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"A" COME ...
 

Quando penso all'amicizia solida e genuina, avulsa da ogni pressappochismo interessato e fragilità temporale, l'associo subito ad Asmara: "A" come Amicizia = "A" come Asmara. Riflesso pavloviano o semplice associazione di idee? Poco conta la definizione visto che in questo caso il risultato non cambia: Amicizia e Asmara restano, infatti, strettamente correlate.

Non me ne vogliano coloro che un tempo mi rimproverarono di riferirmi soltanto alla nostra capitale omettendo di nominare Cheren, Massaua, Decamere, Adi Ugri, Adi Quala, e tutto il resto. Non è nelle mie intenzioni escludere nessuno in quanto l'amicizia è il comune denominatore che unisce tutti, ma proprio tutti noi Chichingioli. E' l'amicizia per l'amicizia, senza secondi fini, senza recondite intenzioni, senza nascosti interessi, l'amicizia pura, semplice, sentita, fidata, fine a se stessa, come il legame innocente che nasce tra i bambini nei loro primi giochi, ma più duratura perché più adulta e perciò più preziosa, che noi Chichingioli abbiamo conosciuto e assaporato, tant'è che essa è stampata nel nostro DNA e fa parte del nostro bagaglio genetico.

Più volte ho constatato anche sulla mia pelle che molte delle amicizie d' "oltre oceano", seppur nate con le migliori intenzioni, non appena cadono in balia del mare spesso tempestoso dell'esistenza, travolte dal dinamismo della lontananza o dei cambiamenti, finiscono, nella maggioranza dei casi, se non proprio nell'oblio, certamente relegate in un angolo remoto della mente, tra quei ricordi a volte un po' struggenti ma ormai distaccati, di un qualcosa che poteva essere e non è stato. Una ineluttabile condizione del vivere accettata e giustificata dalla societa' che ha fatto del vecchio adagio: "Lontano dagli occhi, lontano dal cuore" il proprio inappellabile credo. Se è vero, tuttavia, che a tutto si puo' contrapporre il contrario, la nostra amicizia "asmarina" ne è la riprova perché non solo vive al di là delle distanze continentali ma ne esce rafforzata, alimentata dal calore della terra che ci ha nutrito e cresciuto, la nostra Africa.

Poiché è sotto quel cielo turchino, sotto quella volta smaltata, ora incendiata dal sole, ora punteggiata da mille stelle luminose, all'ombra della Cattedrale, tra le palme e le felci lussureggianti del bassopiano, assaporando le fragole dolcissime di Adi Ugri, i manghi profumati di Cheren e l'uva piccola e dolce di Decamere, riscaldati dalle sabbie dorate e calde di Gurgusum, che siamo cresciuti e, crescendo, abbiamo conosciuto e istintivamente rispettato e protetto la sacralità dell'amicizia. Non ne eravamo forse consapevoli ma l'abbiamo accettato come il fatto più naturale del mondo. Un dono straordinario, quindi, della cui portata abbiamo preso piena coscienza successivamente con l'età, attraverso le esperienze maturate e che ora mi piace immaginare simile ad un gigantesco ombrello aperto, protettivo ed accogliente sotto il quale noi Chichingioli ci ritroviamo per abbracciarci e ricordare, per sorridere e danzare, per celebrare il presente e, brindando al futuro, suggellare questa nostra stupenda Amicizia.

Elvira R.

 

1 Maggio 2012



 
 
TERRAFFICCHI E DINTORNI
(Una questione di feeling)
 

 

Caro Kikki,
Lo confesso: sono colpevole per aver preso un'incresciosissima multa per parcheggio in area destinata ai disabili. Onestamente non mi ero accorta del divieto e me ne sono davvero vergognata perché se c'è una cosa che trovo offensiva è proprio quando vedo macchine (per lo più di medio/alta cilindrata) parcheggiate con arroganza in area disabili.

