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IL BERBERE'... (con furto)

Dopo "Il ladro di merendine" di Camilleri, "Il ladro di berberé del parco Regio"? Pare proprio di sì... Quando si dice la realtà romanzesca.
il C.

Questa è una storia vera, una piccola, banalissima storia di ordinaria quotidianità, ma è anche una storia un po' "nostra", un po' "chichingiolesca" perché ha per protagonista… il berberè.Una breve trasferta a Torino, una decina di giorni fa, è stata l'occasione per una serata in compagnia di alcuni amici, reduci come me da un recente viaggio in Eritrea (i ragazzi del Mar Rosso, of course!).
Appena salita sulla loro macchina, sono stata letteralmente travolta da un intenso, penetrante, inconfondibile e familiare aroma: aroma di berberè.
Gli amici mi hanno confermato che nel bagagliaio c'era una sporta con 2 kg. di berberè pronto per essere consegnato all'indomani ad un altro amico asmarino che ne aveva fatto espressamente richiesta.
Dopo la cena in pizzeria ed una sosta in un bar vicino per una favolosa granita, risaliti in macchina, non ho più percepito quell'aroma che mi aveva quasi stordita, ma tra me e me ho pensato che probabilmente il mio olfatto si era ormai assuefatto o che forse la birra bevuta mi aveva un po' intorpidito i sensi.
Qualche giorno dopo ho saputo invece che al momento di consegnare "la merce" al destinatario, il bagagliaio, con grande sorpresa, disappunto e delusione, si era rivelato tristemente vuoto: il berberè era… sparito!
Vorrei quindi lanciare questo accorato appello al ladro che la sera del 13. 5 u.s. a Torino, in zona Regio Parco, ha asportato dal bagagliaio di una Fiat Punto nera, lasciata sbadatamente aperta, una sporta contenente un grosso pacco:

"Caro ladro, forse sei stato attratto dall'aspetto invitante di quel pacco amorevolmente confezionato, chissà cosa pensavi e speravi contenesse!
Immagino la tua delusione quando ti sei trovato tra le mani dei sacchetti trasparenti ben sigillati contenenti una strana polvere color rosso mattone! Probabilmente te ne sarai immediatamente liberato; se invece conservi ancora quella strana "refurtiva", ti prego, caro ladro, non gettare via nella spazzatura quella polvere, sarebbe davvero un sacrilegio, perché è qualcosa di molto prezioso. E' il frutto di un certosino lavoro di selezione, tostatura e macinatura di tante profumatissime spezie insieme a peperoncini rossi piccanti essiccati al sole dell'altopiano.
Quella "polvere rosso mattone" ha fatto un lungo viaggio, ha lasciato la terra d'origine, l'acrocoro eritreo, per arrivare qui in Italia ed allietare il palato di tanti amici.
Non gettarla via: per noi quella "polvere" vale oro: ha il profumo e il sapore di "casa", e parla ai nostri sensi e al nostro cuore.
Rievoca giorni lontani quando la preparazione del berberè era un rito affascinante agli occhi di una bambina, e le spezie scelte con sapienza e amore da mani esperte venivano estratte dai loro cartocci di carta di giornale e abbrustolite sul primus nel cortile. E quel profumo che si spandeva nell'aria era un odore familiare e rassicurante.
Lo stesso odore e sapore familiare e rassicurante che ci fa stare bene anche oggi, che migliora il nostro umore e contribuisce a mantenere i contatti con gli amici, perché ci regala un ottimo pretesto per ritrovarci e stare insieme davanti ad uno zahalì di zighinì fumante!!
E se invece tu, caro ladro, quella sera non avessi nessuna intenzione malvagia, ma fossi stato, tuo malgrado, inesorabilmente e inconsapevolmente attratto dall'aroma inebriante che si sprigionava da quel bagagliaio?! Se quel profumo speziato e persistente avesse rievocato nella tua mente il calore e il sapore del tuo paese scatenando un irresistibile desiderio di portarlo via con te ??
Forse sei un nostro "paesano", perso nel grigiore di una metropoli del nord, e allora… capiamo il tuo gesto e…ti perdoniamo!!
Goditi il berberè che ti ricorda tanto la tua casa lontana, e gustalo in tanti squisiti zighinì…alla salute tua e… nostra".

