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Due righe sul tema: Il chichingiolo
(dove si tenta di stabilire l'etimologia e il fascino subìto dal frutto (ora) proibito)
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Ne ho un ricordo indimenticabile, legato ai tempi in cui avevo 11-12 anni, a Massaua. Le piante più belle di chichingiolo le aveva il mio migliore amico d'infanzia, Massimo Bini, nel giardino della sua casa a Taulud, proprio a fianco alla chiesa copta. Era una casa in stile coloniale, se non ricordo male a due piani, color ocra, con delle ampie verande ad archi, al piano superiore. La casa e il giardino erano tenuti in ordine perfetto da Idrìs, un massauino doc, serissimo e di poche parole, sempre con la sua immacolata takiya in testa. Le piante di chichingiolo le ricordo più alte di noi ragazzini, con dei rami ampi che partivano dal basso verso l'alto, di un verde chiaro intenso, che contrastava con l'ambiente desertico tutt'intorno. Tra le piccole foglie spuntavano questi piccoli frutti, o piuttosto delle bacche rotonde, semi-dolci, a volte asprigne. Servite in una scodella dall'ottimo Idrìs erano per noi un succedaneo delle noccioline (o del più costoso cajù, scoperto molto più tardi) da assaporare in quei lunghissimi, interminabili pomeriggi di siesta, in veranda, o all'ombra del giardino, prima di tornare a tuffarci al mare del Lido. Nostro compagno di mangiate di chichingioli era un coetaneo massauino, Franco Vitanza, magrolino, secco, con lenti da miope. Uno che ci raccontava le barzellette più spinte e le spacconate erotiche più incredibili che si potessero raccontare a quell'età. Suo padre gestiva il distributore di benzina vicino alle Ghiacciaie di Taulud. Se non ricordo male era un distributore dell'Agip.
EG
(19 febbraio 2003)


Erano fuori dal portone di ferro del S.Anna, i "masticai" che vendevano i chichingioli.
5 centesimi al misurino, un cartoccio passato attraverso la fessura, tra il portone e il muro, che spariva subito nella tasca del grembiule nero, dal quale poi continuavo a pescare, fino all'ultimo delizioso piccolo frutto
appassito. Seduta sul muretto, facendo a chi sputava il seme piú lontano, gesto provocatorio proprio perché cosí-poco-adatto-alle-ragazzine-per-bene, con un occhio alla suora, sorvegliante di turno, che non vedesse...
Mini-mela proibita di un mini-Eden dorato: "Non mangiare i chichingioli, che sono sporchi, chissà da dove vengono..." sempre la stessa raccomandazione, mai ascoltata, riferita di volta in volta ai kolo, ai full, agli ufun
abbrustoliti, ai dillep, alle noci di palma dum (quelle da battere, per "grattare" con gli incisivi il sottile strato di polpa quasi spugnoso e per poi, finalmente, rompere la buccia e far nascere la trottola con chiodo centrale e spaghetto). Tutta roba troppo buona, per rinunciarvi in nome dell 'igiene.
Ad Agordat, in concessione dallo zio Franco, li trovavamo freschi. Quelli peró erano permessi e perciò molto meno saporiti, per l'assenza del rito furtivo del frutto proibito...
Me ne ha portato un sacchetto qualcuno, recentemente. Dopo un primo assaggio, goloso piú di ricordi che di sapore, li ho messi via, per non-finirli-tutti-subito, nell'intenzione di prolungarne l'emozione. Errore. Li ho ritrovati deteriorati, pieni di piccoli ospiti indesiderati, che, a differenza di me, avevano potuto approfittarne allegramente!
Riverseró allora tutte le emozioni del ricordare su un altro chichingiolo: é virtuale, é benvenuto, é indeteriorabile, é proprio tutto nostro.
D.T.
(23 febbraio 2003)