Euro 80 e 2 punti tolti dalla patente. Allegato c'è un modulo che dà la possibilità di saldare la sanzione dal tabacchino, per cui voglio chiudere la questione e mi reco immediatamente a pagarla, (+ spese bollo).

Qualche tempo dopo mi arriva una raccomandata ingiungendomi di pagare €96 per la multa in questione. Lo sportello della Polizia Locale è aperto solo di mattina in orario di ufficio, per cui prendo un paio d'ore di permesso e mi ci reco munita di ricevute. Devo pagare un saldo di €16 per la notifica. Mi chiedo perché notificare una cosa che ho saldato seduta stante. E' la procedura per la notifica dei punti, mi viene detto. Prendo il bollettino e - mannaggia! - si imbosca tra le tante carte sulla scrivania. Mi ricapita in mano dopo un paio di mesi e lo pago, (+ spese bollo). La settimana successiva (veloci loro!) mi arriva un'altra raccomandata dove mi si ingiunge di pagare €79 per il ritardo. Altre due ore di permesso, torno allo sportello per chiedere delucidazioni. Al massimo, mi dico con l'ottimismo che mi perseguita, pagherà il ritardo sui €16 e non su tutto… Eh no, cara signora, il computo della multa viene fatto in automatico, per cui non possiamo chiudere la pratica se non salda subito per il totale. L'alternativa è l'iscrizione al ruolo…

Sono davvero furiosa ma velocemente calcolo quanti altri permessi dovrei prendermi per seguire la pratica, poi magari interviene pure Equitalia. Pago (sempre con + spese bollo).
Quella multa mi è costata €179.46. Così è se mi pare e anche se non mi pare!

***

Ritorno con la mente a quando nel '69, compiuti i 18 anni, ho preso finalmente la patente. Ero così orgogliosa! Avevo già la patente per il Ciao, ma quella della macchina mi dava l'emozione di un diverso livello di maturità. Beh, sulla maturità possiamo parlarne, visto che ho passato i successivi due anni riscattando alternativamente ora l'una ora l'altra patente dall'Ufficio Traffico di Asmara. Le cose andavano così: commettevo l'infrazione e il poliziotto di turno ritirava la patente e diceva: "Vai a Terrafficchi, paga e prendi tua patenti".
E io recuperavo la patente, senza spese bollo, senza addizionali di notifica, senza lo spauracchio del ruolo di Equitalia.

Oppure a Monrovia, dove i poliziotti del traffico ricevevano lo stipendio forse un paio di volte all'anno e dovevano arrotondare con le multe. Ti fermavano e se non volevi che "arrestassero" la macchina (dicevano proprio così: I arrest the car) ti sventolavano le 5 dita della mano dicendo con grande disinvoltura: "You beg me now or else you beg me later", o $5 subito o $10 quando le mani mostrate diventavano due.
Anche là pagavi il tuo obolo di $5 netti da spese e tornavi a casa, fino all'incontro successivo.

La verità , caro Kikki? Mi divertivo di più all'andirivieni del Terrafficchi e al minuetto 5/10 dita/dollari… Questione di gusti e di feeling, no?
D.

 

12 Giugno 2012



 
 
COME ERAVAMO... THE WAY WE WERE?
 

La "nostra" penna D. ci invia quel che segue e, prima di chiudere con il suo rinascimentale "@", si e ci chiede: sarebbe divertente avere anche il contro-canto dei maschietti, no? La sfida è lanciata: c'è qualcuno tra i ranghi maschili pronto ad accoglierla? A voi la sentenza.
il C.

 
 

 

Ciao, Kikki,
il sole è splendido, ai bordi della strada già torreggiano gli ufun e presto saranno carichi di pannocchie: l'estate c'è!

Sarà per questa lievità del cuore, ad un incrocio do la precedenza nientemeno che a due pedivelle colorate che, pestando con convinzione sui pedali, non devono così perdere il ritmo.

E cosa succede? Uno dei due, ignaro del malanimo che notoriamente nutro per la sua genia, mi manda non uno ma bensì cinque baci accompagnati dalla mano... e la più sonora delle mie risate lo lascia interdetto con la mano a mezz'aria.