Vittoria

30 Maggio 2008

 
FERRAGOSTO

Carissimo Lord Kikki,
ferragosto, caldo umido, pressione azzerata. Per non rischiare di azzerare anche i pochi neuroni sopravissuti al letargo estivo, faccio un po' di surfing in rete e arrivo - ma come sarà mai? - a dare una ripassata al nostro sito. E rileggo lo scritto di Chiara Morandin (…vi ho respirati sin da piccola quando a Rimini, in occasione di un raduno, mi ritrovai a sognare tra i vostri racconti di genuina amicizia, un legame che non si è spezzato mai, nonostante la guerra che vi ha dispersi nel mondo come polline al vento. E voi, siete diventati frutti. E poi ancora frutti.), che mi riporta a quello di Maria Elena Geraci di qualche anno fa (…come sempre, mi sono commossa nel percepire quell'atmosfera assolutamente unica che si crea durante i raduni e nel vedere grande l'emozione e la felicità del ritrovarvi … Per l'ennesima volta mi sono domandata come il vostro cuore possa sopportare emozioni così intense, e l'unica risposta che mi sono data è che i vostri cuori sono sopravvissuti a scosse talmente forti che, quelle provate durante i raduni, non possono che giovarvi).
Che freschezza queste voci! Che orgoglio di appartenenza! Brave e belle!

La nostra voglia di trasmettere e quindi rinnovare l'Asmarinite (come Elvira definisce quell'elemento meraviglioso che si rigenera costantemente, e che affonda le sue radici nel mondo affascinante, misterioso, quasi mitico in cui siamo nati e cresciuti) nei nostri figli si concretizza in questi scritti giovani e appassionati.
La prima volta che ho partecipato al raduno del Mai Tacli a Rimini, ho portato anche mio figlio Luca, all'epoca 11enne. Luca ha vissuto sbalordito la familiarità e l'affetto con cui la sua mamma trattava ed era trattata da quei perfetti sconosciuti. E quando io, completamente calata nella naturalezza della situazione, ho chiesto proprio a Luca se avesse visto in giro Sandra Rosati, e Luca mi ha risposto con un meravigliato "Ma chi è?", ho realizzato che lui non solo non aveva mai visto Sandra (ora però sono molto amici!), ma nemmeno nessuna delle altre persone presenti.
Sorridendo, l'ho preso per mano e gli ho detto: "Ora la cerchiamo e te la presento". Ovviamente come succede ai nostri convegni, il percorso per trovare Sandra ha comportato 1000 altri incontri ai quali ho presentato orgogliosa Luca. Il povero ragazzino è stato così sopraffatto da baci e pizzicotti alle guance, e da 1000 commenti "ma quanto somigli a papà" "ma sei preciso a tua mamma" "mi ricordi tuo zio" "hai il sorriso di tuo nonno"…
Trovata Sandra con vicino il figlio Yuri, che aveva evidentemente sperimentato lo stesso processo di baci/pizzicotti, i due ragazzini, in un'intesa immediata, hanno trovato rifugio in una vicina sala giochi, limitando le loro riapparizioni ogni volta che dovevano rifornirsi di spiccioli.
In treno al ritorno però Luca mi ha tempestata di domande, perché di Asmara, Massaua e Cheren aveva sentito parlare da sempre ma ora poteva finalmente collocare qualche viso a qualche racconto passato.
Oggi mi dice che, quando noi di Asmara e dintorni ci incontriamo, gli anni trascorsi da allora ad oggi spariscono e incredibilmente nei nostri atteggiamenti, sorrisi e parole ritroviamo quei "pischelli" che avevano condiviso feste e canti, banchi di scuola, partite sportive e corse in macchina.
Marco invece si burlò del mio essere asmarina quella volta che, partecipando ad uno dei suoi primi raduni della Nazionale Rugby Under 17, la squadra era ospitata nella bella Villa Badoglio ad Asti.
Con il suo solito fare canzonatorio, mi telefonò e disse: "Siamo in casa di un amico vostro. Si chiama Badoglio, e qui i cartelli dicono che sia stato ad Asmara, per cui voi di Asmara, che vi conoscete TUTTI, sicuramente conoscerete anche lui!"
Ho poi portato entrambi i miei ragazzi anche al primo raduno dei Giovani e lì mi sono dovuta rendere conto di un particolare: la definizione "dei Giovani" suscitava una impertinente ma giusta ilarità nei miei ragazzini. Giovani per noi, in effetti, ma per loro c'era differenza tra il raduno del Chichingiolo e l'altro del Mai Tacli?
Carissimo Lord, i raduni sono l'occasione per rinvigorire lo spirito che ci accomuna e distingue e per trasmetterlo, come testimoniano Maria Elena e Chiara, per cui, dopo la salutare pausa di quest'anno, guardiamo fiduciosi al prossimo, con le parole di "M." (tanto mi intriga questo "M." che non riesco ad identificare!):
"Già, non cambia mai nulla ai nostri raduni... Chi era amico trent'anni fa, ancora lo è ... E chi invece trent'anni fa ci stava sui cosiddetti, è ancora lì che ci passeggia sopra imperterrito!
Ma la domanda è: tutto sommato poi, chi è che vuole che cambi qualcosa? I nostri raduni vanno benissimo così come sono!
"

