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LA
CACCIA
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Siamo
ben consapevoli che l'argomento è di quelli appassionati,
accende gli animi altrimenti paciosi, travaglia amorosi sensi,
può far trascendere amichevoli discussioni nonché,
last but not least, mettere in allarme la fauna. Eppure resta
una grande passione che ha sedotto (e tuttora seduce) molte
doppiette alla quali vogliamo dedicare quanto segue, iniziando
con un pezzo che vuol essere anche un omaggio alla memoria del
suo Autore.
il C.
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ETIOPIA PARADISO DEI CACCIATORI
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Molto noti, sia in America che in Europa, sono i " safari"
nel Kenya, grazie ad una intelligente ed abile propaganda. Una battuta
di caccia, con la guida di un famoso " white hunter ",
è diventata l'aspirazione tanto del vero cacciatore quanto
del ricco turista alla ricerca di forti emozioni.
Il fascino del " safari ", passando attraverso le agenzie
turistiche internazionali, alle sale cinematografiche, e alle reti
televisive, riesce ad afferrare un vasto pubblico, che piano piano
si trasforma in una corrente continua di turisti a valuta pregiata.
Da qualche tempo, però, l'attenzione degli appassionati della
caccia e di coloro che, invece della carabina, preferiscono la macchina
fotografica o la cinepresa, si è spostata verso un altro
grande Paese dell'Africa, il quale può offrire una varietà
di fauna, piccola e grande, forse più ampia di ogni altro:
l'Etiopia.
L'Impero d'Etiopia può essere considerato, a ragione, il
paradiso dei cacciatori, poiché nel suo vasto territorio
si trova in grande quantità la selvaggina per il tiratore
di modeste pretese e la bestia feroce per il cacciatore raffinato.
Per dare un'idea delle possibilità che l'Etiopia può
offrire ai seguaci di Nembrot, e dico soltanto un'idea, ché
per
elencare
ogni specie di fauna vivente nell'Impero salomonide sarebbe necessario
scrivere un trattato, mi sono rivolto ad un innamorato dello sport
della caccia.
Giulio Pazé, ex campione d'Italia di tiro a volo ed ex olimpionico,
è un profondo conoscitore della fauna etiopica e un tiratore
eccezionale. Iniziamo con lui un giro panoramico dell'Etiopia, osservandola
da dietro il mirino, cioè dal punto di vista del cacciatore,
senza però dimenticarci che anche un " patito"
dell'arte venatoria può concedere una parte del suo tempo
a svaghi meno cruenti.
Partiamo dalla provincia dell'Eritrea, e precisamente dall'altipiano
eritreo, cioè dalle zone di Asmara, Adi Ugri, Adi Quala,
Piana di Mai Ainì, Seganeiti, Senafé, Teclesan, Zazzega
e le Pendici Orientali: in questi luoghi si trova generalmente selvaggina
pennuta, cioè starne, galli di monte, faraone e in abbondanza
le quaglie, nel periodo del passo, che va da settembre sino a marzo.
Specialmente tra gennaio e febbraio, nella zona di Adi Ugri, Adi
Quala e Mai Ainì, un discreto tiratore può rifornire
il suo carniere con un centinaio di quaglie, in una sola giornata.
Dotarsi quindi di un carniere di capienza notevole! Non mancano
nella regione le lepri, anzi non è raro, alla sera, vederIe
attraversare le rotabili, restando abbagliate dai fari delle macchine.
Nel bassopiano, verso Keren, Agordat, Barentù, Tessenei incontriamo
i facoceri (specie di cinghiali), le gazzelle e le galline faraone
in grande quantità. Se da Barentù deviamo verso Ducambia,
Ugarò, Curgucci, possiamo imbatterci in un branco di elefanti,
circa una cinquantina, che battono questa zona nella stagione dopo
le piogge, cioè tra dicembre ed aprile, mentre negli altri
mesi preferiscono la parte collinosa del Mai Siglà, sopra
Antoré. La caccia all'elefante è proibita, di conseguenza
sarà possibile soltanto fotografarli o cinematografarli,
usando le debite cautele, poiché questi pachidermi sono assai
irritabili.