Sorridendo, penso a quando avevo un terzo delle primavere che conto oggi ed erano molto più abituali le galanterie, i sorrisi e i complimenti, ai quali però non rispondevo con un'irriverente risata ma arrossendo come di prassi. Oggi c'è di tutto e di più. Forse anche ieri, o ierlaltro, ma le cose da noi erano parecchio diverse.

Guardando un vecchio film di Doris Day che faceva le prove di ballo su un palcoscenico, (splendida voce, simpatia a mille, ma tacchi bassi, scarpe bianche probabilmente nr. 41, pettinatura... ma che taglio assurdo aveva? Roba da non credere! Carolyn Smith, severa giudice di "Ballando", l'avrebbe fulminata seduta stante: ZERO! Dov'è la femminilità e l'armonia?) è stato un flash! Vuoi vedere che ho scoperto il perché della totale assenza di sex appeal che mi porto dietro negli anni? Già, perché alle burrose bionde conio Marilyn o alle sensuali more stampo Jane Russell, i severi canoni formativi di casa nostra preferivano le più "consone" all'acqua-sapone Doris Day e Sandra Dee oppure quelle "in pantaloni" alla Barbara Stanwyck e Katharine Hepburn: è sulla scia di quei modelli di taglio sportivo la mia inclinazione per lo sport e per le mise sportivamente castigate. Uno dei più bei regali trovato sotto l'albero di Natale è stata una tuta blu negli anni '60. Un'informe e comodissima tuta blu che mi faceva sentire un'atleta primatista. L'avevano presa da Pace e da nuova aveva l'odore acre di gomma che impregnava tutti i prodotti in vendita in quel negozio, dalle scarpe da ginnastica alle palle da tennis, da basket e da volley. Alt: noi si diceva da pallacanestro e da pallavolo!

L'ora di Educazione Fisica, di Ginnastica, era ovviamente una delle lezioni che preferivo e gli otto anni di EF con la Professoressa Clotilde Lambertucci sono uno splendido ricordo. Con un fisico che mi consentiva di fare abbastanza bene, e che tenevo in allenamento con le scorribande sugli alberi di mangus, zaitun e baobab di Elaberet, provavo tutto quello dell'atletica leggera che la Prof proponeva e in genere ci riuscivo.

Avevo scelto il salto, in lungo ma soprattutto in alto, e lo stile era quello antico a "sforbiciata" dove si affronta l'asticella in diagonale prima con una e poi con l'altra gamba in sequenza, cadendo in genere sul fondoschiena sopra una buca piena di sabbia mica poi così morbida, volta su volta rincalcando le vertebre della zona sacrolombare e dando inizio alla saga-del-mal-di-schiena che mi ha accompagnato lungo tutta la via.
Se solo avessi provato a migliorare lo stile, portandolo alla tecnica ventrale, sicuramente le cose sarebbero andate meglio sia per i risultati che per la schiena.
Quando la "rivoluzione" dello stile Fosbury, ormai universale, portava il salto in alto maschile agli attuali mt. 2.45 e quello femminile ai mt. 2.09, facendo però atterrare gli atleti su alti e morbidi materassi paracolpo, tutt'altra cosa della poco ammortizzante sand-pit, io non praticavo già più l'atletica, essendo passata alla pallavolo.

Mi rimane di quel periodo il ricordo delle gare di atletica delle scuole di Asmara della terza media. Quell'anno si sarebbero svolte al Campo Cicero e la Prof, che mi aveva inclusa nel team di salto in alto, propose la nostra candidatura all'approvazione della Preside del Sant'Anna, Suor Anna Maria Eletta, che bocciò la partecipazione quando scoprì che le atlete - bontà divina, che cosa sconveniente! - avrebbero dovuto indossare i calzoncini corti.
Durante le gare guardavo vincere Ionne Bristot dell'Istituto Bottego mentre, piangendo di rabbia aggrappata alla rete del Campo Cicero, pensavo a quanto fosse stata più scandalosa la scelta della Suor Anna che i pantaloncini corti...

