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Le mani nel cassetto del Chichingiolo
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IL FIGLIO DI UN "VECCHIO COLONIALE" RACCONTA
di Franco Caparrotti

1
 
Durante la nostra infanzia, e non solo, abbiamo sempre sentito parlare dei "vecchi coloniali". Bastava fare il nome di una determinata famiglia e sentivi dire: "Loro sono vecchi coloniali". Ci siamo mai chiesti chi sono? Quanti erano? Chi è un coloniale?
Per questo, basta andare su Wikipedia e hai la risposta immediata. Una volta consultavi l'enciclopedia, non dico La Treccani, ne bastava pure una qualsiasi. Ora c'e' Wikipedia e noi ce ne serviamo. Il testo dice: "Colui che si stabilisce in una terra da coltivare, ecc." Non necessariamente da coltivare dico io.
Premesso questo, ho pensato di incontrare il figlio di un vecchio coloniale per farci raccontare la loro storia in terra Africana, sapere cosa li ha spinti ad affrontare quest'avventura. Raccogliere capitoli della loro vita, belli o brutti, aneddoti e tutto ciò che ne verrà fuori. Molti sono stati i vecchi coloniali e penso che le loro storie alla fine siano all'incirca tutte uguali.
Approfittando della cara amicizia tra me e Claudio Fareri (siamo stati compagni di classe e di tante "monellate"), ho pensato di chiedere a lui di essere intervistato.

Franco: Caro Claudio, grazie per la tua disponibilità nel raccontarmi la vita della tua famiglia e per aver consentito la pubblicazione della stessa. Partiamo dall'inizio, come, quando e perché la tua famiglia decise di trasferirsi in Abissinia.
Claudio: Prima di iniziare vorrei precisare che la maggior parte dei fatti che andrò a narrare sono frutto di racconti dei miei genitori e, dagli anni sessanta in poi, per il mio ricordo di un vissuto diretto.
Per inquadrare la problematica bisogna far presente che nel 1860 una società di navigazione genovese, la Rubattino, in concomitanza con la imminente apertura del Canale di Suez, decise di avere un porto lungo quella che doveva essere una rotta molto trafficata dalle navi (all'epoca l'unico mezzo d trasporto di massa per cose e persone) che dall'Europa dovevano raggiungere le Indie, evitando così la circumnavigazione dell'Africa. Per tale scopo fu scelto il porto di Assab che fu comprato da detta società. Ad acquisizione avvenuta e dopo tante traversie con gli egiziani, che ne avevano il protettorato, la società vendette al neonato Stato Italiano i diritti su Assab che diventa quindi a tutti gli effetti, territorio italiano.
Nel 1875, le truppe italiane di stanza ad Assab, partirono alla conquista e occupazione di Massaua che era sotto la sovranità sia della Turchia che dell'Egitto. Non vi fu resistenza e quindi l'Italia decise di estendere i suoi possedimenti spingendosi verso l'interno (Dogali). Qui l'avanzata non fu facile e ci fu il primo conflitto con gravi perdite da parte italiana. Cinquecento vittime a cui è stata dedicata Piazza dei Cinquecento a Roma (vicino alla Stazione Termini).
Questo preambolo è molto importante per introdurre il perché la famiglia Fareri divenne coloniale. La nascita della "primogenita" colonia Eritrea, avvenuta il 5 Gennaio del 1890, spinse mio nonno paterno, allora ventenne, a intraprendere quest'avventura. Egli infatti, partendo dalla natia Augusta (Sicilia) sbarcò sulle sponde abissine nel 1903. Fin dall'inizio mio nonno lavorò molto riuscendo a creare molte attività e investendo in immobili e terreni. Siccome le cose andavano bene, conobbe e sposò una sua concittadina di Augusta con la quale creò una famiglia numerosa costituita da ben sei figli, classico esempio di proletariato.
Ecco spiegato perché una determinata persona o famiglia era chiamata "vecchio coloniale". Si trattava in sostanza, di quelle persone che erano presenti fin dalla nascita della colonia Eritrea, mentre tutti gli altri erano i nuovi coloniali, giunti in Eritrea nel 1935 insieme con le truppe che dovevano partecipare alla conquista dell'Etiopia.

F. Claudio vai con ordine, cosa fecero tuo nonno e gli altri vecchi coloniali tra il 1903 e il 1935 (arrivo dei nuovi coloniali)?
C. Dopo il trattato di amicizia e di commercio di Uccialli tra l'Italia e il nuovo Negus Neghesti "Re dei Re" Menelik II (Uccialli, località a metà strada tra Asmara e Addis Abeba nda) venivano riconosciute le conquiste italiane dell'Eritrea. A questo punto lo sviluppo dell'Eritrea essendo ormai territorio italiano è notevole. Sono realizzate le più belle opere ingegneristiche del secolo come la ferrovia Asmara - Massaua a scartamento ridotto, lunga 120 Km che da quota zero, raggiunge 2.400 mt senza usare la tecnica della cremagliera, mantenendo quindi una pendenza minima e costante (vedi link "Ferrovia dell'Eritrea" de Il Chichingiolo). Poi la camionabile, la teleferica e le tantissime altre opere che i lettori conoscono, tra cui la nostra bellissima Asmara, riconosciuta esempio primordiale di urbanistica e ultimamente anche come patrimonio dell'umanità dall'UNESCO
Tornando a mio nonno che, come già detto, essendo lungimirante oltre a varie altre attività comprò anche delle terre nei dintorni di Asmara per realizzare alcune aziende agricole.