Un impostore si aggira per il paese - oppure il chichingiolo è stato a lungo tenuto all'oscuro del fatto che tra frutta e ortaggi c'è chi porta un nome simile al suo ed è probabilmente di parentela stretta. Una rapida indagine, condotta con i metodi del Bar Sport, ha portato a questa conclusione: ci sono bacche e frutti che, per forma e dimensione, gli somigliano. C'è l'Alchechengio o chichinger (Physalis longifolia) che è pianta tossica. E va bene, lo sappiamo perché siamo qui per raccontarlo, incolumi.
C'è l'Alchechengio (Physalis alkekengi) o alkekengi o winter cherry o cerise d'hivers che:
a) in qualche luogo della Francia vive tra le viti, perché mischiato all’uva dà (o dava) un vino bianco dalle proprietà diuretiche e antireumatiche;
b) è componente di una dieta da ricchi che se lo pappano candito con il nome di chichingero e con lo stesso nome appare in qualche menù fra i dessert di ristoranti molto trendy;
c) a Milano, o nella Lombardia e nella Svizzera pure, il chichingero durante le feste di fine anno viene immerso in un bagno di cioccolato e venduto come delizia natalizia;
d) è stato avvistato negli orti comunali di Morbio Inferiore dove crescerebbe fra olivello spinoso, meloni, malva e carciofi.
A questo punto, a questo Chichingiolo viene il sospetto che il chichingero altro non sia che un umile chichingiolo, emigrato anni e poi anni orsono, che ha fatto tanta strada e fortuna.
La ricerca per la verità però continua. Perché a noi, per dirla tutta, questo chichingero non convince affatto.
F.D.
(6 marzo 2003)


Piccolo, dall’apparenza e dal sapore inconfondibili e … tiepido di sole, ecco come ricordo il chichingiolo.
E’ strano come riesca anche a ricordare il venditore, uno scricciolo smunto, smunto dagli immensi occhi neri, vivacissimi e dal sorriso accattivante, da imbonitore in erba qual era. Rincorreva noi ragazzine all’uscita dalla scuola, agitando il misurino in aria, assalendoci con una cascata di parole ripetute come un’allegra litania in cui “compra”, ”fresca-fresca” e “ati bellaié” si ripetevano e si intrecciavano.
Ne seguiva un divertente tira-molla sul prezzo da parte delle ragazze più intraprendenti; le offerte si intrecciavano, venivano respinte, con teatrale indignazione, la merce veniva sminuita dall’una e decantata dall’altra parte, finché si giungeva al sospirato accordo. Seguiva la “cerimonia” della consegna. Le mani piccole ed alacri del "chichingiolaro" si tuffavano velocissime nello zambil, si sollevavano tra una cascata ad effetto di chichingioli che, pur finendo nel cestino, creavano l’illusione di un misurino stracolmo, il cui prezioso carico veniva depositato nelle mani congiunte a conca della compratrice.
E poi ­ finalmente - il chichingiolo in bocca: un sapore unico, indimenticabile, forse perché legato al tepore del sole, al cielo sempre luminoso e terso, dall’azzurro smaltato, alla spensieratezza dell’adolescenza.
Elvira Romano
(22 maggio 2003)


< GABA' >
ovvero: BREVE STORIA DEL CHICHINGIOLO
(…e altri frutti parenti per un vocabolarietto di sinonimi!)

DEDICATO A: Daniela ed Antonella e Mario!