E ignara che "la perfetta semplicità è inconsapevolmente audace" ho continuato la mia crescita nello stile sportivo-Zurlì.
Perché Zurlì? Prova a riproporre a un'adolescente di oggi un modello Doris-Day/Sandra-Dee! Solo dopo aver messo a fuoco i soggetti sicuramente a loro sconosciuti, ti risponderebbero "ma perché allora non il Mago Zurlì?".
Là dove la velina dal pelvico rotear è vincente, dove anche il top delle sportive, la bella Federica, riesce tra una nuotata e l'altra a far apparire sexy perfino il semplice sbocconcellare un biscottino leggero leggero... beh, il mio è stato in pieno uno stile Zurlì! Un anno desideravo tantissimo un paio di mocassini marroni. Da donna non c'erano, e allora li ho presi da uomo. Ma quando mai! Oggi assisto alla para-tragedia esistenziale ogni volta che in ufficio si richiede di indossare le magliette con il logo della ditta per essere più "corporative" in occasione di qualche evento. Le magliette sono unisex, per cui non abbastanza attillate, non abbastanza scollate, non abbastanza seducenti… e mi accorgo del gap generazionale direttamente proporzionale alla rapidità con cui cresce la mia intolleranza, che se perdessi peso con la stessa velocità con cui perdo la pazienza sarei un figurino, …e allora sai che fascino? Magari non proprio un fascino novello, ma di ottima annata sicuramente!
Caro Kikki, auguriamoci reciprocamente una bellissima estate!
@ D.

 

22 Luglio 2012



 
 
IL COMPROMESSO (DI FERRAGOSTO)
 

 

Tutto è iniziato così per caso da un incontro a cena con un'amica che non vedo da tempo dopo che al telefono mi aveva anticipato con voce eccitata di voler assolutamente farmi conoscere il suo "nuovo amore". Sapendola felicemente sposata e poco propensa alle avventure, le sue parole mi avevano suscitato tanta perplessità e altrettanta curiosità.
I soliti, odiatissimi lavori stradali, però, che dilagano ovunque d'estate mettendo a dura prova i nervi dei guidatori già surriscaldati dal grande caldo, mi fanno arrivare in ritardo al ristorante dove, bene conoscendo la fissazione della mia amica per la puntualità, mi aspetto di essere accolta dal tamburellare nervoso della dita sulla tavola; invece, con mia grande sorpresa e sollievo, la scorgo da lontano tranquillamente seduta, intenta a fissare un rettangolo lucido e piatto, più grande di un palmare, che tiene tra le mani. Avvicinandomi riesco a mettere a fuoco l'oggetto misterioso e scopro che il "nuovo amore" segreto altro non è che un tablet lettore di e-book, cioè del libro elettronico.
Vorace lettrice, la mia amica è solita immergersi nella lettura di montagne di testi di ogni genere: romanzi, saggi storici e letterari, biografie, racconti, articoli vari, per cui sono abituata a vederla scomparire per lunghi periodi dai quali riaffiora, raramente delusa e spesso appagata, per parlarmene con entusiasmo. Se poi capita ad entrambe di aver letto la stessa pubblicazione, lo scambio di impressioni, specialmente se divergenti, diventa acceso, con grande soddisfazione reciproca.
Prendendo posto a tavola, so già cosa mi aspetta. Con lo sguardo ed il sorriso sprizzanti entusiasmo, lei incomincia con slancio ad elogiare l'e-book con lo stesso tono eccitato che fa eco a quello dei miei figli che me lo avevano illustrato estesamente qualche tempo prima. In quell'occasione ricordo di aver mostrato ben poco interesse, tanto che alla fine, più per dare loro soddisfazione che per convinzione personale, avevo accettato di familiarizzarmi con quel nuovo miracolo tecnologico usandolo per un certo periodo.
Riconosco che la prospettiva di poter leggere migliaia di libri, saggi, pubblicazioni e quant'altro, tutti racchiusi in quella tavoletta grande quanto un libro tascabile è indubbiamente allettante ed affascinante: un leggero tocco delle dita è sufficiente per aprire il menu, un altro leggero buffetto per avere il testo prescelto, il tutto eseguito con una procedura lineare.
Conoscendomi, però, mi rendo conto che per accettare questa, così come qualsiasi altra novità tecnologico-informatica, devo prima superare la diffidenza atavica ed il rigetto che provo di primo acchito per tutto ciò che, intrufolandosi nella mia quotidianità, la mette a soqquadro. Ne detesto lo sconvolgimento iniziale e l'impressione inquietante di essere catapultata verso l'ignoto con risultati imprevedibili, ancora di più nel caso specifico dell'e-book che sembra voler scalzare l'antico e familiare piacere della lettura di testi cartacei; da qui il mio, in fondo comprensibile, altalenare fra il frastornato e l'affascinato.

