EASY RIDER
La
Kagnew Station di Asmara ha sempre esercitato su di me, per tutto
il periodo della mia permanenza lì, un fascino incredibile.
Fascino condiviso da moltissimi di noi asmarini visto che la diaspora
ha portato molti nostri conterranei a stabilirsi e vivere negli Stati
Uniti anziché in Italia o altrove. Del resto era normale, noi
tutti nelle nostre famiglie sentivamo parlare della Patria, l'Italia,
sicuramente in toni nostalgici ma anche indubbiamente fantastici dato
che molti dei nostri genitori mancavano da "casa" già
da parecchi anni.
Quel pezzo di America invece era li, a portata di mano, tangibile
anche se discretamente riservata e proibita ai più. Tutta da
scoprire, da esplorare e da capire certamente, ma anche entusiasmante
e irresistibilmente attraente. Era come una scatola magica da cui
uscivano in continuazione mode, novità, atteggiamenti e comportamenti
che altrimenti avrebbero impiegato i tempi non sempre regolari e brevi
della stampa italiana per raggiungerci, informarci e ricordarci che
dopo tutto eravamo, chi più e chi meno, originari della vecchia
Europa.
Il film Easy Rider, culto della mia generazione, lo vidi proprio al
cinema della Kagnew (Kagnew e basta, come affettuosamente veniva definita
la struttura) dove andai con un gruppetto di amici che non ricordo,
tutti accompagnati dal maestro di Judo che aveva da poco iniziato
il corso che si teneva nel salone del mitico CUA, l'anno era il 1969
o forse '70.
Fu la rivelazione per me e credo, per molti miei coetanei.
Diventare, o meglio atteggiarsi, da quel momento
in poi, a giovani hippy ribelli e anticonformisti fu tutt'uno. Crebbero
chiome di tutti i tipi, anche qualche barba, jeans sdruciti senza
mai superare i limiti del decoro piccolo borghese, magliette variopinte
e cinturoni tanto sproporzionati quanto scomodi divennero la nostra
uniforme, che però acquisiva valore aggiunto solo con la disponibilità
del mezzo meccanico simbolo di libertà per eccellenza: la moto.
E qui assistemmo al passaggio epocale dalla moto post bellica ancora
fortemente ispirata alla essenzialità e alla rudezza delle
forme ma dalla robustezza e dalla resistenza inconfutabili anche se
scomodissime e soprattutto lente a quella superaccessoriata e luccicante
dei primi anni settanta. Fino a quel momento il contachilometri più
evoluto, standard della velocità di riferimento segnava 130
forse 150 chilometri totalmente teorici e assolutamente illusori.
All'improvviso arrivarono (grazie alla Kagnew) le moto giapponesi
tutte cromate con due specchietti retrovisori (si fa per dire! Io
non sono mai riuscito a vedere niente a meno di allungare il collo,
piegare la testa o contorcere il busto al pari di uno yogi indiano),
le frecce direzionali che lampeggiavano su moto silenziose, pluricilindriche
e soprattutto velocissime: il contachilometri più racchietto
segnava 180 chilometri l'ora. Roba da impazzire. Chi non ricorda le
parate spontanee che vanitosamente, dal nulla, si formavano al La
Salle il sabato pomeriggio o in corso Italia la domenica mattina?
E allora ecco che la fantasia individuale, rotte
le catene di un conformismo ormai crepuscolare, si librava in alto
e raggiungeva il virtuosismo casereccio e provinciale delle modifiche
meccaniche o estetiche "fai da te". Via il silenziatore
del tubo o dei tubi di scappamento, manubri piccoli sostituiti con
manubri grandi e viceversa (alla Easy Rider per intenderci), carburatori
maggiorati, serbatoi rimpiccioliti e parafanghi asportati per inseguire
il vento e il mito alla maggior velocità possibile, caschi
variopinti come della tavolozze da pittore corredati da visiere autenticamente
"spaziali" (il mio lo conservo ancora).
A quel punto persino le vecchie moto inglesi
e italiane, risalenti al periodo bellico o giù di lì,
della polizia furono pericolosamente surclassate. Come dire agli aspiranti
hippies motociclisti nostrani: se volete, osate l'infrazione. Potete
batterli! Qualcuno ci provò.
Arrivò infine Lei. Sì, Lei, perché
credo fosse talmente bella da essere subito nell'immaginario motoclistico,
associata alla Donna. La più grande e irresistibile delle tentazioni
maschili. Possedere Lei era la stessa cosa che possedere la più
bella donna del villaggio: persino bionda dato che il colore di serie
del serbatoio era giallo!
Era la Ducati Scambler, cosi perfetta nella sua apparente essenzialità,
cosi rudemente elegante nel suo stile vagamente country, ma soprattutto
con quel suo respiro vigoroso, baritonale e autenticamente potente.
Me ne innamorai subito e sicuramente fu un colpo di fulmine per i
più, anche se gli eletti (pochi, ma ce n'erano anche lì)
si potevano permettere il lusso di possedere le supermoto dai 500
centimetri cubici in su di cilindrata, la più desiderata, la
più agognata era Lei.
Sono certo che è stato il mio amore eterno. Tant'è che
arrivato in Italia, dopo un anno o due (giusto il tempo di acclimatarmi,
motociclisticamente parlando) riuscì a comprare una splendida
Ducati Scrambler 450 con cui scorrazzavo per Roma osando persino andarci
in vacanza in Calabria e girovagare in lungo e in largo per le forre
silane tra un bagno nello Ionio e un altro nel Tirreno. Quasi come
scendere dall'altopiano al mare e viceversa.
Solo in quella occasione credo di aver provato delle sensazioni provate
prima solo ad Asmara.
