SELACI
& TELEOSTEI
(ovvero Individui appartenenti all'ordine degli Squali & Acciughe)
a cura di Daniela Toti, con Riccardo Pizzimento
Gli Sharks
furoreggiavano. Si erano affermati nel basket, nel look, nello strappo
con il con-venzionale. Li identificavo un po' nei "Mods",
quelli cantati da Ricky Shane, anche se loro, invece, si identificavano
più nel modello americano che nei modelli che il Regno Unito
proponeva in quegli anni di grande spaccatura con gli schemi classici.
E non avevano giubbotti e catene, ma solo genuina aria spavalda e
fascino selvaggio.
(Li ricordo seduti in fila sul marciapiede della Vigilanza Notturna,
quella dietro al Nyala, all'angolo di 45º tra la via di casa
mia e quella dietro, con un macchinone americano par-cheggiato nelle
vicinanze
e io, verdissima e timidissima teenager, che mi imbarazzavo
ai loro lazzi, che non riuscivo a camminare, scivolando lateralmente
dai tacchi, con grande goffaggine
)
Non c'erano gli equivalenti dei "Rockets" in contrapposizione
agli "Sharks". Per quanto possa ricordare, gli "Sharks"
regnavano incontrastati. Fino al giorno in cui una vacanza a Gurgussum
fece nascere l'idea ai Nostri. Si trattava di un gruppo che di sport
ne masticava poco. Avevano un'aria più impunita che spavalda,
un fascino più domestico che selvaggio. E la scelta del nome
fu in antitesi: "Los Acciugas".
Non mi intimidivano, i "L. A.". Erano i miei grandi e cari
amici e l'arruolarmi nella squadra delle loro fan fu naturale e automatico.
Il varo del gruppo fu programmato durante una vacanza a Massaua organizzata
dalle due compagnie. I "L. A." fecero le cose in grande.
Si fecero fare la divisa, assegnarono la carica di mascotte ad un
bel esemplare di scimmia zanzibarina di nome Poker, e scesero a Gurgussum,
provvisti anche di una epica zattera, che avrebbe conferito quell'aura
corsara che-non-guasta-mai
Ho chiesto collaborazione, per ricordare più dettagli, e l'aiuto
mi è arrivato dal L.A., Riccardo Pizzimento, detto Zizzo, che
dall'Australia ci racconta:
Los Acciugas!
Che tempi! Il futuro allora era tutto rosa e
rosso come la
tenda che Renzo De Ponti, Giulio Biot e Costantino Paolino, tre dei
famosi Sharks, riuscirono a procurasi da degli amici Americani della
Kagnew Station. Non era proprio una tenda ma un paracadute dei militari.
Chi erano gli Sharks? Gli Sharks erano: Sergio Buonora, che sapeva
tutto di meccanica. Aveva una giardinetta verde con motore e la marmitta
modificati così tanto che quando partiva da dietro il Nyala
lo si sentiva fino alla Latteria, poi c'era Gianfranco Piterá
(mi ricordo che aveva il terrore di perdere i capelli ed invidiava
i capelli di Gilo Sgobbi, che erano a due dita dalle sopraciglia:
l'unico attacco più basso credo fosse quello di Brando Bacci),
poi Ennio Thá, con il ciuffo a banana come in West Side Story,
atteggiamento da cow-boy e sorriso trasversale, a mezza bocca, con
delle trovate che non ti dico. C'era Giulio Biot, che quando facevano
l'appello e chiamavano il suo nome si alzava facendo strisciare rumorosamente
il seggiolino per terra e poi sbattendo i tacchi degli stivaletti,
con il petto infuori, si metteva sull'attenti e quasi urlava "presente!";
la Prof.ssa Falletta lo guardava da dietro gli occhiali da sole con
un sorriso bonario. L'altro era Paolino Costantino, un caro ragazzo
ma di umore dai cambiamenti repentini, non mi sono mai spiegato il
perché, anche lui grandissimo ammiratore degli Americani, camminata
gongolante dal banco alla cattedra e ritorno, era molto bravo in inglese
e lo parlava sempre con quel po' di accento ... Americano. Non dimentichiamo
Renzo De Ponti: con lui e Chittó abbiamo fatto tantissime cavalcate
alle montagne rosse, era, e forse lo è ancora (ha un business
in subacqueo) agilissimo. Lui fu quello che, quando andammo a Massaua,
portò una attrezzatura da subacqueo e me la prestò,
senza dirmi che la bombola dell'aria era rimasta in riserva: "Zizzo,
se ti manca l'aria gira questa manopola e sei a posto" . Io vado
e ad un certo punto comincio a non succhiare più aria e gira
che ti rigira la manopola, non usciva niente. Per farla breve, meno
male che non sapevo nuotare (ricordi quella sera che mi spingesti,
tutto vestito, in acqua al Lido? Quella volta sì che stavo
morendo
) così essendo vicino alla riva mi salvai nuotando
a morto e non mi girai finché le bombole che portavo sulla
schiena non cominciarono a strisciare sulla sabbia.