F. Come si chiamavano tuo nonno, tua nonna e i sei figli?
C. Il nonno si chiamava Salvatore Fareri, la nonna era Anna Di Franco e i figli, in ordine di nascita, Giuseppe, Giovanni, Rosa, Emilio (mio padre), Anna Maria e Ottavio.
La famiglia si stabilizzò ad Asmara e i figli ebbero un'educazione cristiana e frequentarono la scuola italiana.
Mio padre Emilio dimostrò subito un amore viscerale verso la terra dell'Eritrea (memorabile una sua frase. Stringendo tra le mani una zolla di terra disse: "questa è la mia terra" tanto che, quando mio nonno decise di spartire i suoi beni tra i figli, egli non esitò un attimo e chiese di poter avere l'azienda agricola di Hametzì (località a 20 Km da Asmara sulla rotabile per Cheren). Mio padre, pur essendo un omone alto più di un metro e ottanta per 120 Kg di peso, era una persona molto sensibile e aveva un animo nobile tanto che nella sua azienda agricola coltivava principalmente piante e fiori (le famose "calle") che poi venivano commercializzate dai fiorai di Asmara.
Nel frattempo papà si sposa con Sebastiana Pica ma conosciuta da tutti come Liliana.

F. Ma Liliana, la tua mamma, è anche lei una vecchia coloniale?
C. Sì e no poiché i miei bisnonni materni erano anche loro "vecchi coloniali", mentre la loro figlia, Maria Prato, era rientrata in Italia dove aveva sposato un giovane e promettente Ufficiale dell'esercito italiano, Tommaso Pica, dal cui matrimonio erano nati cinque figli, Teresa, Liliana (mia madre), Livia, Anna Maria e Tommaso. Pertanto i miei nonni materni vivevano con i loro figli in Italia e più precisamente a Bari dove mio nonno comandava una compagnia di fanteria dell'esercito.
Purtroppo mio nonno, durante un'esercitazione militare, perse la vita e mia nonna, rimasta vedova e con cinque figli a carico, decise di raggiungere i suoi genitori in Eritrea.

F. Alla prossima puntata partiremo dal naufragio della nave su cui viaggiava proprio tua nonna in viaggio per l'Eritrea...
(1 - continua)

29 Maggio 2011
 

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F.: Tempo fa mi avevi raccontato del naufragio della nave su cui viaggiava tua nonna per far rientro in Eritrea. Vuoi raccontarlo?
C. Mia nonna materna partì per l'Eritrea con tutti i suoi averi imbarcandosi sulla nave Carnaro con l'intento di raggiungere i suoi genitori. Il viaggio proseguì normalmente fino a quando, in prossimità del porto di Massaua, i marinai si distrassero (data la presenza di una compagnia di ballerine a bordo) con l'inevitabile conseguenza che la nave andò ad incagliarsi su una delle tante barriere coralline di cui è ricco il mar Rosso. A questo punto la nave incominciò ad imbarcare acqua dalla falla venutasi a creare con l'inevitabile affondamento che avvenne molto lentamente consentendo a tutti i passeggeri e all'equipaggio di mettersi in salvo.
Non fu così per gli effetti personali che, inevitabilmente, finirono in fondo al mare. Mia madre mi raccontava che le rimase molto impressa la scena dei naufraghi che, dalle scialuppe di salvataggio, vedevano davanti ai loro occhi la nave che lentamente affondava trascinando in fondo al mare tutti i loro averi senza che si potesse fare nulla. L'indomani, i naufraghi sbarcarono nel porto di Massaua con le sole vesti bagnate che portavano addosso.
Questo fu per mia madre il primo approccio, poco felice, con l'Africa! Siccome non si hanno molte notizie di questo fatto di cronaca sarebbe opportuno che chiunque ne sappia qualcosa di più le portasse a nostra conoscenza.

F. Un appello che sicuramente sarà accolto e quanto prima ne sapremo di più. Ora, parlaci di tua madre, di come sbocciò l'amore con tuo papà…
C. Mia madre, dopo le peripezie che ti ho appena descritto, giunse finalmente ad Asmara dove conobbe mio padre e, giovanissima, si sposò con lui mettendo al mondo quattro figli: Riccardo, Fulvio (precocemente deceduto e sepolto nel cimitero di Asmara, nel settore dei bambini), Claudio (il sottoscritto) e Stefano. Mia madre, a dispetto del marito, era una donna minuta ma molto tenace che riusciva a tenere a bada noi fratelli e a gestire in modo razionale sia la casa sia la famiglia. Mi chiedevi come sbocciò l'amore tra mio padre e mia madre. Fu il cosiddetto colpo di fulmine tra due persone che, in tenera età, avevano perso ciò che si ha di più caro: uno dei propri genitori. Mia madre aveva perso il genitore e in mio padre vedeva un uomo che le dava sicurezza. Anche la vita di mio padre era stata funestata dalla repentina perdita della madre, tanto che la sorella Rosa gli fece da madre putativa. Pertanto, come le negatività dei poli si attraggono, lo stesso avvenne tra di loro.