Rientrata a casa, tento di calmare la mente ricorrendo al consueto rimedio infallibile: sorseggiare una bella tisana calda, raggomitolata nella poltrona preferita, in compagnia di un buon libro, un libro "normale", di quelli con le pagine di carta e la copertina dai colori sobri o vivaci, che si finisce per riconoscere come un vecchio amico. Posando la tazza sul tavolino, però, lo sguardo scivola sull'e-book che si trova accantonato vicino al tascabile che sto finendo di leggere. Libro elettronico e libro tradizionale, entrambi giacciono affiancati, innocui e inanimati ma che rivoluzione in quei pochi centimetri quadrati!
Riluttante, sospirando come se fosse un atto di penitenza, allungo la mano verso l'e-book, ricerco e apro la stessa pubblicazione che ho finito di leggere in formato cartaceo, perché se devo paragonare i due tanto vale partire dallo stesso punto, anche se, caparbiamente, non mi sento affatto pronta a dare l'addio a quello tradizionale, anzi la sola prospettiva mi sembra quasi sacrilega.
Sarebbe -mi dico- come disconoscere metà della mia esistenza trascorsa in Asmara con le puntate frequenti dal "Vecchietto" per fare incetta di libri usati poiché quelli nuovi non erano mai abbastanza. In quel paio di vani stretti e in penombra, mi rivedo ragazzina col naso per aria a contemplare affascinata tutti quei testi polverosi, accalcati sugli scaffali su, su fino al soffitto; avrei voluto sfogliarli uno per uno per scoprire il loro contenuto ma dovevo accontentarmi di quelli più adatti alla mia età. Ricordo la soddisfazione del rientro a casa al crepuscolo con cinque o sei libri da leggere. Qualche volta, se all'interno scoprivo le dediche ("A Fabio, con amicizia" oppure "A Maria, con affetto") scritte con svolazzi e ghirigori, mi chiedevo che fine avessero fatto i vari Fabio o Maria, Giulio o Francesca, probabilmente rimpatriati come tanti facevano in quegli anni, fantasmi scomparsi nel nulla e della cui esistenza rimanevano soltanto poche righe d'inchiostro sbiadite dal tempo.
La gioia più grande, però, rimaneva quella di ricevere in regalo un libro nuovo, ancora odoroso di stampa, un libro tutto mio che leggevo e rileggevo fino a conoscerlo quasi a memoria e che poi riponevo sullo scaffale da dove, allineato con gli altri, sembrava occhieggiare amichevolmente. Il momento più bello dedicato alla lettura era la sera dopo cena, prima in salotto, poi a letto fino a che la luce dell'abatjour, trapelando da sotto la porta, mi tradiva e quindi, dall'altra parte del corridoio, il monito di mia madre: "Elvira, spegni la luce che ti rovini gli occhi" mi constringeva a malincuore ad abbandonare il mio eroe, non del tutto, però, visto che al buio la mia fantasia accesa intrecciava una trama tutta mia, poco importava se poi si rivelava totalmente inconcludente dato che ogni volta il sonno aveva la meglio su di me. Alle superiori ricordo che la professoressa di italiano aveva instaurato, ad un certo punto, la consuetudine di presentarsi una volta al mese con una pila di svariati libri di lettura presi in prestito dalla biblioteca dell'Istituto Magistrale per arricchire la nostra cultura. Succedeva, però, che mentre alcune fortunate compagne di classe si vedevano assegnati dei romanzetti leggeri, quelli di Delly, per esempio, andavano per la maggiore, a me l'insegnante appioppava, spesso purtroppo, libri d'autore, a mio giudizio dei veri polpettoni che accettavo a denti stretti e leggevo per dovere, senza particolare entusiasmo tranne qualche sporadica eccezione; mi rifacevo, comunque e di nascosto, prendendo in prestito dalla compagna più fortunata il romanzo rosa che divoravo in due sedute. Solo più tardi, da adulta, avrei capito ed apprezzato l'oculatezza dell'insegnante che con la sua interferenza voleva indirizzarmi a letture più ricche e sicuramente più formative.