Questi gli Sharks. I Los Acciugas si formarono in contrapposizione
agli Sharks, squadra di bravi giocatori di pallacanestro, fisico atletico.
Quando si decise di andare tutti insieme a Gurgussum con la tenda
rossa, avevamo bisogno anche noi della nostra identità e, con
Gilo, dopo esserci guardati allo specchio in shorts, quello fu il
nome più appropriato che ci venne in mente e lo scrivemmo in
corsivo sul parafango anteriore destro della Jeep di Sgobbi che Giorgio,
il verniciatore della carrozzeria, mischiando un po' di rimasugli
di vernice, spruzzò tutta di giallo!
Assieme a me e Gilo Sgobbi c'erano Peo Tripaldelli e Franco Carelle.
Poi si aggregarono: Luciano Plutino, Italo Giambernardini, Franco
Irtinni e Gianni Mandarano.
Per dare ulteriore rilievo alla nostra identità, decidemmo
di crearci una divisa che con l'aiuto di Franca, la mamma di Gilo
(e un po' anche mamma di me), si riuscì a farla a tempo di
record. La stoffa la comprammo da "Sei Dita" (pensate che
il figlio è in Singapore, e nel biglietto da visita ha il disegno
di una mano con sei dita!) ed il design fu ideato da me, Gilo e Franco
Irtinni (il pignolissimo). Bermuda stretti con elastico in vita e
camiciola senza collo, senza maniche e sandali di plastica (Bini?).
La stoffa rigida, di nailon, era un fiorato celeste con giallo rosa
e verde e mamma Franca ci cucì anche dei cappellini a falda
cadente. Eravamo sempre sudatissimi perché non ci passava un
filo d'aria neanche a soffiarla con il compressore, solo Gilo era
a suo agio perché, come tutti gli alieni, suda in quella parte
del corpo che è fra il polso ed il gomito, solo li!
Qualche giorno prima, sulla salita di Ghezzabanda c'erano dei diaulet
con una scimmietta con la corda al collo. Contrattammo e la comprammo,
la vestimmo come noi e fu un successo strepitoso. Moltissime le americane
che ci fermavano per scattarci delle foto. La scimmietta viaggiava
aggrappata al parabrezza abbassato. (Nel sito della Kagnew Station
ho trovato la foto della scimmia che lasciavamo legata alla moto di
Mandarano o di Luciano Plutino).
