Pure
una enorme stella splendeva dalla sera alla mattina sopra
la grotta;
così grande non si era più vista dalla creazione
del mondo.
Aprire
questa pagina, leggere "l'albero" di Daniela e i ricordi
di Elvira ed essere catapultato indietro di trenta e più
anni è stato tutt'uno. E' tornato prepotente il profumo dei
rami di cipresso tagliati e affastellati intorno a uno striminzito
e spoglio albero di Natale che ogni anno si decorava con somma riverenza
e grande timore perché era facile lasciar cadere una pallina
colorata e ... buscarle di santa ragione. E' tornato il ricordo
della Messa di mezzanotte nella Chiesa di Gagiret, la lunga e snervante
attesa, il freddo, il sonno vinto a fatica e poi la sorpresa dei
regali che magicamente apparivano là sotto l'albero dove
meno di un'ora prima c'era solo un tappetino tondo. E' tornato tutto
accompagnato dal ricordo che non mancava mai il sole a Natale e
nemmeno la brina e le notti stellate, e la ginestra in un angolo
del giardino era sempre fiorita. Un momento, sento una voce amica
che mi interrompe e mi dice ...
Ecco,
volentieri prendo il braccio che mi offri e ti accompagno per
le strade mattutine del giorno di festa, pochi i passanti, qualche
occasionale mendicante, i venditori di mastiche e ... chichingioli
non sono ancora in giro. Ci infiliamo nelle viuzze, quelle strette
che stanno dietro il mercato delle spezie. Alcune porte sono aperte
e sulla soglia cè lincensiera da cui lincenso
si alza in lievi volute biancastre impregnando laria intorno
del suo profumo penetrante; si sentono rumori di stoviglie, qualche
bambino piange, ma subito si acquieta; davanti ad un portone aperto
si intravedono alcune donne sedute in semi cerchio a bere il caffè
del gevena. Da qualche parte, in lontananza, si sente il rullo
ritmico di un tamburo; passando davanti alla porta socchiusa di
qualche cortile si vede una pecora appena macellata pendere dai
garretti, pronta per essere ripulita e squartata; in altre case
si sente lo starnazzare allarmato della gallina che sta per essere
sacrificata a degna celebrazione della festa. Ogni tanto passa
il compratore di pelli di pecore che lancia il suo caratteristico
richiamo Korvet, baal Korvet (pelle, si compra pelle).
La città è stranamente quieta, e capiamo perché
quando passiamo davanti alla cattedrale copta. Lampio cortile
è letteralmente bianco, perché bianche sono le fute
che coprono tutti, uomini e donne, come un unico ampio mantello
che avvolge quellumanità raccolta per adorare nostro
Signore. Nellaria, dagli altoparlanti, si libra il coro
cantilenante dei preti che celebrano la messa in geez e
lincenso qui permea laria più forte che mai.
Quellaria frizzante e pulita, in cui sembrano sospesi tanti
odori e profumi peculiari, ma tipici: lodore della legna
che brucia, di polvere sospesa nellaria, di terra surriscaldata
che emana anche a mezzanotte il calore solare immagazzinato durante
il giorno. Se ci bendassero gli occhi e ci portassero in diversi
paesi e poi ad Asmara, riconosceremmo la nostra città proprio
da quei profumi caratteristici che inconsciamente stampati nella
nostra memoria, affiorano al momento opportuno. Questo insieme
di odori e profumi è come un bouquet ma non di fiori di
serra, piuttosto di fiori di campo, di erbe selvatiche e fragranti
e di rami brulli ma aromatici. Un bouquet non da ikebana, ma con
un fascino tutto suo, perché era quello della nostra Asmara,
senza neve, senza pioggia, solo gentilmente bagnata dalle brume
del primo mattino subito possessivamente asciugate dal sole sotto
quella indimenticabile volta celeste che nei giorni in cui ci
sentivamo particolarmente felici sembrava ancora più azzurra
e smaltata. E nei giorni di festa, come tu ben ricordi, centinaia
di mogogò entravano in fuzione e allora lodore di
legna si mischiava a quello della cipolla che veniva soffritta
per preparare lo zighini e ...
