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NATALE 2008

I vostri auguri

Elvira:
Caro Chichingiolo,
sarà che la crisi economica ispira ben poco ottimismo, sarà anche che con l'andare degli anni si cerca un po' di tranquillità, ma tutto ciò che ci circonda sembra non volercelo concedere, sta di fatto che in prossimità di questo Natale sono stata letteralmente travolta da una giostra di ricordi, tutti originati da considerazioni legate al presente, che mi hanno portato a rammentare le feste natalizie trascorse tanti anni fa ad Asmara.
Così, caro Chichi, ho pensato: perché non condividerli con te? e attraverso di te e grazie a te, anche con tutti i Chichingioli e le Chichingiole sparsi per il mondo?

Daniela:
Sì, anche in me quest'anno pulsa lo stesso feeling natalizio, quasi un rifugio protettivo in questi tempi grevi.

L'anno scorso, nei giorni precedenti il Natale proprio quando l'ottimizzare il tempo a disposizione diventa esasperazione, mentre stavo uscendo dal supermercato con il carrello colmo da scaricane nel bagagliaio dell'auto, mi si avvicina un uomo, vestito bene, con un sorriso amichevole. Mi porge la mano e mi dice: "Buon Natale". Così, semplicemente: "Buon Natale". Io allungo la mano in automatico, stiracchio un sorriso incerto. Lui, sempre sorridendo, mi da un biglietto con la figura di un Presepe e una scritta. Provo già un principio di fastidio, ma do ugualmente una letta veloce. Sul biglietto c'è un messaggio semplice che riassumo: "E' Natale, ma viviamolo nella sua vera essenza, non lasciamoci sequestrare dal turbinio del consumismo che lo rende pagano." Guardo allora interessata il volto dell'uomo che mi sta di fronte e non riesco a dire niente di meglio che un vuoto: "Cosa le devo?" e lui mi risponde."Mi dica semplicemente "Buon Natale"." Balbetto un buon-natale imbarazzato, mi volto e vado via. Meno male che ci ripenso e torno indietro perché devo dirgli, con urgenza: "Grazie!".

Dei Natali passati in Eritrea ne abbiamo chiacchierato insieme negli anni scorsi. Ma quest'anno, Mondo Chichingiolo, vorrei invece poter richiamare alla memoria proprio i tempi meno esasperati dei nostri Natali andati, quelli lenti che ci consentivano la partecipazione alla Novena, la raccolta del muschio, la costruzione dell'albero con i rami reperiti alla forestale, l'assaporare i preparativi e il godere della festa. Il dedicare anche una briciola di tempo (anche se troppo poco comunque) a chi era meno fortunato di noi. Quei tempi più dilatati, a misura d'uomo, di cui privilegiavamo e che abbiamo avuto la presunzione di poterne fare a meno, ritrovandoci così frastornati di fronte alle infinite liste di cose da fare, da comprare, da organizzare, giungendo alla vigilia senza nemmeno aver avuto il tempo di preparare l'animo alla celebrazione della nascita di Gesù a Betlemme. Questa festa cristiana così sentita nelle famiglie, che dovrebbe rappresentare la consapevolezza di essere chiamati a riconoscere nel Bambinello del Presepe il Figlio di Dio. Quanti di noi riescono a farlo ancora? E perché sento che invece ci riuscivamo quando eravamo ancora in Eritrea?

Elvira:
Sembra che facciamo l'eco l'una all'altra, incredibile la similitudine di sensazioni, emozioni e... riflessioni.

Ricordo quando il Natale non era soverchiato dalle corse frenetiche alla ricerca del regalo particolare o delle tariffe speciali per visitare lontane ed assolate spiagge esotiche, o centri montani alla moda, per ritemprare corpo e mente intossicati dallo stressante inquinamento urbano.

Ricordo quando Natale non era la luminaria chilometrica di festoni e ghirlande a luci intermittenti che addobbano le strade e incorniciano le ciclopiche vetrine con i finti abeti, enormi e sovraccarichi di ornamenti, dove tutto è troppo e il troppo confonde e fa perdere il gusto del semplice e del genuino.

Ricordo quando Natale non era solitudine tra la folla, sguardi sperduti nella marea di volti sconosciuti nella vana ricerca di un sorriso amico, di calore umano nel gelo schiacciante dell'indifferenza.

Ricordo quando Natale voleva dire stazionare con il naso incollato alle modeste vetrinette dei giocattoli, incorniciate da microscopiche lucine rosse e verdi, sognando ad occhi aperti, lo sguardo fisso sul balocco preferito e il cuore colmo di ansiosa aspettativa.