Ci spingiamo verso il fiume Setit, e i paesi di Antoré, Biagundi,
Biaghela e scendiamo verso Omager, e siamo nella zona dei leoni,
dei leopardi di gran kudù, dei cobo defassa, dei tora e delle
gazzelle di varie specie; nel fiume qualche coccodrillo, mentre
nella campagna grande abbondanza di faraone, francolini e facoceri.
Poggiamo verso il fiume Barca e da Agordat ci dirigiamo al confine
dell'Etiopia con il Sudan, oltre i paesi di Karcabat, Rap Suit,
Sala, e possiamo imbatterci negli struzzi, mentre se ci addentriamo
nella boscaglia delle palme dum, scorgeremo qualche magnifico gran
kudù.
Sulle montagne, invece, vive il raro stambecco nubiano, il quale,
a differenza del Walia
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Stambecco nubiano
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del
Semien, è più chiaroe ha corna che misurano, spesse
volte, oltre un metro lungo la curva. Per cacciare lo stambecco
nubiano occorre uno speciale permesso, e non è impresa facile
avvicinare questa bellissima bestia.
Sempre nella zona montagnosa vive il Macomar, specie di asino selvatico
nubiano, difficilmente avvicinabile. Nella regione del Saleh, che
da Keren va a Nacfa, per Calament, Afabet e la valle del Falcat,
si possono trovare i più grandi capi di gran kudù,
specie ormai rara negli altri Stati africani. Questa regione è
riservata alla riproduzione. Nella parte del mare, da Massaua a
Zula, alla valle di Uncaoo, alla penisola di Buri, a Mersa Fatma,
alla Dancalia, abbondano le gazzelle di Soemmering, gli struzzi
e i facoceri. Raro invece è l'onagro, splendido esemplare
di asino selvatico dancalo, grosso come un mulo, furbo e velocissimo,
può raggiungere la velocità di ottanta chilometri
all'ora.
Lasciamo l'Eritrea e ci dirigiamo verso il gruppo montagnoso del
Semien, dove vive il rarissimo Walia, uno stambecco robusto e scuro,
più grosso del nubi ano, dotato di una bella barbetta e di
corna che arrivano sino al metro.
Nella provincia di Gondar, sul lago Tana, troviamo tutta la gamma
della selvaggina acquatica, dalle grandi oche del Nilo, alle gru
coronate, ai beccaccini, sino alle anitre.
A Gondar, il cacciatore - deposto il fucile impugna la cinepresa
e compie un ampio giro per ammirare i famosi sette castelli, il
bagno di Fasilidas, la Chiesa di Debre Berhan Sellassie, oppure
si reca a visitare le isolette del lago Tana, o le Cascate del Nilo.
Tappa obbligatoria la nuova città industriale di Bahar Dar.
La regione ideale per gli amanti dell'avventura di caccia grossa
e per i tiratori professionisti, è quella di Maggi. Ci si
arriva da Gimma e Bonga e occorre una buona "jeep ", poiché
l'ultimo tratto di strada tra Bonga e Maggi è poco praticabile.
Tuttavia nella buona stagione questa località è collegata,
una volta alla settimana, da un servizio aereo, che semplifica molto
le cose.
Siamo nei pressi del fiume Omo Bottego, e nella vallata ecco gli
elefanti, i bufali, i leoni, i leopardi, gli ippopotami e persino
la pantera nera.
La provincia di Harrar è famosa, invece, per i leoni con
la criniera nera. Vale la pena, però, di sostare nella città
di Harrar, non soltanto per godere di un clima che è considerato
il migliore dell'Africa Orientale, ma anche per ammirare una delle
più antiche città dell'Etiopia, con il suo caratteristico
mercato e le note sette porte. Non ancora soddisfatti possiamo avviarci
nella zona di Dire Daua e, lungo il corso del fiume Auash e attorno
ai laghetti che esso forma, potremo trovare le zebre, gli orix,
i facoceri e ancora i leoni e i leopardi.
Oppure possiamo invertire l'ordine di marcia e puntare su Addis
Abeba, la capitale dell'lmpero. Al sabato la capitale si vuota per
il " week end " e non ci resta che l'imbarazzo della scelta.
I dintorni di Addis Abeba sono stupendi, e allora? Dobbiamo mettere
da parte l'express e prendere la macchina fotografica? Vediamo.
Potremmo andare ad Awasa, sul lago, oppure a Wolisso alle acque
sulfuree, a Sodoré per pescare, ad Ambò per i bagni
caldi o per nuotare nella piscina, a Debra Zeit sul lago, o a Langano
a fare una gita in motoscafo.