Mandarano scese in moto, Italo e Plutino con la Jeep di Feo ed il
rimorchietto pieno di casse di birra (Colt 45) Melotti e qualche San
Giorgio. Quando ci fermammo a Ghinda per comprare il pane, Paolino
e Giulio Biot si misero ognuno ai fianchi del rimorchietto pieno di
birra e scoperto, lanciando occhiatacce ai venditori di angurie che
cercavano di avvicinarsi per sbirciare. Dopo aver comprato "il
pane di Ghinda" e controllato l'acqua nel radiatore partimmo
per affrontare la piana. Prima di andare a Gurgussum facemmo un giro
trionfale passando dal Red Sea. Sulla curva dove avevano l'albergo,
gli Americani ci fermarono e li fu proprio un fotoshooting, ci avranno
fatto un centinaio di foto. Paolino e Giulio cominciarono subito a
stringere amicizia con loro, altri Marines uscirono dall'albergo e
giù foto, mentre noi siamo rimasti sulla jeep mezzi stravaccati
per darci importanza. Continuammo poi verso il Lido, con la speranza
che qualche ragazza uscisse e ci vedesse, invece niente, soltanto
una decina di diaulet cominciarono a correre di fianco alla macchina
ridendo indicando prima la scimmia e poi noi, chissá cosa intendevano
dire
A questo punto Gilo, premendo sull'acceleratore, con balzo
in avanti prese la via per Gurgussum.
Erano le due del pomeriggio ed i cammelli si erano messi all'ombra
di quegli alberi spinosi (acacie?). Arrivati a Gurgussum, si scelse
un posto a destra della pista da ballo rotonda e cominciammo a montare
il paracadute/tenda. Franco Irtinni si rifiutò di aiutare perché
aveva troppo caldo e, rossissimo, si rifugiò al bar con due
coca-cola. Lo lasciammo andare perché quando Franco Irtinni
ha sete e caldo si trasforma in un belva. (Una volta a Sabur, la concessione
degli Sgobbi, si andò a fare una camminata per le pendici orientali
con Gilo, Peo e lui. Non avendo calcolato che bisognava anche tornare
in su, scendemmo giù verso la valle a grandi passi e siccome
anche lì il caldo non scherza, al ritorno ci ritrovammo senza
acqua e con tutto il percorso in salita: Franco Irtinni, ansimante,
cominciò a diventare rosso e si sdraiò sul sentiero
e non si volle più muovere. Peo e Gilo continuarono verso la
casa e dissero che avrebbero mandato qualcuno con l'acqua. Franco
nel frattempo era diventato rosso ciliegia matura e io allora comiciai
a sventagliarlo col cappellino. Faceva veramente caldo, e comiciai
a preoccuparmi perché ormai aveva le labbra blu ed aveva chiuso
gli occhi e gli dissi "Franco, non morire adesso, ecco che arriva
l'acqua." Dopo una mezz'ora arrivò Ailù con l'acqua
e siccome ricordai che quando si è rimasti senz'acqua, poi
bisogna bere piano piano, avvicinandogli la borraccia alla bocca,
gli dissi "bevi piano sennò ti fa male" al che si
svegliò e me la strappò dalle mani poi si attaccò
e cominciò a bere alla glu-glu-glu. "Franco lasciamene
un po', che ho sete anch'io", gli feci presente timidamente.
"Se non mi lasci stare ti butto giù dal burrone"
mi rispose, guardandomi con gli occhi sbarrati, e così fu che,
mestamente, mi incamminai verso casa e lo lasciai indietro con Ailù.
Solo quando tornammo ad Asmara mi resi conto che Franco doveva aver
preso un colpo di sole perché nei giorni successivi cominciò
a voler inventare nuovi passi da ballo (Don Lurio avrebbe sfigurato
vicino a lui). Ci si trovava a casa sua per fare le prove e alle volte
si incavolava se non si andava a tempo, il più bravo era Arminio
ma anche Gilo se la cavava bene. Poi ci esibivamo la domenica al Caravelle
o al laghetto, da Bossa, quello che faceva le pizze proprio buone
Ma torniamo alla nostra tenda a Gurgussum.
Il sole cominciava a scendere e nella sabbia avevamo scavato un buco
che si poteva starci dentro in piedi. Quello era il centro della tenda
e li piantammo il palo di alluminio che il papà di Plutino
aveva portato da Asmara. La tenda rossa era su e, stanchi ma fieri,
uscimmo a rimirarla. All'interno sistemammo dieci brandine tutte attorno
in circolo.
Notte di luna piena perfetta per la caccia ai polipi. Io, lupo di
mare, non li avevo mai visti vivi prima, per cui non vedevo l'ora
di andare a caccia di polipi con il "fanus".