Questo
Natale ci vede riuniti sotto un alberello diverso, un chichingiolo:
è stato un anno di grandi emozioni, non c'è che
dire. Rivolgo un cordiale e affettuoso augurio a voi tutti dandovi
appuntamento al prossimo raduno di primavera per una rinnovata
manciata di emozioni. Buon Natale e buon anno. Con affetto,
A
chi
è nato
nel paese
dei 13 mesi di
sole splendente
e anche a chi non ci
è nato. A chi
sa che la
nostalgia è quella via di
mezzo per la quale ami il pas-
sato e tutto ciò di bello che c'è
in esso, senza però credere che la
vita fosse migliore allora. A chi sa che
gli anni possono far venire le rughe alla
pelle, ma la rinuncia agli entusiasmi riempie
di rughe l'anima. A chi ha l'entusiasmo di
un
bambino, ma pensieri da uomo. A chi vede nero solo
quando è buio. A chi legge il Chichingiolo e ne attinge
gioia. A chi, non leggendo il Chichingiolo,
non sa cosa si perde.
A chi tanto si è adoperato per realizzarlo (grazie!). A chi
saluta ancora
con un bacio. A chi si alza presto per aiutare
un amico. A chi non aspetta Natale
per essere buono. A chi è felice il doppio quando fa a metà.
A tutti coloro che sanno pensare
in positivo,
Buon Natale!
Daniela
Toti
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- o O o - -
Ricordi di Natale
Nel
corso di questi anni trascorsi lontano da Asmara, tutti noi, credo,
abbiamo avuto modo di ammirare presepi vari per dimensione e stile,
ma, a mio parere, quello della nostra infanzia, quello della nostra
Cattedrale laggiù, che occupava l'altare laterale, a destra
della navata centrale, è e rimarrà per sempre speciale
e unico.
Con quanta cura e dovizia di particolari veniva
allestito! Ricordo il telo blu punteggiato di stelline argentate,
alcune delle quali, qua e là, avevano nel centro un lumino
minuscolo che si accendeva ad intermittenza. Su quella volta celeste
campeggiava, enorme, la stella cometa, la più luminosa. Sullo
sfondo, la catena di colline dove svettavano un po' dovunque le
palme verdeggianti. A mezza costa e negli avvallamenti facevano
bella mostra di sè varie casette dai tetti spioventi, alcune
con un minuscolo cortile recintato, completo di cane accovacciato
a guardia dell'ingresso e di due o tre galline chine a beccare i
semi da terra, altre con i panni stesi ad asciugare e la massaia
intenta a trasportare brocche colme dell'acqua, appena tirata su
dal pozzo. Il pozzo sembrava proprio fatto di pietra e vera era
la corda sottile da cui pendeva un minuscolo secchio appoggiato
sul bordo. In un angolo c'era un laghetto limpidissimo, alimentato
da un ruscello che si faceva strada tra le rocce impervie dei monti
lontani. Sulle colline, nelle valli, lungo i costoni apparivano
statuette di varie dimensioni, nel rigoroso rispetto della prospettiva,
ma tutte, anche le più minuscole, curate nei dettagli: viandanti
con il loro modesto fardello sulle spalle, numerosi pastorelli,
alcuni con l'agnellino appena nato tra le braccia, altri intenti
a scendere al piano con il gregge; contadini con fasci di frumento
o fastelli di legna, donne con cesti colmi di vivande sotto il braccio,
anfore in bilico sulla testa e bambini attaccati alle vesti, tutti
diretti verso la capanna illuminata dalla cometa. In un incavo del
monte, il falegname, occupato a piallare un pezzo di legno, faceva
compagnia al fabbro, poco più in là, illuminato dal
fuoco della fucina. Le statue più vicine alla capanna erano
grandi e molto belle. In particolare gli abiti dei Magi erano riccamente
disegnati e mi incantavano i dettagli: la pantofola ricamata di
uno, il turbante luccicante dell'altro, il mantello dal bordo dorato
del terzo. Soffusi di una dolcezza unica erano i volti di Maria
e del Bambinello; ben si accompagnava alla loro bellezza l'espressione
serena e intenta di Giuseppe, col volto chino, incorniciato da una
barba folta. Lo attorniavano, genuflessi o in piedi, appoggiati
ai bastoni nodosi, i pastori con le numerose pecorelle accovacciate
accanto alla mangiatoia, tra il bue e l'asinello.Mi rivedo in piedi,
davanti a quel presepe, con il cuore che sprizzava gioia ed eccitazione,
mentre gli occhi insaziabili si deliziavano di tutti quei particolari.