Lo schermo luminoso mi costringe a tornare al presente; le parole sono chiare e leggibilissime, il tablet pesa pochi grammi, quindi ci sarebbero tutte le condizioni migliori per assicurare una buona lettura, invece, perplessa, riconosco che non è così. Anche se il testo è lo stesso e le parole sono identiche, anzi i caratteri sono meglio definiti, tutto a vantaggio della vista che, si sa, con l'avanzare dell'età tende a deteriorarsi, devo ammettere che c'è qualcosa che non mi convince del tutto. Un po' irritata dalla mia incertezza prendo in mano il tascabile, a tergo della copertina rileggo, distrattamente, la breve biografia dell'autore, lo giro e rigiro, lo sfoglio velocemente, come se la risposta ai miei perché possa saltare fuori da quelle pagine, all'improvviso come il genietto dalla lampada, invece nulla. E' inutile, alla fine mi arrendo e, frustrata, chiudo il libro con un colpo secco. Una cosa è chiara: il libro elettronico mi lascia fredda e distaccata perché mi priva di tutto: del fruscio delle pagine, dell'odore inconfondibile della carta stampata, del piacere tattile della copertina lucida o patinata, rigida o morbida cha sia; mi manca perfino il vecchio segnalibro di pelle screpolato dall'uso che, sporgendo, sembra una sentinella attenta in attesa del mio ritorno. Ed è proprio enumerando mentalmente questi passaggi che mi rendo conto di aver finalmente trovato una risposta plausibile: l'e-book mi priva del rituale abituale, di quella gestualità confortante e rassicurante che, appunto con il passare degli anni, si è così ben radicata da non essere più percepita.

Obiettivamente, tuttavia, sento di non poter nè sottovalutare, nè tantomeno ignorare gli innegabili vantaggi offerti dal libro elettronico che, per la sua compattezza e per l'abbondante scorta libraria racchiusa in quei pochi grammi, diventa sicuramente il compagno ideale di viaggio. Addio, quindi, a valigie e borse a mano stipate all'inverosimile di romanzi e riviste, finalmente braccia e schiena possono affrancarsi da indolenzimenti e dolorosi stiramenti muscolari causati dal peso eccessivo.

Mi rendo conto, a questo punto, di avere le idee un po' più chiare: libro elettronico sì, soprattutto se in vacanza o in viaggio, il cartaceo, invece, continua a dominare tra le pareti domestiche, almeno per ora. In questo modo, evitando di arrivare all'estrema negazione dell'uno a favore dell'altro e tentando, al contrario, di abbracciare il meglio di entrambi, faccio del compromesso un ponte solido che rende il passaggio dal vecchio al nuovo graduale ed accettabile.
Così, confortata da questa salomonica decisione, ritorno, finalmente senza più sensi di colpa, al mio libro, ne accarezzo la copertina, lo apro sfilando il vecchio segnalibro e, rasserenata, riprendo la lettura sorseggiando la tisana ormai tiepida.