F. Torna a parlare di tuo padre.
C. Tornando a mio padre, nonostante la sua mole, era capace di gesti di grande tenerezza, cosa che ho potuto costatare anche personalmente. Egli era una persona molto tranquilla e felice di vivere in Eritrea con la sua famiglia, i suoi amici, le sue aziende agricole, la sua fabbrica di anidride carbonica (IACA, nda) e la sua grande passione: la caccia. Mio padre aveva un fuoristrada attrezzato di tutto punto con cui partiva, in compagnia di amici, per battute di caccia che duravano diversi giorni, con pernottamenti in tenda sotto il magnifico cielo stellato del bassopiano. Ecco, secondo me, mio padre rappresenta in pieno la figura del "vecchio coloniale", chi è nato, vissuto e ha amato quella splendida terra che anche noi amiamo tanto e che si chiama Eritrea!
L'atmosfera che si respirava in quel periodo in Eritrea è riassunta molto bene in un articolo di Cristoforo Barberi ultimamente pubblicato sul Mai Taclì intitolato "Le vacanze, in campagna da Emilio" in cui l'autore racconta le sue ferie a Hametzì, nell'azienda agricola di mio padre. (vedi mappa qui accanto).
A detta di mio padre, di mio fratello Riccardo e dello stesso Barberi nel sopra menzionato articolo, quest'azienda era costituita da una casa colonica e da diversi appezzamenti di terreno ove erano coltivati alberi da frutta, ortaggi e fiori ed era attraversata da un affluente del fiume Anseba. L'azienda sorgeva vicino a Medri-Zien, ed era stata trasformata in "un angolo di Paradiso" e gli autoctoni avevano grande ammirazione e rispetto verso mio padre il quale era perfettamente integrato anche perché parlava il tigrino molto bene.
Purtroppo come tutti sappiamo, "le rose sono belle ma hanno anche le spine"; difatti con l'entrata in guerra dell'Italia a Giugno del 1940 la situazione mutò notevolmente con i fatti descritti cronologicamente nel libro "Gli anni difficili 1941-1951" di Eros Chiasserini. Di seguito riportiamo alcuni stralci:

"Il 21 aprile iniziarono le prime scorribande e le prime devastazioni sui terreni dei coltivatori italiani nelle concessioni di Emilio Fareri e degli Eredi Cicoria nella zona di Hametzì, presso Medri-zien."

"Il 9 settembre, sulla Strada Asmara-Medri-zien, due "scifta" rapinarono Emilio Fareri e il suo compagno di viaggio Agostini mentre erano diretti a Hametzì.
"

Questi fatti furono le prime avvisaglie di ciò che avvenne in seguito. Difatti una mattina mia padre nel rientrare ad Hametzi, noto un'alta colonna di fumo che non lasciava presagire nulla di buono. Durante la notte un gruppo di scifta aveva terrorizzato i dipendenti locali, avevano razziato il bestiame e dato fuoco agli edifici, mettendo fine a "quell'angolo di Paradiso." Il dispiacere provato da mio padre fu talmente grande che lo indusse a non ritornare mai più a Hametzi.

F. A questo punto tuo padre a cosa si dedicò?
C. In precedenza ti avevo accennato che mio padre aveva altre attività in Asmara e una di queste era la fabbrica di anidride carbonica, la "IACA", situata sulla strada che conduceva all'aeroporto, proprio di fronte a colorificio di Piazzalunga. Ve la ricordate la terra rossa del Sembel? Si andava lì a vedere i tramonti più affascinanti che per noi erano unici al mondo. Nelle vicinanze c'erano pure i grandi radar della Kagnew Station e infine si faceva pure il moto cross. Ho divagato ma quei ricordi sono indelebili nella mia (e penso vostra) memoria.
Mio padre inoltre, in qualità di socio, si occupava del Consorzio Agrario dell'Eritrea situato nei pressi del mercato coperto e nelle vicinanze della moschea. Collaborava altresì con Giovanni Tagliero nella conduzione del grande negozio di generi alimentari. Quest'ultima attività andava molto stretta alla personalità di mio padre abituato a vivere e lavorare in spazi aperti e non al chiuso di un ufficio.

F. Quindi ritornò alla terra?
C. Certamente, come puoi ben immaginare. Alla prima occasione ritornò a fare l'agricoltore, ottenendo dal governo Etiopico una concessione (da qui il famoso nome di "concessionari") che copriva un appezzamento di terra di 45 ettari sulle rive del Gash in una località chiamata Haicota, sulla rotabile tra Barentù e Tessenei.

F. Prima di continuare a parlare di questa concessione, di cui immagino avrai molti aneddoti da raccontarmi, dimmi degli altri membri della famiglia (zii, zie e cugini), insomma del clan Fareri.
C. Il clan Fareri, inizialmente molto unito, in seguito al prematuro decesso della madre (che come in tutte le famiglie, è l'asse portante) e agli effetti negativi seguiti alla fine e la perdita della guerra, rimpatriò in Italia ad eccezione di mio padre e mio zio Giovanni. Lo zio, ottimo tornitore, aveva un'officina meccanica ed era capace di riprodurre qualsiasi parte di ricambio dei motori, all'epoca difficili da reperire. Lo zio rimpatriò anch'egli negli anni sessanta e l'unico e ultimo della famiglia a rimanere in Eritrea fu mio padre.
(2 - continua)

5 Giugno 2011
 

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F. Bene, durante questo racconto, ho sentito vari nomi. Per la cronaca, e nel limite dei tuoi vuoti di memoria, ricordi altri vecchi coloniali?
C. Ne cito qualcuno perché, come dici tu, i vuoti di memoria sono tanti e spero che gli omessi non se ne abbiano a male. Tra gli altri mi ricordo dei Ponzio, Acquisto, Barberi, Matteoda, Avveduto, Ertola, ecc.

F. I vecchi coloniali erano molto uniti tra di loro? Mi sbaglio o è una mia giusta sensazione?
C. Sì, erano molto uniti tra di loro come se fossero stati dei commilitoni avendo diviso molti sacrifici; pensa che in molti casi gli accordi erano conclusi con una semplice stretta di mano senza bisogno di carte bollate, notai, avvocati, come avviene oggi…

F. Tornando ad Aicota, immagino che anche lì sia stata dura per tuo padre, il risultato però alla fine si è visto.
C. La nostra "concessione" sorgeva sulle rive del Gasc, fiume tipicamente alluvionale, sulle cui sponde crescevano rigogliose le palme dum.