Mi staccavo a fatica soltanto perché i rintocchi familiari
delle campane mi riportavano al presente ed alle mille cose ancora
da preparare prima di Natale: la lettera a Gesù Bambino,
il ripasso della poesia che dovevo recitare quel fatidico giorno,
la letterina di auguri ai genitori, tutta infarcita di belle promesse:
diventare più buona, più brava, più ubbidiente,
eccetera, copiata dalla lavagna con bella calligrafia (che fatica!
e che tragedia costituiva la pur microscopica macchia di inchiostro
sfuggita dal pennino!). Al momento di imbandire la tavola per il
pranzo di Natale, tale letterina veniva nascosta con grande cura
tra le pieghe del tovagliolo di papà che, scoprendola, doveva
manifestare la più grande sorpresa e poi, inforcati gli occhiali,
la leggeva a voce alta, con evidente piacere ed orgoglio. Allertato
dalle occhiate "in codice" di mia madre, papà aveva
imparato ad aprire il tovagliolo con estrema cautela per evitare
che si ripetesse la tragedia di quella prima volta che, ignaro della
tradizione che si stava per inaugurare, lo aveva spiegato con ampio
svolazzo, facendo volare la povera letterina dentro il denso strato
di ragù che copriva la pasta al forno ...
C'era, poi, l'albero di Natale da allestire
in un angolo della sala da pranzo. Ognuno aveva il suo preciso incarico:
mio padre lo metteva su, e già perché non era un albero
vero e proprio. Ricordate? Bisognava andare alla forestale, vicino
al laghetto, dove non vendevano abeti interi, ma soltanto dei rami
di varia grandezza che bisognava mettere insieme. Quando il gruppo
di rami, girati e rigirati, riaggiustati e riaccomodati tra scossoni
e strattoni, tagli e ritoccatine, con l'ausilio di sega, bastoni
di scope per supporto, fil di ferro e spago, incominciava a somigliare
ad un albero, s'intende con una connotazione tutta sua, lo si teneva
in piedi riempiendo il recipiente di base con sassi, ghiaia, mattoni,
nascondendo il tutto sotto uno strato spesso di cotone, che rappresentava
la neve. Se pendeva, e succedeva sempre che pendesse, lo si appoggiava
contro l'angolo del muro, onde evitare pericolosi cedimenti e rovinose
cadute. Poi, mentre mio padre, accaldato ma soddisfatto, si sedeva
e, accendendo una sigaretta, si godeva il meritato riposo, toccava
a mia madre ed a me adornare l'albero. Mamma - io ero troppo impaziente
per farlo - aveva l'incarico di tirare fuori gli ornamenti di vetro
soffiato, srotolandoli delicatamente dallo strato di carta in cui
erano stati accuratamente avvolti e poi li passava a me; ricordo
che, prima di attaccarli sui rami, mi soffermavo sempre ad ammirare
i vari gingilli, dopo tutto, era come ritrovare delle vecchie conoscenze,
scomparse per quasi un anno; ogni ninnolo aveva la sua bellezza,
anche il più piccolo e modesto; e poi, c'erano i nuovi arrivati,
perché in casa nostra era tradizione che ogni anno , per
buon augurio, ne acquistassimo un paio e questi andavano ad occupare
il posto d'onore, in prima fila, sul ramo più alto, poco
sotto il puntale.
Infine, arrivava il momento, tutto e soltanto mio, di allestire
il minuscolo presepe ai piedi dell'albero, un'inezia, un nonnulla
se paragonato a quello della Cattedrale, ma un nonnulla che, ancor
oggi, occupa un posto speciale nel mio cuore.
AUGURI a tutti i componenti di questa
grande famiglia che è il Chichingiolo e al nostro straordinario
"Chichingiolaro/Timoniere" che magicamente ci tiene uniti,
assicurandoci una "navigazione" fantastica.
Elvira Romano
Dicembre 2003
21 Dicembre 2004
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