E questo è tutto. Torno a prendermi cura della mia pressione azzerata e sintonizzo la funzionalità dei miei neuroni su una buona lettura, aspettando che la pioggia annunciata ci rechi frescura.
Il libro che ho sul comodino è "Sotto il cielo dell'Africa": ma guarda un po' il caso! Vuoi dire che la costante dell'acquisto compulsivo di un titolo africano indichi in realtà un chiaro sintomo?
Beh, caro Lord, faccio spallucce! Ho già scritto da qualche parte che "In realtà a me non interessa poi tanto di capire razionalmente cosa sia questo mal d'Africa. So che esiste e mi fa piacere essermi ammalata."
Con, per l'appunto, un "caldo" abbraccio, Buon Ferragosto!
D.
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Cara D.,
Sorrido anch'io quando ci qualifichiamo "giovani" ai o per i nostri raduni. Un'occhiata all'anagrafica e torniamo coi piedi pesantemente per terra ma è lecito sognare, o no? Eppoi, li
senti tu gli ...anta che avanzano? Io no. Ma per favore, non sottilizziamo troppo.
Nel mio girovagare per letture estive, mi son trovato dalle parti del Decameron. Attacco la Novella 2 della 4 giornata, e leggo che il protagonista "de' maggiori cassesi era tenuto a Vinegia". Vinegia è Venezia ma cassese, di grazia, che cos'è? Mi soccorre la provvidenziale nota a piè di pagina: viene dall'arabo "casis" (turco qasis) che vale per prete cristiano. E il pensiero sfreccia immediatamente al cascì. Un azzardo? Forse lo è, ma per un attimo pensare che ai tempi del Boccaccio si usasse un
esotismo "nostrano" mi ha fatto sognare ancora di più.
E' inutile, è l'Africa.
Lord K.
15 Agosto 2008

LO STUDENTE LUCIO BATTISTI
di Lorenzo Barone

 