Buon ferragosto a te, caro Kikki e a tutti i Chichingioli e Chichingiole sparsi per il mondo.

Elvira R.

 

7 Agosto 2012

 

Concordo, Elvira, concordo!
Sebbene io trascorra - come milioni di persone d'altronde - oltre 8 ore al giorno di fronte al PC, e riesca anche a googlare e wikipediare discretamente e di tanto in tanto mi fregi pure del titolo emancipato di Millenium Mum, devo purtroppo ammettere la mia limitatissima inclinazione verso il tecnologico-informatico in genere, e qui includo tutto ma proprio tutto, dall'apparecchio TV che non riesco mai a sintonizzare come vorrei (specie dall'avvento del digitale terrestre) al DVD player che mi fa penare i film che ambirei tanto vedere, dallo scarico delle e-foto che o son troppo pesanti o chissà dove le ho archiviate nel salvataggio, dallo smart phone che ho accarezzato per ore fin a fargli fare le fusa prima che imparassi a fare una semplice telefonata, al tablet/telefono che mi ha prestato Vanni e che, quando squillava, mi portavo meccanicamente all'orecchio facendo rotolare dalle risate gli astanti... si capisce quindi in quale inconveniente mi metterei introducendo un e-book nella mia esistenza.

Riconoscendone l'ovvia comodità nei viaggi, specie ora che i low cost ci costringono a tagliare drasticamente nei pesi, sarebbe comunque un rapporto forzato. Rispetterei l'e-book ma senza amarlo, mentre amo i libri tradizionali anche senza alle volte rispettarli troppo, perché li stropiccio portandomeli appresso in borsa, in macchina, in spiaggia, e li strapazzo ripiegandoli sul dorso quando la posizione di lettura, informicolandomi la mano o il braccio, mi obbliga all'uso di un solo arto, li scarabocchio sottolineando un passaggio fulminante o illuminante, li marchio con il fondo umido del mio mug... e qualche volta, sì, li imbrattato di cioccolato o di frutta, di marmellata o di qualche non ben identificato untume, magari il doposole in fondo alla sacca del mare.

Amo i libri, sono affetta da acquisto compulsivo, aumentando così sempre più quelli non letti rispetto ai già letti (specie da quando il tempo è più dedicato al recupero dell'energia spesa in altre attività che alla lettura). Sono felice quando ravvedo la possibilità di farne un gradito presente. Devo condividerne il piacere quando incrocio un testo particolarmente interessante, comprandone più copie da regalare ad amici e parenti. Mi piacciono come arredamento al punto che molto presto sacrificherò anche le ultime fredde ed eleganti vetrinette che custodiscono preziosi argenti e cristalli in favore di calde e interessanti librerie che diano la giusta visibilità a libri che ormai non hanno più spazio e se ne stanno indecorosamente impilati di fianco al mio comodino. Li amo da quando, bimbetta, me li raccontava il mio papà, descrivendomi la biblioteca che aveva da studente, della ricchezza di conoscenze in essi contenuta, delle meravigliose avventure che regalavano e che ho imparato a vivere totalmente sprofondata nella loro lettura.