F. Quelle da cui noi ragazzi utilizzavamo il seme (nocciolo) per fare le trottole? Scusa la parentesi!!!
C. Esattamente…Durante il periodo delle piccole e grandi piogge, l'acqua scorreva abbondante nel letto del fiume e spesso, superando le basse sponde, andava ad allagare i terreni limitrofi depositandovi sopra grandi quantità di humus rendendoli particolarmente fertili. Durante gli altri periodi dell'anno, il letto del fiume non era altro che una grande distesa di sabbia sotto il quale l'acqua continuava a scorrere. Per irrigare le coltivazioni era pertanto necessario scavare dei pozzi nel letto del fiume dal quale ricavare acqua purissima (in quanto filtrata dalla sabbia) e per giunta, freschissima che per quel clima caldo secco era una manna!!
Devi quindi capire che le difficoltà iniziali furono tante, visto che bisognava creare un'azienda agricola dove fino a poco tempo prima c'era solo la savana.
Grazie anche alla collaborazione e all'aiuto di Carmelo Cordaro (compianto padre del nostro caro e comune amico Beppe) che, unitamente al fratello Lino, aveva una "concessione" confinante con la nostra, mio padre riuscì nell'intento realizzando una fiorente azienda agricola ove si producevano grandi quantità di ottime banane che erano esportate tramite l'organizzazione dei fratelli De Nadai.

F. Durante questo periodo, voi, intendo tua madre e i tuoi fratelli, dove eravate? Ad Asmara?
C. Sicuramente, avevamo la scuola, però a ogni occasione propizia si andava giù nel bassopiano a trascorrere i periodi di vacanza.
Il divertimento iniziava con i preparativi; bisognava attrezzarsi di tutto punto, preparare i panini da consumare durante le soste del lungo viaggio in automobile. La partenza avveniva di solito, la mattina molto presto con varie pause per riposarsi e per far visita agli amici che avevano le loro aziende lungo il percorso.
La prima sosta quasi d'obbligo avveniva di solito a Elaberet dove, sulle rive dell'Anseba sotto un enorme albero di mango tra le aziende agricole degli Acquisto e quelle di Casciani-De Nadai, si faceva pic-nic. Ho ancora impresso nelle narici il profumo che si sprigionava nell'aria mentre si sbucciava il mango appena raccolto dall'albero…

F. Vuoi farci venire l'acquolina in bocca? Non è giusto, continua.
C. Il viaggio proseguiva attraversando la città di Cheren o "città bianca ", così chiamata a causa del colore bianco di quasi tutte le case, tra le quali svettava il palazzo che ospitava l'albergo - ristorante "SENHAIT". Poi era un rito la visita al Santuario di Mariam Dearit, la Madonna del Baobab. I cherenini ne sanno qualcosa...
Percorsa la famosa gola del Dongolas, si giungeva a Barentù per poi arrivare alla meta agognata della casa di Aicota. Qui la mia fantasia poteva dare il massimo del suo sfogo; con gli attrezzi reperiti qua e là per l'azienda, mi ero costruito una casetta sopra un albero, alla Robinson Crusoe, dove trascorrevo gran parte del mio tempo a osservare i colibrì che, con grande abilità costruivano i loro nidi, completamente chiusi e con un ingresso a tubo che impediva ai serpenti di poter far colazione con le uova custodite dentro.

F. Se ricordo bene e, penso di non sbagliarmi, tra tuo padre e il Console Generale d'Italia ad Asmara, il Dr. Emanuele Scammacca del Murgo, c'era un'amicizia che andava oltre quelli che potevano essere i convenevoli istituzionali.
C. Sì, hai ragione. Infatti tra mio padre e l'allora Console Generale d'Italia ad Asmara, Emanuele Scammacca del Murgo, c'era un rapporto di amicizia e reciproca stima nato in seguito a diversi eventi che si sono succeduti.
Come ti ho raccontato in precedenza, mio padre, dopo gli eventi "degli anni difficili", non volle più mettere piede nella sua azienda di Hametzì, di cui però ne rimaneva proprietario a tutti gli effetti. Grazie all'intermediazione del Dott. Scammacca, mio padre si convinse a vendere la sua proprietà ai contadini locali.
Il tutto avvenne con una grandiosa festa, alla presenza appunto del Console Generale e di molte altre Autorità locali, sotto un grandioso Das (tendone usato durante varie cerimonie, nda). Fu una cerimonia molto commovente, sia per mio padre sia per i vecchi del paese, in quanto, nonostante tutto, continuava ad esistere molta stima e rispetto reciproci. In quell'occasione il Console manifestò la volontà di intraprendere un viaggio in bassopiano e mio padre si offrì di fargli da guida. Visitarono diverse località che solo chi è del luogo conosce, ivi compreso le sperdute missioni dei preti cappuccini.
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12 Giugno 2011