Nacqui in quella cittadina che sembrava fatta apposta per dare accesso a quanto di più sorprendente la nostra fantasia potesse aspettarsi di trovare. Il clima era mite ed asciutto lungo tutto l'arco dell'anno, i suoi fiumi con l'acqua che scorreva limpida, sempre fresca e tranquilla, con i dintorni costellati da oasi di verde che l'opera dell'uomo aveva trasformato in giardini ricolmi di frutti che incurvavano i rami degli alberi quasi a porli a portata di mano dei visitatori, con una varietà infinita di colori, sapori e profumi che rendevano quei luoghi stregati al punto che ci risultava veramente difficile uscirne senza rimpianti!
L'ombra degli alberi più alti proteggeva dall'esposizione diretta ai raggi del sole mentre si procedeva per le stradine che costeggiavano i canali d'irrigazione, mentre ci si poteva riposare nelle piazzole che a volte si incontravano fornite di panchine o tavoli rudimentali costruiti con i materiali più disparati ma non per questo meno attraenti: legno, tubi, cemento e lì ci si abbandonava al magico silenzio che in fin dei conti non era altro che l'alito continuo della natura. Un miscuglio di versi degli animali di tutte le varietà che potevano transitare nelle prossimità, il vento che accarezzava le foglie, l'acqua che gorgogliava correndo lungo i canali … ed il baccano che facevamo noi ragazzi, ma sempre in tono minore, perché eravamo soggiogati da quella meravigliosa natura!
Eppure, con tutto questo ben di Dio, qual'era il frutto ( o i frutti!) che noi ricercavamo? Per semplicità di raccolta e trasporto c'era il "gabà", per sapore e colore il "gugù" ed inoltre per eccentricità il "dillep"! Ed ecco a cosa corrispondevano nel quotidiano:
- il "gabà" non era altro che il "mitico" chichingiolo, che veniva gustato in tutte le sue fasi di crescita: frutto ancora verde sull'albero era sì tenero ma asprigno, mentre al primo accenno di colore giallo/rosso/arancio era ancora tenero ma più dolce. Infine staccato dal ramo e posto in vendita assumeva consistenza ed un sapore particolare che manteneva fino alla sua completa essicazione alla fine della sua esistenza utile. Va detto che l'albero del "gabà" era di solito di dimensioni ridotte, quasi un cespuglio gigante, anche se in alcuni casi, specie quando era protetto dalle continue incursioni degli animali e dell'uomo, poteva crescere rigoglioso come un qualsiasi albero. Noi ragazzi avevamo comunque due terribili concorrenti: gli uccelli e … quelli che non ci facevano mangiare i "gabà" al venerdì perché giorno di magro!
- Il "gugù" invece proveniva da un'albero molto grande e ricco di vegetazione che forniva ombra ai cortili delle nostre case. Dava frutti oblunghi della dimensione delle olive e del medesimo colore verde finchè erano acerbi, per divenire sfacciatamente viola e poi neri nel pieno della maturazione. Da quel momento in poi iniziava la guerra con i "pipistrelli volanti", bellissimi uccelli con un bel pennacchio sul capo ed una lunga coda forcuta, che penso avessero acquisito quello strano nome per l'accanimento ed il loro numero quando si gettavano sui deliziosi frutti, che su noi ragazzi a volte lasciavano un segno violetto inequivocabile sugli indumenti, ed allora sì che erano guai quandi si rientrava a casa dalle nostre mamme!
- Ultimo in lista ma non per la qualità, il "dillep", frutto del "mitico" baobab, il gigante che ha le radici nel cielo! Ogni frutto era un piccolo "cofanetto" ricoperto da una pellicola vellutata verde ed il suo contenuto dei "gessetti" color avorio, che una volta posati sulla lingua e succhiati, ci allappavano la bocca! Sapore unico per veri intenditori, riservato a pochi!
Questa ridottissima lista di frutti "nostri", della nostra terra e fanciullezza, ci offre il destro di utilizzare anche altri "nomignoli" ad essi legati per eventuali future esigenze, e volutamente ho lasciato fuori l'"accat" (dalla palma dum!) perché con i suoi derivati semi-industriali finali (la trottola di buona memoria ed i bottoni) sono di per sé fin troppo allusivi!

Aldo Negrin
(17 febbraio 2004)


Siamo Figli dell'Oriente Misterioso e la Storia, per noi, noi chichingioli, ovvio, non ha più confini. Fossimo dei veri professionisti grideremmo allo scoop e lo lanceremmo in prima pagina. La notizia (che non ci lascia insensibili) è appena giunta e sebbene la fonte sia degna di massima fiducia, abbiamo scelto il "basso profilo". Da Singapore ci scrive Husamuddin Amiji, Asmarino da sempre, che i chichingioli sarebbero di origine Indiana (il condizionale è d'obbligo. Sappiamo come vanno certe cose di campanile, c'è sempre qualcuno che potrebbe affermare il contrario, e cioè che furono gli Axumiti a portarlo in Oriente). Giunsero in Eritrea tramite gli Indiani del Sudan che si erano spinti nel Basso Piano, fino a Cheren e oltre. Gli Indiani, vegetariani, portavano con sé per la propria sopravvivenza non solo il "bor" (questo il nome del chichingiolo in Hindi) ma anche il 'mango', lo 'zaitun', il 'ramfal' o annona insieme con molti altri vegetali, che così vennero introdotti nel Continente Africano. Una sommaria ricerca nel vasto mondo di Internet ci ha inoltre portato a questa curiosa scoperta: per combattere il malocchio, seguendo un rituale mistico, gli Indù agitavano davanti al viso della persona da preservare dai demoni sette sassolini raccolti nel punto esatto dove si incrociavano tre strade, sette foglie di palma e sette rametti di bor. Che il chichingiolo fosse un talismano lo avevamo intuito ma che potessimo, un giorno, trovarci gemellati con l'India, beh, lasciatecelo dire, questo supera la nostra immaginazione.
Ringraziamo Husamuddin che si è riservato di fornirci altri particolari, qualora venissero alla luce.
r.c.
(20 febbraio 2004)


CHI SIAMO NOI?