In occasione del decennale dalla scomparsa del cantante Lucio Battisti, mi pare un gesto degno anche di noi asmarini ricordare una persona di così grande talento, anche perché, oltre ad essersi interessato dell'Eritrea di cui ebbi modo di parlare con lui diverse volte, vi fu una collaborazione artistica molto profonda col cantante Bruno Lauzi che era nativo di Asmara (dove nacque nell'agosto del 1937), che Battisti accolse nella sua casa discografica 'Numero uno' e che per Lauzi scrisse canzoni famose come 'Mary oh Mary', 'E penso a te', 'Amore caro, amore bello', 'L'aquila' e 'Un uomo che ti ama'. Dei rapporti con questo cantante e delle loro discussioni sull'Africa ebbi modo di sapere qualcosa quando incontrai Battisti a Roma casualmente negli anni 80 e di cui accennerò più avanti.
Il mio incontro scolastico con Lucio Battisti fu determinato da una pura casualità.
Mi trovavo infatti a frequentare il terzo anno dell'Istituto Tecnico G. Galilei di Roma nella sezione meccanici, quando volli cambiare sezione per passare a quella degli elettricisti. Cominciai a frequentare il quarto anno della sezione elettricisti, ma ebbi in quel periodo dei problemi di salute e persi un paio di mesi di scuola. Questo fece sì che alla fine dell'anno il mio rendimento nelle varie materie, alcune delle quali nuove per me e difficili, determinò la perdita dell'anno scolastico con grande dispiacere mio e dei miei familiari. Fui costretto a ripetere il quarto anno e nella classe in cui mi trovai conobbi i nuovi compagni tra i quali anche Lucio Battisti. La mia amicizia con lui non fu immediata anche perché eravamo un po' distanti nella collocazione dei banchi. Notai tuttavia che era una persona particolare e che alcuni dei suoi amici più stretti lo tenevano in grande considerazione scherzando e parlando con lui anche durante le lezioni, cosa che dava un po' fastidio ai professori, i quali erano costretti ogni tanto a imporre il silenzio al gruppetto. Devo dire che la mia amicizia con lui non fu immediata ma maturò nel tempo. Lui era una persona estroversa con chi conosceva ma molto chiuso e riservato con chi non conosceva bene. Delle volte lo vedevo quasi impacciato e balbettante, altre volte molto sicuro di sé ed esuberante. Quando uno voleva dialogare con lui non poteva dire cose banali perché lui era nemico della banalità. Bisognava avere qualcosa di interessante da dire e saperlo dire nella maniera giusta. Del resto appariva chiaro a tutti i compagni che era una persona molto intelligente e dotata e noi tutti avevamo la sensazione che fosse un predestinato al successo. Inoltre lui parlava spesso della sua passione per la musica e dei progressi che andava facendo in questo campo. A scuola lui non si applicava molto. Essendo dotato di grande memoria gli bastava ascoltare una lezione per poi saperla ripetere alcuni giorni dopo, nonostante che durante la lezione spesso fosse impegnato a chiacchierare sommessamente con qualche vicino di banco di chissà quali argomenti.
Lucio era molto portato per le battute di spirito e non perdeva occasione per fare sfoggio di questo suo talento naturale. Un giorno mentre la professoressa di scienze naturali, una signora sulla quarantina abbastanza moderna, ci spiegava il vento del Mistral che soffia dalla valle del Rodano, si sentì una voce dalle retrovie che disse: ' E' quello che si mette nel caffè?' Al che l'insegnante un po' divertita rispose: 'Guarda che ho detto Mistral e non Mistrà '. Subito intervenne Battisti per precisare :' Guardi che lui ha detto caffel!'. Ne segui una risata generale che ci vollero cinque minuti per sedarla, ma anche l'insegnante si mostrò divertita della cosa e forse ebbe un po' di ammirazione per quel ragazzo dalla mente così pronta e geniale.
La nostra amicizia si consolidò verso la metà del quinto anno di studi, quando io ritornai a scuola dopo una assenza di vario tempo per un intervento di appendicite. Lui fu molto cordiale in quella circostanza e la cosa non poté farmi che piacere.
Quando ci recavamo nel laboratorio di misure elettriche il titolare ci aveva diviso in gruppi di tre che dovevano occupare i vari banchi allestiti per eseguire le misure elettriche. Io capitai con Battisti e con Amadio che era il primo nella lista degli alunni. Durante il tempo dedicato alle misure si parlava di tutto e si facevano spesso battute di spirito. Fu in una di queste occasioni che ebbi modo di sorprendere l'amico Lucio cimentandomi nel suo terreno. Stavamo facendo delle misure di resistenza con un sistema a ponte di Wheatstone, che prevede l'uso di una cuffia per verificare l'azzeramento del ponte e risalire poi con il calcolo al valore di resistenza cercato. Io ero addetto all'ascolto in cuffia mentre Amadio e Battisti manovravano i reostati. Ambedue mi guardavano con ansia attendendo notizie sulla intensità del segnale.
Battisti mi chiese:' Cosa senti?' Io che avevo avuto il tempo di prepararmi la battuta risposi:'C'è una voce che dice: ' I due ultimi numeri della resistenza da voi trovata sono cambiati, gli altri sono rimasti gli stessi'. Al che i due si misero a ridere e notai in Lucio uno sguardo di ammirazione, come se avessi dato prova di avere una delle sue doti, da allora i nostri rapporti si intensificarono.