Anch'io frequentavo per compra-vendita il negozio di libri usati del "Vecchietto" in zona Clinica Igea, e uno dei primi stipendi lo spesi con fierezza alla libreria Pedrini di Asmara. Un luogo incantato, quella libreria, così moderna e luminosa. Libri dalle copertine colorate, diversi da quelli di Utet, così austeri, tutti uguali, che mettevano in soggezione. Sembravano donne, se pur bellissime, rese identiche da anonimi burka.
Ma non solo libri, da Pedrini. Anche fumetti. Intrepido e Monello con Billy Bis a bordo dell'Isotta Fraschini nelle vicissitudini con l'amica-avversaria Gegia Miranda; Crystal, estimatore dell'omonimo champagne e puntatore alle corse della cavalla Berenice; e come non ricordare "Qui Commissario Norton", fisicamente così somigliante al mio mito di allora, il bell'Alain Delon? E poi Nembo Kid (come inizialmente abbiamo conosciuto Superman), Batman e Robin, e tutta la brigata dei Super Eroi.
Gli ultimi Intrepidi e Monelli li compravamo a Jeddah, in un negozietto dove si trovavano di tanto in tanto giornali e riviste italiane… ma debitamente censurati. Succedeva che il retro dell'ultima pagina dell'episodio del fumetto riportasse la foto un po' discinta di qualche attrice… e la censura saudita, munita di grosso pennarello nero, copriva totalmente l'immagine scostumata, il pennarello inchiostrava la carta da parte a parte e la fine dell'episodio diventava illeggibile e quindi lasciato a libera interpretazione del lettore.

Non prevedo grande affermazione e futuro dell'e-book nella mia vita. Forse una co-presenza, utile là dove una ricerca sarebbe senza dubbio immediata e dove, appunto, il poco ingombro sarebbe determinante. Ecco, un rapporto di-necessità-virtù e basta… perché il profumo dei libri, quelli elettronici (così asettici) non potranno mai averlo!
Buon ferragosto, Elvira, Lord e Mondo Kikki, magari in ottima compagnia di un buon libro, elettronico oppure no!
@ D.

 

12 Agosto 2012

 



 
 
C'È QUALCOSA NELL'ARIA, STAMATTINA
 

C'è qualcosa nell'aria, stamattina… quel tenue arcobaleno che mi da il buongiorno, quasi scusandosi di essere in ritardo con l'Estate di San Martino, e mi dice: "Guarda che splendida giornata che c'è oggi, tiepida, con i raggi del sole che illuminano i rami vestiti degli splendidi colori caldi autunnali, l'arancio, il rosso, i giallo, il bruno chiaro, l'ocra".

Da quando ho lasciato l'altopiano nel 1975, due cose di queste latitudini mi hanno sempre affascinata: l'autunno con i suoi meravigliosi colori e la primavera con l'immensa determinazione del suo tenero risveglio. La differenza delle stagioni non ci apparteneva, come non eravamo abituati all'orario costantemente diverso dell'ora del tramonto, alla diversa escursione termica diurna. Là avevamo nell'armadio indumenti per tutte le stagioni in quotidiana rotazione. Qui il primo inverno ci aveva lasciate confuse per gli 8° gradi costanti: mattino, mezzogiorno e sera, sempre 8°!

C'è qualcosa nell'aria stamattina, mentre percorro la mezz'ora di strada che mi porta in ufficio: un che di déjà vu. Forse è la luce che dopo la pioggia buca facile l'atmosfera trovandola tersa, come accadeva sul medio o altopiano a settembre alla fine delle grandi piogge, quando il manto giallo dei fiori del Maskal chiazzava la campagna e le Gloriose Abissiniche splendenti della loro raffinata eleganza danzavano al canto del vento.

La stagionalità dell'Eritrea è costantemente nelle mie fibre manifestandosi di volta in volta, quando abbasso la guardia dalla tensione quotidiana e permetto che un attimo di bellezza abbia il sopravvento, con un profumo, un colore, una luce, il tepore di un raggio, la frescura di un alito di vento.
Il profumo della terra che si asciuga dopo l'acquazzone, dell'erba che si raddrizza dopo essere stata piegata dal vento, di legna bagnata, di verde; la luce violenta che penetra il parabrezza, il limpido colore dell'azzurro del cielo ora che sarà più avanti la pennellata rosata del tramonto.

Mi fermo allo stop e un raggio mi accarezza tiepido la guancia. Riparto e una fresca folata si porta via la carezza. Asmara era così: il sole ti riscaldava ma all'ombra avevi quasi freddo. Ecco cos'è quel qualcosa che c'è nell'aria stamattina, indefinita sequenza di fotogrammi di emozioni!
Si chiama semplicemente nostalgia.
D.


18 Novembre 2012


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