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F. Claudio, dopo aver parlato dei tuoi e della loro venuta in Eritrea, sembra ora opportuno parlare un po' dei giorni nostri (si fa per dire) anche se sono passati più di trent'anni. Sembra ieri. Racconta di te e dei tuoi fratelli. Le scuole che avete frequentato, gli amici del cuore, le prime "cottarelle" ecc.
C. Mio caro amico, purtroppo gli anni passati dal giorno del mio rimpatrio sono quasi quaranta. Ho ancora in mente quella mattina del 13 aprile 1973, quando, affacciandomi dal finestrino dell'aereo in fase di decollo, vedevo sfilare sotto i miei occhi, la città d'Asmara e pensavo se e quando l'avrei più rivista.
Durante quel viaggio, come in un film, ho ripercorso gli anni trascorsi in Eritrea e tutto ciò che mi lasciavo alle spalle, incominciando dai genitori, i fratelli, agli amici (e le amiche) d'infanzia, un po' tutta la mia vita. Ho pensato all'asilo che avevo frequentato presso le suore del S.Anna nei locali dietro la Cattedrale, vicino al campanile, alle scuole elementari, la maestra Ascari, i miei compagni di scuola, gli amici di tante birichinate, quelli della media, quelli delle superiori con i quali ho i ricordi più belli forse perché riferiti ad un'età più matura e consapevole e legata alle prime "cottarelle", come le chiami tu, che però hanno lasciato il segno Ho pensato ai "tè danzanti" della domenica pomeriggio al C.U.A., dove, in un primo tempo facevo solo "tappezzeria" a causa della mia timidezza, ma poi mi ero "scafato", come dicono a Roma, e avevo incominciato a fare la corte alle nostre belle asmarine.
Ripensavo a quando, sempre al C.U.A., si facevano spettacoli teatrali, dietro la mirabile guida del nostro Prof. Folena, o si rappresentavano spettacoli d'intrattenimento con un presentatore del calibro di Remo Girone. Durante uno dei quali mi ero persino cimentato nel ruolo di cantante intonando la canzone "Zingara".
Ricordavo le famose "vasche" che facevamo in centro, su e giù per quel viale dove ci vedevamo e incontravamo mille volte ma che ogni volta ci risalutavamo come in un rito e di quando, incontrando un gruppo di ragazze facevamo gli scherzi dicendo: "La più bella ha le scarpe rosse!!!" e loro, pur sapendo di non averle, istintivamente, abbassavano gli occhi per vedere se per caso quel complimento era rivolto a loro o a quando, grazie alla complicità delle sorelle più grandi, riuscivamo a combinare un incontro con le nostre amate.
Bei tempi!

F. Mi hai detto di quando andavate in concessione ad Aicota e delle tue fantasticherie. Siete andati anche da "grandi"? Quali erano le tue fantasie, il tuo passatempo, i rapporti con i fratelli?
C. Devi sapere che come si dice "l'appetito vien mangiando" e a mio padre fu data la possibilità di trasferire la sua azienda agricola in un'altra concessione molto più grande (trecento ettari), nella località di Tecreret sulle rive del fiume Barca nelle vicinanze di Agordat, tra le altre cose più vicino ad Asmara. Mio padre accettò. A questo punto bisognava ricominciare tutto da capo e pertanto egli pensò bene di "assumere" in questa sua nuova impresa forze nuove costituite da mio fratello Riccardo, che in quel periodo lavorava a Bengasi, ed il sottoscritto, neo diplomato geometra.
Anche in questa nuova avventura non eravamo soli, ma avevamo come "vicini" altri concessionari come i fratelli Toti, parenti della nostra comune amica Daniela, con i quali abbiamo condiviso gioie e dolori. Devi sapere che i Toti possedevano una casa molto particolare, sembrava un enorme tucul con un cortile interno dove, dentro un recinto, pascolava una bellissima gazzella!!
Sono stati anni di duro lavoro che però hanno dato i loro frutti. Pensa che si arrivava a produrre notevoli quantità di banane e, durante la stagione primaverile, producevamo anche dei magnifici peperoni, il tutto esportato tramite i fratelli De Nadai.
Si lavorava ma si trovava anche il tempo per fare qualche battuta di caccia, con gli amici che di volta in volta ci venivano a trovare in azienda. Ogni volta che tornavamo dalle battute di caccia, trovavamo le mogli dei nostri operai che ci aspettavano a braccia aperte, pronte a fare una gran festa cucinando e mangiando la cacciagione seduti intorno ad una gran tavolata nel cortile che si era formato tra la nostra casa colonica e le casette che avevamo costruito per gli operai.
Mi chiedevi dei rapporti tra me e i miei fratelli, premetto che c'e una notevole differenza d'età fra noi (siamo nati a otto anni di differenza uno con l'altro e tra il primo e l'ultimo ci sono ben sedici anni) e pertanto, da piccoli, abbiamo vissuto come tre figli unici, con amici ed esperienze diverse, comunque siamo sempre stati legati tra noi.

F. Oltre ad essere un provetto cacciatore, eri anche pescatore?
C. Sì, fare pesca subacquea era uno dei miei sport preferiti. Quando ci s'immergeva in quel mare non sembrava di essere in mare aperto, ma dentro un acquario pieno di pesci coloratissimi e dalle forme più strane.
Come sicuramente ricorderai, noi vivevamo in un EDEN senza saperlo. La natura è stata molto magnanima nei nostri riguardi facendoci nascere e crescere in un luogo dove c'e tutto ciò che si può desiderare.
Pensa che una volta, in compagnia di alcuni amici (Sandro, Carlo e Adalberto) abbiamo deciso di andare a fare campeggio sulla spiaggia di Gurgusum, utilizzando come mezzo di trasporto, la littorina, si la mitica littorina.
E' stato un viaggio fantastico, pieno di fascino e d'avventura. La littorina correva veloce attraversando ponti e gallerie. Dai finestrini ammiravamo le montagne piene di fichi d'india e di babbuini, i burroni profondissimi. Infine abbiamo percorso la piana d'Ala con i suoi ponti, le gazzelle e i dromedari fino a raggiungere l'isola di Taulud ed infine l'isola di Massaua. Da qui, con mezzi di fortuna, abbiamo raggiunto Gurgusum.
Memorabili solo state anche le gite alle isole Dalak, dove si andava per le vacanze di Natale e Capodanno (ho ancora davanti agli occhi l'immagine dei fuochi d'artificio infilzati nella sabbia che innalzandosi nel cielo riflettevano la loro luce nell'acqua del mare).
Come poi non parlare del "lido", quella magnifica piscina naturale di acqua di mare dove una volta ho persino nuotato in compagnia di alcuni cavallucci marini.