Erano anni che volevamo andare a fondo della faccenda e scoprire chi fosse la nostra stirpe, quella dei chichingioli, chi gli avi e a quale legnaggio appartenessimo ma qualcosa ci aveva sempre frenato. Poi, nei giorni scorsi, una mail ricevuta recitava:

Non ti sbalordire... ma con un amica ci siamo andate a ricercare notizie sui famosi chichingioli che tutti noi abbiamo gustato durante le interminabili vasche asmarine e... in rete non abbiamo trovato null'altro che... il sito del Chichingiolo!!!
E' mai possibile? Forse non era quello il nome reale? Dammi lumi, ti prego, perché è come se, all'improvviso, mi fossi vista scippare un ricordo ed un sapore...

Era giunto il momento di agire e abbiamo scritto noi una mail di SOS all'Istituto Agronomico per l'Oltremare di Firenze. Sollecita e cortese ci è giunta la risposta della Dr.ssa Annamaria Belli, che qui ringraziamo per il suo prezioso aiuto:

In riferimento alla Sua richiesta di informazioni, credo che la pianta detta chichingiolo o gavà, possa essere lo Zizyphus mauritiana cioè il giuggiolo indiano, importato dagli Indiani appunto in molte zone africane. Le allego una scheda in inglese su questa pianta […]. Ovviamente è un po' difficile una identificazione esatta senza vedere direttamente la pianta, ma questa sembra molto molto probabile! In ogni caso dovrebbe essere sicuramente una specie di Zizyphus, cioè di giuggiolo. Ci faccia sapere se i vostri ricordi coincidono con la descrizione che le allego, in caso contrario cercheremo ancora!

Nella scheda citata dalla Dr.ssa Belli, tra gli innumerevoli nomi comuni del "giuggiolo indiano" c'è elencato anche "geva (Tigrigna)". Sempre dubbiosi, diffidenti e sospettosi delle notizie che negli anni ci erano giunte sulla nostra schiatta, di fronte alla tassonomia ci arrendiamo, ci inchiniamo e dichiariamo tutta la nostra soddisfazione.
Siamo Ziziphus Mauritiana, famiglia delle Rhamnaceae, conosciuti anche come Rhamnus jujuba L., Ziziphus jujuba Lam.
Detta in parole povere: siamo Zizifi dell'ordine Mauriziano della Ramnacea. E con questo possiamo andare in brodo di giuggiole!
il C.
(27/02/2008)

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CHI SIAMO NOI? (bis o ps dalla Sardegna)

Nelle montagne (più propriamente colline) di Capoterra, una dozzina di chilometri a Ovest di Cagliari, è pieno di quelle robe lì Rhamnus jujuba L., Ziziphus jujuba Lam. Io proporrei una ricerca sul campo: il vino è buono, i chichingioli si trovano sugli alberi.
Quando partiamo? O, meglio, quando arrivate?
Cordiali saluti,
LFB
(28/02/2007)

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INDIETRO TUTTA!

Se c'è un argomento sul quale quasi mai si transige, questo è la famiglia. E il chichingiolo non è un'eccezione. Mentre qui si fermentava per la notizia di cui sopra, Giuseppe Domizio saggiamente vegliava. E ora puntualizza, e (forse) mette la parola fine sul "Chi siamo noi?". Leggiamo:

In Eritrea ci sono tre giuggioli:

1) ziziphus spina-christi (il chichingiolo, il cui nome, pare, derivi da chichingi che in realtà sono gli alchechengi);
2) ziziphus abyssinica
3) ziziphus mucronata