Ricordo quando Natale significava armarsi di martello, chiodi e corda robusta per mettere insieme dei rami sbilenchi e creare così un "quasi-abete" fatiscente e unico nel suo genere.

Ricordo quando Natale voleva dire incrociare per strada volti conosciuti il cui sorriso caloroso accompagnato dal saluto gioviale scaldava il cuore, mentre al calare delle tenebre, proprio a ridosso della festa, il vento sembrava fermarsi per far posto alla nebbia che salendo dal Dorfu ammantava delicatamente ogni cosa, dando a tutto e tutti contorni evanescenti e diafani, regalando anche a noi sull'altopiano un sentore, seppur tenue, del "signor Inverno".

Ricordo quando Natale significava indossare, con gioiosa eccitazione, l'abito nuovo che arricchiva il modesto guardaroba e diventava così l' "abito buono", quello delle feste.

Ricordo quando Natale voleva dire gustare il panettone fragrante che sapeva di vaniglia e d'Italia e il suo profumo andava a braccetto con l'aroma intenso, quasi di bergamotto, di quei grossi mandarini verdi che in quel periodo venivano da Ghinda.

Ricordo quando Natale voleva dire accontentarsi di poco pur avendo tutto, in un mondo avulso dalla commercializzazione spietata e non intaccato dal "marketing" schiacciante, un mondo quasi irreale per la sua estrema genuinita' dove era del tutto naturale saper gioire delle cose semplici.

Adesso tocca a noi, privilegiati detentori di tale patrimonio, non solo conservare gelosamente i ricordi meravigliosi dei Natali trascorsi nel nostro lontano angolo d'Africa, ma fare in modo da trasmettere la gioiosità, la spensieratezza e la semplicità di quegli anni e comunicare le sensazioni, gli entusiasmi e, perché no, anche l'innocenza di quei preziosi momenti indimenticabili ai nostri nipoti, magari iniziando il nostro racconto, come si fa con le favole, con "c'era una volta..."

BUON NATALE!
Elvira Romano - Daniela Toti

 

C'era una volta... Natale adesso c'è sempre. Era l'otto settembre di non molto tempo fa, mattina presto, entro in un supermercato e l'occhio mi cade su un pezzetto di focaccia dolce, invitante, coperta di zucchero e uva sultanina. Non resisto e decido che sarebbe stata la mia prima colazione.
Arrivo a casa, la tolgo dal protettivo cellophane che l'avvolge e il prodotto non delude affatto le mie aspettative. E' buona, soffice, gustosa, da ghiottoni. Poi l'occhio mi cade sull'etichetta adesiva e leggo gli ingredienti: farina, novolina, lievito di birra e... aroma di panettone. Già, c'era una volta il Natale al 25 dicembre...
d.l.
22 dicembre 2008

L'EPIFANIA 2009
 
L'entrare nella nostra Chiesa di Gaggiret negli anni dell'adolescenza mi era un po' problematico. I miei anni "teen" mi rendevano ancora insicura, mi sentivo goffa, avrei voluto arrivare quando non c'era ancora nessuno per poi prendere posto nei primi banchi, così che per fare la Comunione non avrei dovuto attraversare tutta la navata della chiesa. Il terrore di scivolare dai tacchi e la probabilità di avere tutti quegli sguardi addosso si intrometteva sulla concentrazione necessaria per accostarmi al Sacramento.
Meno male che avevo il velo. Era un velo di pizzo, candido, triangolare. L'aveva portato qualcuno dall'Italia, comperato a Burano. Il regalo mi aveva resa felice, ne ammiravo il tessuto leggero e trasparente e il lavoro minuzioso dell'intreccio dei fili che formavano i disegni simmetrici e preziosi.
All'inizio rigido perché inamidato, dopo la prima lavata appoggiava lieve sulla capigliatura un po' cotonata, e mi consentiva una barriera con l'esterno. Bastava che chinassi un poco la testa, e i lati smerlati del velo scendevano giusti a coprimi il volto. Durante la predica, se mi scioglievo dal filo del discorso del Celebrante, sbirciavo inosservata tutt'intorno dietro quella sicura protezione. I capi delle donne erano quasi tutti coperti da veli di pizzo, di tulle, di seta, di cotone. Chi portava la futa era avvantaggiata perché aveva già il capo coperto. Quei veli delicati erano antico segno di riserbo e di rispetto per la Chiesa, lo stesso rispetto che usavano gli uomini togliendosi il cappello.
Io mi sentivo elegante con il mio velo. Con un piccolo vezzo, avevo cominciato a metterlo al contrario, con la punta sulla fronte, un tocco di modernità.