F. Quanta nostalgia ci fai venire! Cambiamo argomento: com'erano i rapporti con i tuoi professori al Bottego? Se vuoi puoi toglierti pure qualche "sassolino dalla scarpa".
C. Mi stai facendo una domanda che suscita in me dei sentimenti di natura opposta gli uni dagli altri. Mi spiego meglio. I rapporti con i miei professori del Bottego non sono mai stati idilliaci, ma con questo non voglio dire che li ricordi con rancore, eccezion fatta per il prof. Morelli, pace all'anima sua. Diversamente ho sempre avuto un ottimo rapporto, ad esempio, con il prof. Dionisio, dal quale ho veramente imparato il mestiere, in quanto, come ricorderai, ci portava in campagna e ci faceva fare pratica con gli strumenti (lo Squadro Pagani, tacheometro, teodolite, paline, ecc…).
Come poi non parlare del prof. Folena, figura indicativa, con il suo bastone e la sua grande passione per il teatro o del prof. Architetto Fornaini e della sua passione per il totocalcio e mi fermo qui…
La figura che mi è rimasta più simpaticamente impressa è quella della nostra professoressa di fisica che, come ricorderai, diceva sempre: "Mi son la Drigo e quel che dico esigo!" quando si presentava in aula con in testa i bigodini tenuti insieme da una ridicola retina verde…

F. Infine a causa degli eventi bellici il resto della tua famiglia è rimpatriato come dal resto tutti noi.
C. Esatto, a causa dei noti eventi nel 1975, tramite alcuni aerei messi a disposizione dal governo italiano, mia madre e mio fratello Stefano sono rimpatriati mentre mio padre è rimasto in Eritrea fino al 1978, data del suo rientro definitivo in Italia.
Come puoi immaginare egli era qui con il corpo, ma la sua anima e la sua mente erano rimaste lì, nella "sua" terra, l'Eritrea. Fu tale il dispiacere che dopo pochi anni di permanenza in Italia, in seguito ad una malattia, ci ha lasciato.

F. Claudio come la maggior parte di noi (ma il sottoscritto non lo ha ancora fatto), dopo diversi anni sei voluto tornare in quella nostra amata terra. So che le sensazioni sono infinite e diverse. Sono emozioni che a volte teniamo solo per noi e non condividiamo con gli altri ma tu hai scritto delle tue sensazioni, emozioni ed è bellissimo leggerle. Non ti chiedo di farmene un riassunto perché non sarebbe giusto però ti chiedo di inviare il tuo scritto al Chichingiolo separatamente e sono sicuro che Lord Kikki sarà felice di pubblicarlo. Promesso? Okay, aspettiamo di leggerti, intanto ti ringrazio per la tua disponibilità e per averci raccontato della tua famiglia e di te. Come ben sai abbiamo suscitato moltissimo interesse tra i lettori.
(4 - fine)

 
19 Giugno 2011

 
IL RITORNO


Khamsin (1)

