, che fin dall'infanzia aveva in me risonanze, per esser fatta presente dalle vicende della nostra storia intrecciate alla sua. Ci sono andato, per giunta, in un periodo particolare che ha ancora accresciuto la straordinarietà di quella esperienza: associando al primo significato della parola, di novità attraente, quello della tensione drammatica. Già nel primo significato, se la nostra umanità è sana, la diversità è accolta con partecipazione cordiale; ma nel secondo, la drammaticità delle condizioni attraversate da un popolo intensifica la partecipazione, l'assunzione nella nostra della sua umanità.
Vorrei tanto esser riuscito, almeno un poco, a far partecipare anche te.
Un mondo è entrato in me, in quei sette anni. Questa rievocazione me lo ha reso più vivo nella memoria e nell'affetto: i bambini mendicanti in Asmara, dei quali ho parlato nella già citata poesia, - quelli di essi sopravvissuti, ora sono uomini, spero in migliori condizioni di allora; ma altri bambini, in Asmara, hanno bisogno.
Mi dirai che non solo in Eritrea. Vero, ma è pure vero che c'è anche l'Eritrea. Chi ha la sensibilità atta a cogliere l'immenso clamore della povertà che si leva dai continenti, per tale sensibilità è anche in grado di distinguere in esso, io credo, il grido che sorge dall'Eritrea, ancora alle prese con i disastri della guerra trentennale contro l'ingiusta occupazione da parte dell'Etiopia, terminata vittoriosamente ma sanguinosamente nel '91. La follia della guerra tenta ancora i governanti dell'Eritrea e dell'Etiopia? Ma ì bambini non ne sono colpevoli. E nemmeno i miseri di qualsiasi età. Se ti hanno interessato, caro lettore, gli articoli di questa serie ora arrivata a compimento, ne ho piacere: ma non m'importa se non ti rimanesse il mio nome; sarei felice se in te agisse quello che sopra ti ho detto.

Lino Pesce

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25 Febbraio 2005
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