Quando mi conobbe meglio, sapendo che ero nato ad Asmara, fu subito colpito dai racconti che gli facevo di quei luoghi e penso che a casa poi andasse a consultare libri o enciclopedie per documentarsi sull'argomento. Me ne accorsi perché mi faceva delle domande sempre più dirette e particolareggiate mettendomi delle volte anche in difficoltà.
In un paio di occasioni Lucio venne anche a casa mia ed ebbi allora modo di mostrare a lui gli album di fotografie dell'Africa che mio padre custodiva gelosamente. Parlammo delle condizioni in cui si viveva laggiù e lui analizzava gli argomenti ripromettendosi forse un giorno di visitare quei luoghi. Una sera rimase fino quasi a ora di cena e mia madre che cucinava spesso lo zighinì lo fece assaggiare anche a lui che, tra l'altro, non disprezzava le buone pietanze.
Nel frattempo lui partecipava spesso a serate di musica con un suo gruppo di amici e qualche volta invitava anche noi compagni. Sapemmo tutti quando ebbe in regalo la prima chitarra elettrica e, nel parlarne, gli luccicavano gli occhi come un bambino di fronte ad un giocattolo nuovo. Ogni tanto descriveva pezzi di musica come le sambe o le rumbe che gli facevano un effetto simile a quello di una bella donna. Si capiva chiaramente che viveva per la sua musica.
Finite le scuole, avemmo modo di rivederci con lui ed altri amici all'aeroporto di Ciampino per effettuare un volo di prova su un bimotore dell'Aeronautica Militare, che in questo modo intendeva attirare giovani diplomati nelle sue file. Quel giorno eravamo in cinque e avemmo modo di parlare a lungo dei nostri progetti di lavoro. Fu l'ultima volta che lo vidi a Roma dato che in seguito le nostre strade si divisero fatalmente. Di lui perdemmo ogni traccia fino a che un bel giorno venimmo a sapere da qualche rivista che aveva iniziato la sua brillante carriera artistica che poi seguimmo passo-passo.
Ci fu tuttavia una ulteriore occasione di incontrarci dovuta a quelle circostanze che si verificano nella vita per chissà quali arcani disegni del destino. Eravamo a metà degli anni 80 ed io lavoravo presso un Ufficio tecnico del Ministero delle Poste all'EUR di Roma. Di ritorno dall'ufficio transitavo in Via delle tre Fontane e un giorno vidi venire in senso contrario una spider rossa con una coppia a bordo che pensai fossero attori. Quando furono più vicini riconobbi senza equivoci la fisionomia dell'amico Lucio con accanto la sua compagna. Feci immediatamente una conversione con la mia Alfa Sud e lo seguii per un tratto di strada vedendo che si stava recando verso il quartiere dell'EUR. Arrivati al primo incrocio lui si fermò ed io mi accostai salutando con la mano. Mi riconobbe immediatamente e si fermò nei pressi del Palazzo della Mostra. Scese dalla macchina e ci abbracciammo festosamente. Si vedeva chiaramente che l'incontro gli era molto gradito. Mi tempestò di domande sui vari compagni di scuola ed io gli riferii ciò che sapevo di loro. Gli chiesi anche come erano stati i suoi rapporti con Bruno Lauzi e lui mi rispose che con lui ebbe spesso modo di parlare di quei luoghi e degli usi e tradizioni di quel paese.
Chiudo qui questo ricordo di Lucio e della sua arte con il rammarico comune a tutti noi di non averlo potuto sostenere quando il suo isolamento si fece più stretto e si cominciò a temere per la sua salute, ma lui sicuramente avrebbe voluto rallegrarci ancora con una delle sue indimenticabili canzoni.

 
21 Settembre 2008

IL PROFUMO DEL TEMPO
di Daniela Toti

 

Gli odori sono i veicoli più efficaci per mettere in moto la memoria e accendere emozioni, e su ciò siamo quasi tutti d’accordo.
Ma che poi un sentore non propriamente gradevole venga nobilitato dalla memoria in quasi-profumo, ne possiamo parlare.