Ora tanto per dare una scrollatina al torpore
mistico-letargico che caratterizza questo sito da un po' di tempo
a questa parte, propongo un esercizio di memoria: elenco tutte le
moto del 1970 di cui mi ricordo e che bazzicavano al CUA e dintorni.
Ai più bravi il compito di affiancare ad esse i nomi dei rispettivi
proprietari. Avrete cosi un argomento faceto di cui parlare al prossimo
raduno.
Morini
50 o forse 100cc Rossa (un esemplare)
Ducati Scrambler 100 cc Gialla (due esemplari)
Gilera 124 Rossa (credo un esemplare)
Gilera 124 Grigia (due esemplari)
Gilera 124 Verde (un esemplare)
Gilera 124 SS Nero e argento (due esemplari)
Honda 125 Avorio (un esemplare)
Honda 175 Blu (un esemplare)
Yamaha 250 Fucsia (un esemplare)
Suzuky 350, forse 500, Blu raffreddata ad acqua. Gli esperti sanno
di cosa parlo (un esemplare)
Suzuky 750 four Blu (un esemplare)
In bocca
al lupo!
MG
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Vroom! Sfida lanciata, come un chilometro da fermo. Vediamo chi
fa la sgommata più veloce ...
il C.
9 Marzo 2005
* * * * *
Le motociclette
in Eritrea
Caro
MG,
non posso rispondere alle tue domande perché in quel periodo
non più residente allAsmara, vorrei però precisare
alcune cose circa il motociclismo in Eritrea.
Le prime motociclette moderne arrivarono allAsmara
intorno agli anni 54 56, furono alcune Williams
bicilindriche con motore a due tempi da 250 c.c. Risultarono subito
abbastanza veloci e con una buona ripresa, essendo appunto dotate
di motori a due tempi. Ma la grandammirazione la destarono,
da prima, due stupende BSA Gold Star. Ambedue con motore monocilindro
a quattro tempi; una l'aveva da 350c.c e laltra da 500c.c.
Bellissime! Piene di cromature e con un lungo sellino. Furono subito
la passione di tutti noi abituati ai vecchi R, o S o VV Guzzi o
a qualche vecchia BSA rigida, ex militare o, forse, ad un glorioso
Gilera quattro bulloni.
Delle due BSA, una apparteneva ad un ragazzo statunitense di base
a Radio Marina, e laltra era di Mario Pace, ottimo tecnico
e proprietario di unofficina meccanica specializzata in motociclette.
Queste due moto sulla pista di Gura fecero segnare la velocità
massima di 165 e 180 km/h, rispettivamente.
Allora, allAsmara vi erano ancora buoni piloti, e uno di questi
era un certo Casarini (o Casarin non ricordo con esattezza il cognome).
Possedeva una vecchia Benelli 250 c.c. da corsa, con testa Velox
in alluminio e valvole a bagno dolio. Questa vecchia Benelli,
anno 1939, superava la velocità di 185 Km/h sempre sulla
pista di Gura, sul chilometro lanciato. Nel 1957 arrivò anche
un RUMI 125, bicilindrico a due tempi. Stupendo! Telaio grigio perla
con serbatoio rosso. Cinnamorammo allistante.
Arrivò poi, nel 1958, una fantastica Norton Dominator, bicilindrica,
da 600cc., la possedeva lAvv. Angelo Maiorani, Stupendo esempio
dItaliano, grande orientalista, che fece amare a molti di
noi la lingua del deserto. Indimenticabili le sue lezioni di lingua
araba e la sua capacità di interessare i suoi ascoltatori.
Fu ucciso vilmente da una banda di scifta nella sua piantagione
di Ghinda. (Desidererei parlare più a lungo di questo Signore;
lo faro in altra occasione, se FDL lo permetterà.)
[Restiamo in attesa del tuo scritto, Emilio. Qui conduce Lord
Kikki, fdl è un mezzo Capo-rale di giornata. n.d.C.]. Seguirono
tre MV Agusta, 175 cc. Due nere con serbatoio rosso e una tutta
rossa; anche queste molto belle, con la leva del cambio a bilanciere
posta a destra. Ancora, sulle strade, alla fine del 1950, sfrecciavano
DKW bicilindriche a due tempi (molto veloci) alcune NSU 125 e un
paio di 250 entrambe con telai stampati, sospensione anteriore a
bracci oscillanti, posteriormente monoammortizzatore centrale (avveniristico)
e cambio a sinistra, come le attuali. Già tutte molto belle,
con cromature, specchietti retrovisori e dalle buone prestazioni
velocistiche.
In quel periodo, allAsmara, tra la polizia stradale, vi era
un certo Ghidanè. Buon motociclista e già graduato
della PAI. Inizialmente aveva in dotazione una vecchia BSA militare,
poi gli fu consegnata una nuova moto inglese. Una Matchless 500
con forcella anteriore telescopica. Una delle gare preferite da
alcuni di noi (i più monelli) era, notte tempo, aspettare
detto Ghidane e con le ns. moto dotate di tromboncino, in sostituzione
della regolare marmitta, sfrecciare per le strade dAsmara
a tutta manetta e farci inseguire dal buon Ghidanè che, il
mattino dopo, inevitabilmente, ci aspettava davanti al Bottego per
minacciare il ritiro definitivo della nostra patente di guida. Credo
ci volesse bene e che, da grande motociclista, in cuor suo amasse
le gare notturne tra le viuzze di Gaggiret e Godaif o tra le strade
dellHamasien.
Oggi, ultrasessantenne, con la bella stagione, amo ancora percorrere
alcune strade tra le nostre montagne alpine, in sella ad una desmodromica
Ducati 749 S, rossa fuoco.
Buon polso destro.
Emilio
(Oceania)
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