Googleando ho incrociato la polemica di qualche mese fa quando è stato riproposto, rispolverando da San Paolo e la sua Prima Lettera ai Corinzi "Ogni donna che prega senza velo sul capo manca di riguardo al proprio capo", l'uso del velo in chiesa. E pare sia subito stato un fitto contraddittorio sul "mantilleggio" "... già, come le señoras di Siviglia..." e sul "burkeggio": "...e magari anche il burka oltre il velo...".

Mi sa che sono antica, mi dico, ma togliendo il velo non si è tolta, passetto passetto, anche un bel po' di compostezza? Signore e signorine entrano in Chiesa mostrando disinvoltamente ombelichi, fianchi, braccia scoperte e, se si chinano, anche altro. Forse che la riproposta del velo da messa intendesse più un invito ad un atteggiamento di maggior attenzione verso il liturgico?

Vado a rovistare nel cassettone di mamma e ritrovo la busta dei veli da messa: con emozione li spiego tutti, ad uno ad uno. C'è anche il mio! Hanno l'odore di roba messa via da decenni, di chiuso, ma vorrei quasi ritrovarci un retro-profumo di incenso. E rivedo le prediche dal pulpito più ricco della Cattedrale e da quello più spartano della Chiesa di Gaggiret, la Comunione presa in ginocchio attorno alla balaustra dell'altare, la Messa incomprensibile in latino, il Celebrante che ci dava le spalle.

Mi sa che sono antica, mi dico, proprio antica, eppure io il velo da messa quasi quasi lo rindosserei, magari proprio con la punta sulla fronte, per avvicinarmi con la curiosità infantile di sempre al Presepe dove hanno aggiunto oggi i tre Magi nei loro ricchi abiti regali: Hor, Basanater e Karsudan, come li chiama la liturgia Cattolica Etiope, e aspettare che le luci si smorzino lentamente e il cielo diventi blu notte illuminato da mille stelle tra le quali risplende la cometa sopra la grotta, sulle casette degli artigiani, sui pastori e i loro armenti, sul rigagnolo di acqua che scorre davvero...

Buona Befana a tutti!
Daniela

6 Gennaio 2009



 
SOLE, SOLE, POLVERE
di Daniela Toti

Nel Febbraio 2004 (vedi galleria pag. 3) vi partecipavo la similitudine del sentire della bellissima poesia di Luciano Somma con il nostro sentire, noi straniti in mezzo a nebbia, nevischio e pioggia, anelanti soleggiati viali di oleandri, fichi d'india e profumo di agrumeti... è quasi Febbraio 2009 e la musica - ahimè - è la stessa!
C'è il disagio di sempre nell'aprire le finestre al mattino affrontando il Signor Inverno. Il tempo ridotto di luce già penalizza l'umore; ma come si fa ad essere allegri se alle 7 di mattina è ancora buio e alle 5 del pomeriggio il sole non c'è già più? Ridi ancor meno se piove, perché il sole non si affaccia proprio e ti lascia avvolta in questa foschia lattiginosa, umida e ghiacciata. E allora mi scuoto e mi dico: "Tu che sei nata dove c'è sempre il sole e quel sole ce l'hai dentro il cuore, tiralo fuori, perdirindindina! immaginatelo! e vedrai che ti scalda"!

Sole, sole, sole...
Collegio Sant'Anna, ora di ginnastica, tiro al giavellotto, salto in alto, partenza su starters, cara Professoressa Clotilde Lambertucci. "Lodi, vai sui carter e fa vedere!" mi diceva. E io facevo vedere quello che avevo capito dalle sue spiegazioni. Le avevo ricordato timidamente più volte che ero Toti e non Lodi, ma a lei piaceva così (e lei ci piaceva così, abbronzata, la gonna larga con le scarpe da ginnastica e i calzetti corti bianchi e il fazzoletto legato dietro la testa modello gita domenicale e un'energia infinita). Anche più tardi, alle superiori, quando alle baracche avevano allestito una discreta palestra e noi lì si faceva educazione fisica, lei mi diceva: "Lodi, sali sul quadro svedese e fa vedere". A me l'aveva fatto vedere Elena Caruso, che l'aveva imparato quando frequentava la scuola in Italia e arrampicarmi mi era stato facile, allenata com'ero alla palestra degli alberi di mangus e di baobab di Elaberet.