Non sappiamo deciderci, ma alla fine propendiamo per la regione
dei Grandi Laghi, via Shashamanna, Dilla, Javello, verso il confine
del Kenya, perché nella piana di Borana troveremo con facilità
ogni qualità di antilopi, giraffe, elefanti, leoni, rinoceronti,
orix, e sul fiume Daua Parma i coccodrilli. Possiamo passare anche
qualche giorno sulle montagne degli Arussi, alla caccia della rarissima
antilope di monte, il Njala, e se la fortuna ci assiste, fare un
colpo da collezionista.
Nel frattempo non mancherà l'occasione di scattare qualche
bella fotografia, di quelle che si possono inviare ai concorsi,
e far vedere agli amici.
Nel nostro giro, purtroppo affrettato, non abbiamo avuto la possibilità
di indagare a fondo nell'ambiente faunistico, però è
certo che in Etiopia vivono, più o meno indisturbati: il
ghepardo, il servalo, il gattopardo, la iena, lo sciacallo, il licaone,
il lupo terragnolo, la ginetta, la mangusta, il formichiere, l'istrice,
lo zibetto e molte qualità di scimmie, tra le quali le più
belle sono la gorresa, l'amadriade, la gelada e il babbuino, senza
contare i serpenti, dal pitone al velenosissimo naya.
Il nostro giro venatorio è terminato, ci congediamo dalla
guida preziosa e riordiniamo i ricordi, cataloghiamo mentalmente
le impressioni. Risulta subito evidente il fatto che l'Etiopia può
offrire, più di ogni altro paese africano, validi e interessanti
motivi di richiamo sia per gli appassionati del " safari ",
che per coloro i quali all'agguato si pongono unicamente con la
macchina fotografica o con la cinepresa, come:
Paolo Granara
(da Etiopia Illustrata, 1964) |
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ARS VENANDI
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Ovvero Arte Venatoria, in altre parole l'Arte della Caccia, rappresentata
niente poco di meno che dalla Dea Diana.
La caccia esiste da sempre, dalla notte dei tempi, l'uomo cacciava
sia per allontanare le belve pericolose che gli altri animali
che erano in conflitto con lui per le risorse e che loro stessi
erano sostentamento per l'uomo.
Perché
la caccia è chiamata Arte Venatoria? Perché da sempre
ha stimolato la vena artistica dell'uomo dalle pitture rupestri
preistoriche (la Libia ne era piena) ai preziosi mosaici, Fenici,
Greci, Romani etc., che ornavano ville e templi. Poi per non parlare
di libri antichi come quello di Federico II del Sacro Romano Impero,
che addirittura parlava di arte "venandi cum avibus",
ovvero la falconiera, a tutt'oggi molto comune e praticata regolarmente
in Medio Oriente e non solo, oppure dei trattati di caccia moderni
dove si trova di tutto. Non dimentichiamoci poi dei chilometri
di pellicola usati per girare i vari film, dall'Africa all'Asia,
dall'America del Nord con i pellirossa che cacciavano i bisonti
al Sud America, praticamente ogni continente. Ve lo ricordate
l'aneddoto raccontatoci da Bruno Dalmasso a proposito del film
"In Tre Verso l'Avventura", lui cacciatore provetto
che spara a un leone, ecc.ecc.?
Per noi, gli eletti, possiamo considerarci tali perché
nati in Africa, l'arte della caccia era innata. Abbiamo cominciato
con le fionde, per poi passare al fucile con i piumini, tanto
quello era ciò che passava il cosiddetto "convento".
Dovevamo
fare la trafila e quando abbiamo ricevuto in regalo il primo fucile
ad area compressa (il 4 e ½) ci siamo sentiti grandi cacciatori.
Riuscivamo a colpire a mala pena il piccolo becca-fiori e quando
si riusciva, si portava il piccolo uccellino in giro come trofeo
da mostrare agli amici. Poi davi sepoltura al volatile.
Ecco arrivare qualche cosa di più serio, il 5 e ½,
con il simbolo della dea Diana. Ora l'obiettivo non erano i colibrì
ma le tortore, i piccioni dagli occhi rossi, le quaglie e anche
qualche lepre, con un po' di fortuna.