Luciano Plutino diceva di essere un esperto in materia e, guidati
da lui ci avviammo verso la bassa marea. Era bellisssimo, cominciammo
a vedere qualche polipo ma non era poi così facile prenderli.
Renzo riuscì ad arpionarne uno ma al che Plutino arrivò
gridando "Aspetta, aspetta! Si fa così" E prendendo
il polipo fra le mani se lo portò alla bocca e cominciò
a morsicarlo. Un urlo riempì la notte e Plutino si portò
le mani alla bocca strillando dolorante perché il polipo gli
aveva beccato la lingua
(14/09/2004)
(Continua)
Ecco
che si fa avanti Gilo per dire la sua in fatto di acciughe ...
Massaua, l'isola Verde, Gurgussum e la sua tenda rossa, le Isole,
meta di vacanze per tutti noi, allora giovani.
Credo avesse il fascino della libertà intesa come luogo di
non controllo (almeno parlo per molti di noi abituati in città
a degli orari ben precisi) dove si potevano fare le famose ore piccole.Era
lo stare insieme 24 ore su 24, vivere le giornate nel migliore dei
modi, alla fine niente di particolare.
Quella volta della tenda rossa, le giornate scorrevano tra una nuotata
e l'altra, belle pescate, per poi crogiolarsi al sole con un rilassamento
mai più provato, si aspettava la sera, regina con quel cielo
stellato come se ne vedono pochi, un bel fuoco sulla spiaggia e
tutti amici intorno a raccontarcela, ridere, scherzare, qualche
occhiata timida alla fanciulla preferita e piccole spavalderie che
spesso ci rendevano un po' ridicoli.
"Ragazzi si va a caccia di polpi?" qualche fiocina, uno
zembil, un fanus e via.
Si pescava fino a notte inoltrata, poi qualcuno dava la buonanotte
e gli altri nuovamente intorno al fuoco.
E la musica? Non credo si possano dimenticare quelle canzoni che
ci facevano sognare, "Il mondo", "Senza luce",
"Nel sole" e quante altre.
Si parlava, parlava, parlava di tutto e di niente. "Luciano
mi fai fare una corsa in moto?" "Solo se domani mi presti
la jeep". "Checco, offrimi una sigaretta" "Non
ne ho più, questa è l'ultima" "Allora fammi
fare un tiro" "Ma certo" ... e mi passava la cicca
dopo aver leccato e rileccato il filtro, che bastardo!
Qualcuno del gruppo: "Ragazzi io non ho sonno, dai andiamo
a lepri?" e in un attimo eravamo in macchina.
Ricordo una notte: io alla guida, Riccardo "Zizzo" Pizzimento
a fianco che fungeva da navigatore, Luciano Plutino dietro. Non
so chi altro ci fosse, ma ricordo benissimo Franco "Checco"
Irtinni seduto sulla ruota di scorta che nel fuoristrada era situata
dietro, all'esterno della macchina. "Dai Gilo, vai!" e
risate da farsi venire il male allo stomaco "... eccola laggiù,
inseguiamola!"
Cominciava così la corsa alla lepre che correva veramente
come ... una lepre.
Corri corri, a destra, Zizzo seguila col faro, è laggiù,
più forte, è quasi sotto, porca p......, è
schizzata a sinistra ... insomma questo benedetto inseguimento durava
finché la povera bestiola aveva fiato.
Ad un certo punto la lepre si blocca all'improvviso e noi eravamo
veramente in corsa: "Gilo, frena frena, l'abbiamo superata!"
Io blocco la macchina, retromarcia alla Nuvolari
e ci troviamo
col dietro della macchina incastrati dentro un grosso cespuglio
di acacia, (ricordate che spine?). Appena il tempo di renderci conto
dell'accaduto, che sentiamo un urlo bestiale, parolacce, gemiti
di dolore: avevamo crocifisso il povero Checco, che, in costume
e a torso nudo, sembrava uno straccio messo ad asciugare su un cespuglio
...
(05/10/2004)
(Continua)
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