La terra di Sardegna è quanto di più simile all’Eritrea io abbia trovato nel mio modesto ma non limitato girovagare. E non sono i famosi imponenti sassi sardi, e non è la macchia mediterranea e nemmeno l’incantevole colore smeraldino del mare.
E’ l’aria asciutta del Maestrale che mi secca le labbra e mi riporta al ventoso altipiano. E’ la terra brulla, sassosa, polverosa, dove la prima goccia di pioggia riesce a creare un anello e a sollevare uno sbuffo di polvere quasi cadesse sull’acqua rilasciando un fragrante odore di bagnato; è il muretto a secco che limita le proprietà terriere che racchiude un vago sentore di muschio, è l’albero di eucaliptus che riscaldato dal sole di agosto emana il suo aroma balsamico, è il profumo dei beles in rigogliosa maturazione di cui ho già parlato la scorsa stagione, è l’odore della salsedine quando l’alito caldo dello Scirocco te lo soffia in viso. E’ infine l’odore aspro che sosta nell’aria al passaggio delle caprette, un misto tra il selvatico della loro pelle e quello dei loro tondi escrementi.

Approfittando della disponibilità di Luca, ho voluto ripetere l’esperienza fatta l’anno scorso alla Tomba di Giganti di “Li Mizzani”, visitata al chiaro della luna piena, in un’atmosfera da esoterismo celtico.
Niente luna piena nella mia settimana di ferie quest’anno, per cui la scelta dell’ora canicolare nel pomeriggio di fine agosto faceva sembrare più lungo il breve tragitto a piedi per raggiungere la Tomba di Giganti “Coddu Vecchju” di Arzachena. Queste tombe pare abbiano benefici campi magnetici quindi, appoggiata alla stele e i piedi nudi sul terreno come si consiglia, godevo la sensazione di benessere generale che ne deriva, disquisendo sull’argomento nuragico. E è stato allora che ho percepito l’odore caprino.
“... senti che buon odore...” “Non è puzza di capra?” “...no, è un effluvio che arriva dal passato...” “Sei sicura che gli omini dei nuraghi sapessero di capra?” “...ma non da quel passato remoto! Da un passato meno lontano...”

* * * * *

Era stato organizzato un picnic sul fiume, dopo Elaberet, dove l’Anseba si unisce al Barca. Tutti insieme stipati nella Land Rover guidata da Giancarlo, con Francesco, Danilo, Pina, Anna Maria, Pia Giulietta Acquisto, forse anche Angelo Chirizzi, Antonella ed io. Il cesto dei panini era stato preparato da Askalù, la brava e bisbetica domestica di casa De Nadai. Con la magnifica prospettiva di una giornata spensierata e quell’entusiasmo assoluto che ritrovo in tutti i miei ricordi, siamo partiti dopo la consueta serie dei “mi raccomando” e “fate attenzione” e “… e voi che siete i più grandi…”.
Lasciata alle spalle l’ordinata distesa di agrumeti, peperoni e pomodori, il paesaggio che ci corre a fianco è ora composto da bassi cespugli spinosi, piante di sicomori e alcuni isolati baobab, punteggiato dai cumuli di sassi di quarzo bianco di qualche tomba bilena che si alternano a termitai di ogni dimensione. Alcuni potrebbero essere delle bellissime cattedrali gotiche in scala ridotta, con le guglie che si lanciano verso il cielo.