Sole, sole, sole...
Collegio La Salle, allenamento di pallavolo. Vivien, Nadia, Ivana Tarantino, Tata e Vera Ausilio, Iris Morisco, Marilisa Notari, Livia Margotti, Anna Maria Di Giulio, Antonella ed io, W le rosse, W le Valkirie! Allenate all'inizio da Gegè Falaschi, poi da Evangelo Burbulis. Caro amico Gegè: "Piccola Daniels", mi chiamava e "Campionas" chiamava mia sorella Antonella. Beniamino di adulti e ragazzi, lui troppo ragazzo per essere adulto e troppo adulto per essere ragazzo. Posato, intelligente, colto. Parlavamo moltissimo insieme, di tutto. Era un piacevolissimo conversatore che sapeva anche ascoltare. E´stato un privilegio percorrere qualche passo di strada insieme.
E Burbulis? Signor Burbulis, lo chiamavamo. Oggi non userebbe più, ma nel lei c'era quel dovuto rispetto che spettava a chi era nato un po' prima di noi. Gran persona; con lui le Valkirie volarono imbattute al successo vincendo per tre anni di seguito la magnifica coppa d'argento messa in palio dal Consolato Italiano per un campionato indoor alla Kagnew Station al quale partecipavano 15 squadre femminili di cui solo due esterne. E poi c'era Salvatore Richiello, allenatore e organizzatore di tornei, compreso quello alla Kagnew Station dove aveva arbitrato diverse partite e aveva allestito assieme agli americani la festa della premiazione.

Sole, sole, polvere...
Le corse in Land Rover, oltre Agordat, per strade sterrate, guadi di torrenti in secca che scendono verso il Barca, palmeti di dum, piana sterminata con acacie spinose e qualche baobab, verso l'azienda di banane di Tuc-Tuc, passando per Tecraret a salutare gli zii e bere un caffè.

Sole, sole, polvere...
In moto a Decamerè con il motoclub. Di mio avevo solo la patente per il Ciao e l'entusiasmo, il resto era dei miei amici: la moto, un centino di Renato Cammarata (lui guidava un 500!) e il casco di Claudio Bacchin.
Ancora Decamerè: gara chilometro da fermo organizzata e ospitata da Sandra Rosati nella sua azienda agricola, dove c'era una strada lunga e dritta, che ben si prestava alle scorribande di quelli che il rombo di un motore li faceva trasalire, e non era solo gioventù ma una passione senza fine. Sandra, fenomeno femminile su 4 ruote, nipote di tanto zio, quel Nino che le aveva messo a punto da far paura la sua 124 (un leone modifica Giannini) e che invidiava Modici non tanto perché nei chilometri da fermo e nei 400 m. vinceva quasi sempre ma perché lui aveva modificato il motore e lo teneva così, sempre pronto all'uso. Lei invece non poteva perché la sua macchina faceva un rumore che si sentiva a due chilometri e dice che suo padre l'avrebbe fatta a strisce…

Sole, sole, sale...
Verso l'Isola Verde sul materassino agganciato al motoscafo guidato da Danilo De Nadai, supereroe della mia adolescenza, perché eravamo in troppi e a bordo non ci si stava tutti. Loro partivano da Massaua e ci venivano a prendere a Gurgussum per poi scorazzare felici e spensierati sulle incredibili acque del Key Bahr.

Sole, sole, sale...
Sempre Gurgussum, spalmandosi con la birra Melotti che, aveva assicurato qualcuno, aiutava l'abbronzatura. E poi subito una nuotata che portasse via il lezzo appiccicaticcio lasciato da luppolo, malto e compagnia che attirava le mosche e... allontanava i mosconi!

Sole, sole, sale...
In barca a Mersa Gulbub pescando al traino barracuda idrodinamici dalla livrea argentata, destinati ad essere poi cotti lentamente sulla brace da Sileman, il Rashaida dal nobile aspetto, che curava il campo di Mersa Gulbub ma veniva da Afabet dove aveva la famiglia.

Il sole dei ricordi come sperato mi ha riscaldato il cuore, è stato facile. Per il resto, basterà un maglione.


19 Febbraio 2009



8 MARZO

E Dio disse
facciamola a nostra somiglianza…
E subito comprese
che era stata un’idea
molto saggia
Elisa Kidane

 
UN RICORDO UN PO' ROMANTICO
(ovvero: per gioire o per ricevere un fiore o un augurio affettuoso...)
 

Abitavo in via Beyenè Abbassebsyb ed erano gli anni sessanta che tra i loro gioielli comprendevano anche quel fenomeno irripetibile che ci conquistò totalmente per i loro caschetti, il loro look e più di ogni altra cosa per la loro musica che, con chitarre elettriche, batteria e basso, metteva sottosopra tutto ciò che avevamo ascoltato fino ad allora: i Beatles.