A volte visitavi le case degli amici e fin dall'entrata non vedevi
altro che trofei di caccia grossa. La fantasia come correva: potrò
io un giorno cacciare qualcosa di simile? era la domanda ed anche
il sogno ricorrente.
Poi quando andavi a comprare i pallini per il fucile da Faccincani
e da Pazzè gli occhi strabuzzavano fuori. Ogni qualvolta
chiedevi di farti raccontare la storia della loro "caccia
grossa" che era poi sempre la stessa con qualche variazione
del caso, rimanevi incantato.
Il mio sogno l'ho parzialmente realizzato quando nel 1974 andai
con Franco Dal Re a perforare i pozzi d'acqua a Kobbo; c'era con
noi pure Romolo Geraci. Tutti e tre armati di tutto punto e scortati
dai locali andammo a caccia grossa lungo il fiume Golina. Partimmo
all'alba e il bottino anche se non proprio degno di una "caccia
grossa" fu consistente. Quello che più conta è
che abbiamo conosciuto meglio e amato la natura con la sua fauna
e flora, abbiamo consentito ai locali di potersi sfamare a sazietà
perché ne avevano proprio bisogno. Era il tempo della siccità.
Chi ama la caccia, ama la natura che ti circonda, riscoprire il
valore della caccia attraverso l'arte è possibile, molti
sono gli artisti che con la propria arte venatoria, parlano di
amore per la natura e la vita.
Franco Caparrotti
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LA BREVE VITA DI WARTH, IL
FACOCERO
(Phacochoerus Aethiopicus)
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Il programma prevedeva una gita ad Agordat, e sarebbe stata un'allegra
brigata di una ventina di persone tra parenti ed amici. In bassopiano
ci aspettavano gli zii, in due concessioni attigue: zio Franco Toti
a Tuc-Tuc, zia Sira e zio Angelo Toti con Claudio a Tecreret. L'eccitazione
era al culmine perché era prevista una battuta di caccia
per la sera. Partimmo con due Land Rover, direzione il Barca dove
i facoceri andavano ad abbeverarsi: i cacciatori ne avevano promesso
uno alla zia perché lei potesse prepararci lo zighinì
il giorno dopo.
Le rigide sospensioni del Land Rover ci facevano ballonzolare sugli
altrettanto rigidi sedili posteriori laterali. Niente imbottitura
ma solo un pianale di metallo. L'aria era tiepida e profumata di
erba, di verde e, avvicinandoci al fiume, di terra bagnata. Con
gli occhioni sgranati, noi ragazzini frugavamo nel buio che ci sfrecciava
accanto nella speranza-timore di vedere qualche animale. Lo zio
un po' burlone ci aveva detto che di notte le iene hanno gli occhi
gialli, mentre gli uccelli rapaci notturni li hanno colore del fuoco
per cui qualsiasi luccichio ci dava un brivido di eccitazione.
Arrivati al fiume, ci fermammo per sgonfiare un poco le gomme. Questo
espediente avrebbe evitato agli automezzi di insabbiarsi nel letto
del corso d'acqua. Correre con il Land Rover sulla sabbia a fari
spenti è una sensazione singolare. La sabbia sotto le ruote
scricchiola, fruscia, quasi canta, e dietro viene sollevata e picchiettando
contro la carrozzeria fa un rumore simile a quello della pioggia
su una tettoia di lamiera. Bisognava allora andare molto piano,
perché ogni rumore avrebbe spaventato gli animali diretti
ai pozzi artesiani per dissetarsi. Lungo il Barca nella stagione
secca i concessionari scavavano i pozzi nel letto del fiume, l'acqua
sotterranea affluiva in superficie senza bisogno di pompe e da lì
veniva quindi pompata per l'irrigazione dei bananeti.
Giunti vicino al pozzo, controvento, spenti i motori, è ora
la lunga parte dell'attesa. Non si parla, si respira appena, e rimane
solo il frinire di grilli e cicale, qualche verso gutturale di uccello
notturno e, finalmente, l'atteso scalpiccio.