Un passaggio laterale ed ecco la strada sterrata che ci porta dentro il greto asciutto.
Con un fuori strada, un fiume in secca è agevole da percorrere. Il suo carattere torrentizio potrebbe farci sorprendere da una piena, come già ci capitò quella volta quando traversammo l’Anseba per andare alla presa sul Giaogiao. Guidava Francesco, e anche quella Land Rover era stipata di adolescenti: Pina, Anna, Danila Boattini (chiamata affettuosamente Gris - grissino - da Francesco), Yonne Bristot, Antonella ed io. Avevamo fatto un giro nella zona dei bacini artificiali e dovevamo rientrare prima del tramonto. Quando all’andata avevamo attraversato l’Anseba, c’era solo un rigagnolo. Al ritorno, anticipata da un rumore cupo, abbiamo trovato la piena. Dopo qualche valutazione sulla forza e sulla profondità dell’acqua, si è deciso di tentare il guado, uno scivolo in pietre e cemento. A metà percorso la parte anteriore del Land Rover, la più leggera? (?), ha cominciato ad essere spinta dalla corrente mettendo la macchina di sbieco. Intanto l’acqua si alzava contro la fiancata aumentando la presa, per cui ormai la Land Rover era senza controllo e veniva spinta lateralmente dalla forza della piena. Il panico. Francesco, alla guida, mordendosi le labbra tentava invano di controllare il veicolo. Noi mute di terrore, Yonne per la paura quasi stritolava una gamba a Pina stringendola con forza e solo Danila è riuscita a sillabare: “Sono troppo giovane per morire!”
Poi, inspiegabilmente, la marcia indietro e la ridotta hanno vinto il braccio di ferro con la pressione dell’acqua e sono riuscite a far riguadagnare il controllo a Francesco. Dapprima impercettibilmente poi sempre più decisamente, la macchina è riuscita a tornare sulla sponda da dove eravamo partiti. Aspettando che la furia della piena riducesse la sua potenza, abbiamo allora esplorato per più di due ore quella riva del fiume dove non andavamo mai e nel nostro girovagare abbiamo scoperto un "boschetto sacro" con pezzi di pelle e strisce di tessuto (forse feticci?) attaccati sui rami di alberi spinosi, probabilmente acacie.
Eravamo forse capitati in un degegna, il “boschetto sacro" dei Qemant, gli ebrei pagani che pare siano arrivati in Etiopia molto prima di Cristo e che professano un ebraismo arcaico con rituali non più accettati dagli ebrei come i sacrifici animali, dei quali ce ne parla anche Graham Hankock nel suo libro "Il mistero del sacro Graal"? Noi allora non ne avevamo proprio la più remota conoscenza!
Al guado la piena finalmente scemava in potenza e volume e (recitando più di qualche Ave Maria) siamo riusciti a attraversare che era già buio. A casa ci aspettavano i volti preoccupati dei nostri genitori.

Ma tornando al nostro picnic, lasciata la strada asfaltata cerchiamo ora un posto comodo e ombroso e lo troviamo sotto degli alberi dalla larga chioma ad ombrello che poi scopriamo essere tamarindi proprio dai frutti che cogliamo arrampicandoci come scimmie. E’ la prima volta che colgo il frutto del tamarindo, che ho sempre visto in vendita solo al mercato scoperto di Cheren, e direttamente dalla pianta pare molto più buono delle altre volte. Tra una corsa, un gioco, una risata, arriva l’ora di pranzo e quindi quella di una improbabile siesta, quando si avvicinano dei pastori con le loro caprette. Ne sentiamo prima l’odore, acre e penetrante, e quindi eccole, numerose. A chi è venuta l’idea di chiedere ai pastori se possiamo mungere le caprette? E’ quasi una gara la nostra nel metterci alla prova. Le caprette non sono esattamente d’accordo e non gradiscono; noi siamo molto maldestri e riusciremo a riempire mezzo bicchiere di latte, troppo sporco per essere poi usato. Ma l’odore che ci circonda ci è rimasto addosso anche dopo quando, sdraiati sopra il tetto del Land Rover, viviamo la più eccitante delle escursioni sul greto del fiume! Mitico Giancarlo che, incosciente, ci ha permesso la splendida esperienza!
Anna, ricordandola, mi dirà: ”sdraiate sopra il tetto...aggrappate come ragni ai bordi della ricopertura antitermica del tetto stesso... andar in giro... quasi volando!!! Io mi sentivo acrobaticamente EROICA!!! Che matti eravamo Daniela!!!”
Vero, incoscientemente e splendidamente matti!

* * * * *

Sono queste le memorie che quell’odore, lezzo se si vuole, ha riportato a galla mentre, appoggiata alla stele di “Coddu Vecchju”, vorrei quasi convincere uno scettico ed ironico Luca, che potrebbe anche essere un buon odore, da un certo punto di vista... sbaglio?

D.


2 Ottobre 2008

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