Forse anche quella sera mi ero addormentata con la loro musica, incisa sul registratore Philips verticale che, con la mia Olivetti lettera 32 e una macchina fotografica Kodak 110, faceva parte dei miei grandi tesori personali.

Sveiate e leva su, senti che i sona par ti”. La voce della nonna Gina mi scosse dal sonno profondo. Era lì che sbirciava tra le fessure delle tapparelle della mia finestra la mia nonnona nella sua bianca camicia da notte oversize; balzai fuori dal letto e le andai vicino, cercando di capire cosa guardasse. Fu allora che cominciai anch’io a sentire la musica:

Close your eyes and I'll kiss you
Tomorrow I'll miss you
Remember I'll always be true
And then while I'm away
I'll write home every day
And I'll send all my loving to you

All my loving I will send to you
All my loving, darling I'll be true

Qualcuno là fuori cantava accompagnato da una chitarra. “I sona par ti”, sussurrò la nonna, “satu chi i xe?” No, per quanto io cercassi di guardare, la siepe della buganvillea mi impediva di capire chi fossero i romantici menestrelli. Mi sentivo slanguorire un po’: era una serenata per me, la mia prima serenata!

Che emozione regala una serenata, suonata nella notte sotto la finestra da romantici anonimi romei, mai individuati con certezza, ma non per questo meno gradita ed apprezzata, anzi. Li potevi identificare in chi più ti gradiva ed era proprio in questo dubbio che l’anonimato contribuiva ancor più alla magia che andavano creando quelle note nella notte.

Rimanemmo lì vicine, la nonna ed io, complici, trattenendo il fiato fino a che le note si spensero ed un rumore di motore si portò via l’incantesimo. Avevo il cuore che mi piroettava dentro e presi la nonna per le mani e mi misi a ballare. Era più un girotondo che facevamo insieme, scalze, in pigiama io e nella sua camiciona svolazzante lei. “Torna in let, va” “Sì nonnina, buona notte e grazie”. Sorrise dolcissima, la nonna, dicendomi “Grassie a ti…” quasi che quell’atmosfera le avesse riproposto quando – chissà – anche il suo Romeo le aveva dedicato una serenata…

Daniela Toti

8 Marzo 2009



 

ARABESQUES
di Mahari Mario Seghid
 

Mi ricordo quando si sentivono i profumi dei Gelsomini e nel Boschetto dell'Ambagalliano ci trovavamo in tanti amici a caccia di Farfalle,
per portarle poi al Professore che in cambio ci dava due Pesche del suo Giardino.
Mi ricordo che dietro casa c'era un campo di Grano ed un Vecchio Mulino.
C´erano le Canne da Zucchero e mille arbusti di Mirtilli.
Mi rcordo di Edmondo Cerciena detto Ninni con il suo Flobert a Pallini.
Mi ricordo il Mai Bela in Piena che passava vicino a casa che sembrava un Fiume in Piena.
Mi ricordo di Asmellash che passava e gridava a volte Pomice ed altre volte Beles.
Mi ricordo i miei cari Amici e vicini i Tusciano una Famiglia Italiana DOC con il padre che Suonava il Trombone Nel Gruppo del Municipio e tutti quei Fratelli e Sorelle a cui volevo un bene di Dio.
Mi ricordo la Mamma che faceva dei Pranzi e dei Dolci da far invidia ad uno Chef.
Mi ricordo la mia Asmara vissuta ora per ora, giorno per giorno, dall`Alba al Tramonto.
Mi ricordo la mia Scuola del 1956 Ambagalliano dove ogni giorno era un'Avventura con la Professoressa Rapicavoli.
Poi improvisamente tutto piano piano svaniva, come se il tempo non avesse piu tempo, anche la Sirena della SEDAO aveva perso la sua Puntualita ed il Boschetto lasciava il posto alla Costruzione di un Campo di Calcio. I Schifta venivano quasi sconfitti ma la mano dell´Impero era come una Nuvola Nera sulla Nostra Fidanzata "Asmara".
Mi ricordo dei pochi rimasti finché un Giorno son dovuti anche loro Scappare.
Mi ricordo di un Ricordo l´Amicizia dell´Infanzia, che grazie al Chichingiolo sto piano piano ricostruendo.
I De Ponti, Tarvis, Tusciano, Meraviglia, Tony Praesler Altinier, Antonio Fiorentino, Masnada, Berhane Zereski, Fenili grande "Herrera" Africano, e tanti altri che hanno dato a me Eritreo il rispetto e l`Amicizia
Mi ricordo che non voglio piu dimenticare.


24 Marzo 2009


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