Warth
aspetta con trepidazione il tramonto perché gli piacciono
le passeggiate serali fino al pozzo. Ormai ci può andare
da solo. È un po' che lui e i suoi fratelli hanno acquisito
indipendenza nell'azione. Con piacere e sorpresa continua a
collaudare le zanne che si stanno facendo sempre più
robuste e gli consentono di estirpare gustose radici oppure
di staccare la corteccia dai tronchi, aggiungendo nuovi sapori
a quelli dell'erba e delle bacche di chichingiolo. Ai suoi fratelli
piacciono anche insetti e larve, ma Warth preferisce il menu
vegetariano. I suoi fratelli lo canzonano perché da quando
ha scoperto le radici lo chiamano Warth-Fart solo per via di
qualche pernacchio che le radici gli procurano
Stasera al calare del sole si avvia verso il pozzo. Nell'avvicinarsi
fiuta il buon odore dell'acqua. Ma cos'è quest'altro
strano sentore che gli pare di aver annusato? Forse qualche
piccola carogna nei pressi del pozzo? Viene distratto dalla
fila di formiche che gli attraversa la strada. Di marrone rossiccio,
con il grosso addome e le poderose tenaglie, non è il
caso di calpestarle e le scavalca con agilità. É
quello che forse lo distoglie dall'odore estraneo oppure il
pensiero che allo stesso pozzo da qualche tempo si abbeverano
anche facoceri che abitano l'altra sponda del fiume e la prospettiva
di incontrare suoi simili di altre famiglie lo incuriosisce
sempre molto?
Al pozzo in verità confluiscono anche altri abitanti
del bassopiano: le gazzelle dal petto candido, dall'ampia falcata
e dalle lunghe corna, i Dik Dik dal pelo ruvido brizzolato,
dalle corte corna nere e dai grandi occhi bistrati, gli sciacalli
che nella notte ci vivono. Tra gli animali che si incontrano
ai pozzi vige un atavico codice etico di pacifica convivenza
e totale tolleranza di fronte alla nobiltà dell'acqua
e al bisogno di bere e forse a Warth è proprio questo
che piace molto: poter soddisfare la sua curiosità per
tutto ciò che è nuovo senza dover temere i pericoli
pur sempre presenti nel bassopiano.
Ma cosa c'è di diverso nell'aria stasera? È una
sensazione vaga ma inquietante che comincia ad innervosirlo.
Quando lo strano presentimento gli allerta definitivamente i
sensi e si blocca è però ormai troppo tardi. Uno
scoppio inspiegabile e un bruciore lancinante lo paralizzano.
Cosa succede? Riesce malapena a vedere gli altri animali che
fuggono confusi nella polvere sollevata dai loro zoccoli, prova
a fare altrettanto ma il corpo non risponde alla sua volontà.
E quindi ricade, nel buio e silenzio più totale. Hakuna
Matata, senza più pensieri.
La
tensione è al massimo. La vittima predestinata arriva trotterellando,
inconsapevole dell'imboscata. E' un giovane
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Era Warth o un suo
emulo?
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maschio, le zanne già pronunciate ma non completamente
sviluppate. Si blocca un attimo prima, quasi istintivamente allertato,
ma ecco il doppio sparo dalle canne del fucile dello zio. Cade,
si rialza, si trascina sulle zampe ormai fiaccate, ma il colpo
è stato preciso e letale. Stramazza. Ho le orecchie assordate
dallo sparo, il cuore che batte forte dalla paura, dall'eccitazione...
la pena la proverò solo anni dopo, al ricordo. L'aria odora
di polvere da sparo, pizzica il naso e la gola. La detonazione
ha infranto la suggestiva calma della notte. Non ci sono più
i suoni tranquilli di poco prima ma solo il rumore scomposto di
atterriti zoccoli in fuga.
Ora il pozzo è illuminato dai fari delle Land Rover. C'è
subito chi scuoia il facocero con mani esperte, lo drena del sangue
appendendolo ad un albero e lo svuota delle interiora. Nell'aria
stagna un odore acre, misto a quello dolciastro del sangue. Mi
colpiscono le zampe, che sembravano così forti e ora sono
prive di qualsiasi vigore, ciondoloni.
L'indomani la brigata si delizierà con uno zighinì
da leccarsi i baffi, accompagnato da uova di faraona e anghera
rurale, quella scura, spessa e profumata che sanno preparare le
donne del bassopiano, rendendo l'ultimo omaggio alla breve vita
di Warth, il facocero del bassopiano agordatino.
Daniela Toti
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31 Dicembre 2011
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