In tigrigna il primo è chiamato gaba, il secondo gaba-agdi ed il terzo gaba-armaz.
Per gli arabi il primo è invece chiamato sidr mentre per gli inglesi è Christ thorn jujube.
Controversa è l'origine del primo giuggiolo: India o Palestina?
In India, la pianta del punto uno è chiamata indian jujube, ziziphus jujuba lam o ziziphus mauritania Lam.(Lamark) mentre in Palestina ancora oggi è chiamata ziziphus spina- Christi e, visto che duemila anni fa circa, qualcuno confezionò una corona di spine con i suoi rami… si potrebbe pensare che sia un prodotto più medio orientale che Indù. E probabilmente il chichingiolo è arrivato in Abissinia portato dagli arabi… però…
In ogni caso il nome del giuggiolo dei nostri ricordi sarà sempre CHICHINGIOLO.
Auguri di buona Pasqua a tutti gli asmarini.
G. Domizio - Dalmine

L'argomentazione è forte, fortissima, diremmo quasi inattaccabile. Indietro tutta, quindi, ma lasciamo sempre la porta aperta a qualsiasi altra tesi. La cosa, si sa, è spinosa…

Sulla faccenda vi segnaliamo alcuni tra i link più interessanti dove troverete, seppur in Inglese, dovizia di particolari:

http://www.beesfordevelopment.org/
http://www.africa.upenn.edu/
http://www.pubmedcentral.nih.gov/

il C.
(1/03/2008)

AGGIORNAMENTI

Franco Caparrotti ci scrive:

Ho letto della ricerca sull’origini del Chichingiolo, molto interessante. Per curiosità ho fatto controllare dal mio collega la parola “Nabak“. (Chichingiolo, appunto), su Google in arabo ed in effetti il nostro caro frutto è il Zizyphus spina christi.
Vedi su internet il seguente sito: http://www.kenanaonline.com/
Apparirà una pagina in arabo che si può tranquillamente avere tradotta in quanto, in alto a sinistra, appare la parola “English”. Ci sono molte informazioni utili come il valore nutrizionale, usi medicinali ecc.
Franco

P.S.
Ieri, tramite il mio collega sudanese, ho ricevuto un altro sacchettino di Chichingioli e in più un sacchettino con i frutti del baobab. Fantastico!!!
Ciao.

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La Dr.ssa Annamaria Belli dell'I.A.O di Firenze gentilmente ci segnala che da 21 al 25 settembre 2008 si terrà, presso l'Università di Hebei, Baoding (Cina), il primo simposio internazionale sul giuggiolo (Ziziphus). Tutte le informazioni a questa pagina: http://www.ziziphus.net/
Figureremo tra gli invitati speciali? Chissà!
il C.
(10/03/2008)

SERENDIPITA'

Coi chichingioli può succedere di tutto, anche questo. Provo a raccontarvelo: sto scrivendo una e-mail in inglese, mi incarto in un periodare tortuoso e infinito, finisco per incagliarmi su una parola di cui non ricordo lo spelling esatto. Sono alle strette, il tempo incalza, la mail deve partire. Come fare? Non voglio alzarmi dalla sedia per andare nell'altra stanza a compulsare il dizionario. Mi ricordo che il sito on line del New York Times offre un aiuto straordinario a sprovveduti con quella lingua come me: cliccando su una parola qualsiasi degli articoli pubblicati dal quotidiano americano, si apre una finestra autonoma chiamata Reference Search dove la parola scelta viene spiegata, sezionata, rivisitata, rivestita e svelata. Insomma, un dizionario versione sprint. E' la mia ancora di salvezza in questo pigro giorno piovoso di maggio. Sono già on-line (ah, l'ADSL…), apro http://www.nytimes.com/, prendo il primo articolo a caso che mi stuzzica il mouse, clicco sul suo titolo "Operation in Sadr City Is an Iraqi Success, So Far" e riclicco su "Sadr" per aprire lo scrigno delle meraviglie linguistiche per poi procedere autonomamente a verificare la parola stregata che mancava alla mia tastiera. Quello che leggo, powered by Answers.com come recita la noticina accanto al titolo, mi lascia di stucco. Provate a leggere, è facile:

sadr
Dictionary

Sadr
n.
(Bot.) A plant of the genus Ziziphus (Z. lotus); -- so called by the Arabs of Barbary, who use its berries for food. See Lotus (b).

Non credo ai miei occhi! Di tutte le parole, ne ho scelta una che mi rimanda alla nobile famiglia dei Zizifi di cui siamo parte. Ovvero, adesso i chichingioli mi guidano anche nelle scelte lessicali. E allora allunghiamo pure il brodo di giuggiola...
f.d.

(21/05/2008)


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