Correva l'anno 1993 quando "nel mezzo del cammin della mia vita", (prendendo a prestito e modificando i primi versi della Divina Commedia), alla "tenera" età di quarantun'anni appunto e vent'anni dopo il mio rimpatrio, ho avuto l'opportunità di ritornare in Eritrea.
Mentre stavo per iniziare questo mio memorabile viaggio, ho pensato di portarmi dietro un blocchetto sul quale fissare appunti che ho diligentemente compilato ma che fino a qualche giorno fa sono rimasti chiusi in fondo ad un cassetto della mia scrivania. Grazie all'insistenza e sollecitazione dell'amico Franco Caparrotti, ho deciso di sistemare e trascrivere questi miei appunti in maniera da rendere partecipi tutti gli amici asmarini e far rivivere le sensazioni e le emozioni che ho provato durante questo mio viaggio.
La prima cosa che si chiede chi si appresta a leggere questo mio racconto è sicuramente capire perché lo abbia intitolato "Khamsin". Vi accontento subito. Come ricorderete, il khamsin è un vento caldo, avvolgente e penetrante come le sensazioni che ho provato ritornando in Eritrea. Durante il viaggio i pensieri che sono passati per la mia mente sono stati tantissimi ed ero molto emozionato, anche se cercavo di non ammetterlo neanche a me stesso.
Era sera quando l'aereo, dopo aver sorvolato la città di Asmara, è finalmente atterrato. Fin dal primo momento i ricordi hanno preso il sopravvento e mentre a bordo di un'automobile percorrevo la strada che dall'aeroporto porta in città, ho ripensato a quando su quella stessa strada mi cimentavo in gare automobilistiche, del tipo "gioventù bruciata", sfidando l'amico Valentino Valente.
Data l'ora tarda e la differenza dovuta al fuso orario, decisi di andare subito a dormire in maniera di essere fresco e riposato per il giorno dopo.
Ero ospite presso l'albero Nyala e già questo ha suscitato un mare di ricordi, non ultimo la cena e la festa che organizzammo con tutti i compagni di classe per festeggiare il diploma di maturità.
La mattina seguente affacciandomi dalla finestra della stanza dell'albergo ho potuto ammirare Asmara e dintorni. La cosa che mi ha colpito maggiormente è stata la limpidezza dell'aria che mi permetteva di scorgere benissimo tutto il panorama circostante, cosa alla quale non ero più abituato.
Di buona ora, dopo un'abbondante colazione, gambe in spalla e via per le strade di Asmara. La prima sensazione che ho provato è stata simile a quella di quando, andando in soffitta, si apre un vecchio baule e da questo saltano fuori un sacco di oggetti che ti ricordano tanti avvenimenti del passato.
Viale Roma, il Bar Zilli, il cinema Roma e di fronte il distributore di benzina con annesso un piccolo bar che una volta serviva le consumazioni direttamente in macchina…
La Croce del Sud non esiste più; al suo posto c'e un giardino. Di fronte ci sono i locali che un tempo ospitavano la farmacia del dott. Rossi, il papà dell'amica Marilia e mio professore di fisica e chimica.
Continuando la mia favolosa passeggiata, mi sembrava di non essere mai partito.
Ho attraversato tutto il centro cittadino, passando davanti all'Istituto Montessori, al negozio "79", a quello di "Millefiori" dove ancora spiccava il cartello pubblicitario con il profilo dell'uomo con la pipa in bocca, la farmacia Boscarino, la piazza della posta, il negozio di parrucchiera della madre dell'amico Sandro Pasini, quindi mi ritrovo dietro il palazzo Falletta (sulla cui sommità spicca ancora la pubblicità dell'Alitalia). Di li a pochi metri pensavo di poter leggere ancora la scritta "Everything for the house" che era l'effige del negozio del papà dell'amico Franco De Leonardis.
Dopo esser passato davanti alla tipografia Francescana, eccomi di nuovo nella via principale (quella delle famose "vasche"), e stagliata nel cielo terso e azzurro mi appare la nostra favolosa "Cattedrale".
Attratto da tanta bellezza, come un automa sono entrato; non mi vergogno di dire che a questo punto l'emozione è stata talmente forte che mi sono messo a piangere come un bambino! Troppi erano i ricordi che hanno pervaso la mente, dal giorno del mio battesimo, a quello dalla prima comunione e cresima, dal matrimonio di mio fratello Riccardo a tutte cerimonie che si sono svolte in quella chiesa. E come non ricordare le "castagne" che ci dava in testa padre Zenone quando combinavamo qualche marachella o quando nel cinematografo dell'oratorio vidi il film "King Kong", pellicola in bianco e nero, prima versione. Come non ricordare le messe della domenica mattina, dove bisognava andare con il vestito "buono", quello delle grandi occasioni.
Di fronte alla Cattedrale ho rivisto il bar dove andavo a comprare il "pinguino", il gelato che qui chiamano "cremino", ma per me molto più buono perché fa parte dei mille ricordi della mia infanzia.
Ho proseguito la mia camminata passando davanti al negozio di abbigliamento "Castiello" proseguendo sono passato davanti a "Gianni e Gina", mitici parrucchieri, prima di raggiungere la sartoria "Giudice".
Sempre un tuffo al cuore, un ricordo, un'emozione; ho continuato e mi sono ritrovato davanti al cinema "Impero". Anche questa icona del nostro passato ha suscitato in me una miriade di ricordi e solo per questo si potrebbe scrivere un libro. Di lì e a pochi metri di distanza, ecco il Municipio con la sua fontanella, le sue panchine, i suoi giardini ben curati con tanti fiori e le indimenticabili farfalle "pastasciutta" svolazzare da fiore in fiore. Non poteva non mancare la visita al mercato coperto, dove si liberavano in aria moltissimi odori e immancabilmente ricordi ed emozioni. A questo punto per riprendermi e riposarmi un po' decisi di andare a prendere un aperitivo al bar Ugo.
In questa mia prima passeggiata non ho potuto fare a meno di recarmi nella piazzetta del Commissariato, dove ho abitato nei miei primi anni di vita. Con mio sommo piacere ho notato che non era cambiato nulla.
Le grosse panchine di pietra, i vialetti polverosi dove si svolgevano le nostre partite a "palline" erano sempre lì. Nel fare il giro della piazzetta, mi sono girato istintivamente verso l'unico negozio e ho notato che anche quello era ancora lì. Curioso, mi sono avvicinato per vedere chi c'era dietro il bancone. Fantastico! Dietro quel bancone c'era ancora il vecchio proprietario, Geremeschel il quale si è avvicinato, mi ha guardato stupito e poi ha esclamato: "Uoddì…Emilio…". Sì, mi aveva riconosciuto, non si ricordava il mio nome, ma quello di mio papà sì, nonostante fossero passati vent'anni!
Non riesco a descrivere l'emozione che abbiamo provato reciprocamente in quei momenti, tra un'infinità di abbracci e pacche sulle spalle. Questo bellissimo incontro si è concluso con la classica foto di rito per immortalare quel momento.
Altro luogo "sacro" che ho voluto rivedere almeno da fuori è stato il C.U.A.
Purtroppo qui ho notano i segni del tempo che passa, ma per me resta un luogo mitico, dove il "ballo della mattonella" era il più gettonato in quanto ci permetteva di "avvicinare" le ragazze.
Mentre passeggiavo per Asmara, ho incontrato una mia compagna di scuola, Laura Moscucci, che abitualmente vive a Roma, stessa città dove abitualmente vivo anch'io, ma dove non ci siamo mai incontrati.
Dopo il primo momento di stupore reciproco, mi ha raccontato che lei trascorre lì diversi mesi l'anno e mi ha invitato a fare una passeggiata nel suo fuoristrada con il quale ho potuto più agevolmente continuare il mio giro turistico della città.
Il giorno seguente sono voluto andare a fare una visitare ai miei cari al Cimitero. Come diceva un illustre scrittore di cui ora non mi sovviene il nome, "La civiltà di un popolo si misura vedendo come tiene il proprio cimitero".
Se questo è vero, posso assicurare che il popolo eritreo è un popolo civilissimo; infatti, quel luogo era e spero lo sia ancora custodito mirabilmente. Ho fatto visita alla tomba dei miei nonni e a quella di mio fratello Fulvio davanti al quale mi sono molto commosso e mi sono tornati in mente i versi di Ugo Foscolo che nella famosa poesia "In morte del fratello Giovanni" così si esprimeva: "Un dì, s'io non andrò fuggendo di gente in gente, me vedrai seduto sulla tua pietra, o fratel mio, gemendo il fior de' tuoi anni caduto…." versi che incarnavano precisamente i miei sentimenti in quel preciso momento.
(1 - continua)

 
10 Luglio 2011

 

Khamsin (2)

I giorni passavano velocemente e quindi ho cercato di concentrare il più possibile le mie visite nei luoghi che ritenevo per me più cari e ricchi di ricordi e quindi di emozioni.
Pertanto ho voluto fare una passeggiata in quel di Gezzabanda, dove ho ammirato la famosa fontana a gradoni, ove l'acqua scrosciava e zampillava allegramente come volesse salutarmi dopo avermi riconosciuto. Attraversati i binari, ecco lì in posizione quasi di sfida la salita che tante volte avevo fatto in bicicletta. Superata anche la seconda rampa meno faticosa della prima, mi viene un tuffo al cuore nel rivedere le case dove a suo tempo abitavano le famiglie Avveduto e Acquisto.
Quante volte quei cortili sono stati complici dei nostri giochi e poi le abitazioni che ospitavano "le feste in casa", dove sotto stretta sorveglianza di almeno un genitore ballavamo qualche lento sulle note di "A chi?" di Fausto Leali propagate dal grammofono. Per un momento, il tempo sembrò fermarsi mentre in realtà scorreva velocemente, ed era quasi l'ora di pranzo. Sulla via del ritorno ho voluto passare deliberatamente davanti al fabbricato che ospitava il Liceo per risognare a occhi aperti quei magici momenti in cui insieme coi compagni di scuola, appoggiati alle nostre moto, aspettavamo l'uscita da scuola delle ragazze.
Il pomeriggio l'ho dedicato allo shopping al mercato coperto dove la mia attenzione è stata attratta da un negozio che vendeva frutta e tra gli altri c'erano pure gli zaituni che emanavano il loro ineguagliabile profumo Ho provveduto subito ad acquistarne alcuni e me li sono subito gustati mentre passeggiavo. Saranno cose banali, ma in quei momenti ho provato un senso di leggerezza e spensieratezza che mi mancava da tempo.
Non poteva mancare una gita a Massaua; cosi il giorno dopo, noleggiata un'autovettura sono partito alla volta della "Perla del Mar Rosso". Già dopo alcuni chilometri lo spettacolo che si è presentato ai miei occhi è stato simile a quello che si ha dal finestrino di un aereo: la punta delle montagne del Dorfu spuntavano fuori da un manto di nuvole bianche che si estendono all'infinito. Affrontate le prime curve e avvolto dalla nebbia ho notato un gruppo di ragazzi, fermi al bordo della strada, che avevano un cesto di "beles" appena raccolti. Mi sono fermato a mangiarne qualcuno e nel frattempo ho guardato quelle mirabili opere d'arte che sono i ponti e le gallerie della ferrovia.
Continuando nella guida, confidavo di vedere il monte Bizen, dove il nostro eroico aviatore "Visentini" si schiantò con il suo aereo. Purtroppo a causa delle nubi e dalla nebbia la visibilità era minima. Cosi lasciate alle spalle prima Nefasit e poi Embatkalla sono arrivato a Ghinda dove con gran delusione ho scoperto che non esiste più il punto di ristoro costituito dal bar-ristorante "Buon Respiro" di cui rimangono solo alcuni ruderi.
Passato Dongollo sia alto che basso mi sono involato nella "Piana d'ala" fermandomi per rendere omaggio presso la Stele che ricorda la famosa battaglia di Dogali. Tra le altre cose ho potuto notare che Dogali è stato luogo purtroppo di altre battaglie più recenti, e lo testimoniavano le trincee scavate tutt'intorno alla stele.
Dopo aver attraversato il ponte di Dogali dove ancora spicca la famosa scritta in genovese "Ca custa lon cacusta" ho proseguito ininterrottamente fino a Taulud e da qui a Massaua che mi ha accolto con un tempo nuvoloso e un caldo-umido insopportabile. Ciò non mi ha fatto desistere e ho continuato il mio giro per Massaua. Come prima tappa sono andato a visitare ciò che resta dello "Yacht Club" ovvero del "Lido" e, con mio sommo dispiacere, ho notato che era tutto in estremo degrado. Lo scivolo dal quale mi ero lanciato in piscina migliaia di volte era ridotto ad un ammasso di lamiere contorte. I trampolini non esistevano più e il piccolo bar era completamente distrutto. Anche qui mi è tornato in mente quando, in compagnia degli amici, trascorrevo spensierate giornate dedicate al nuoto, alle gite in motoscafo e principalmente ad ammirare i bellissimi corpi delle nostre "asmarine".
La tappa successiva non poteva che essere una visita a Gurgusum, dove mi è sembrato di essere a Rimini o Riccione, con gli ombrelloni allineati sulla spiaggia e i turisti che si facevano le foto in groppa al dromedario. Che malinconia, dove era finita la Gurgusum che ricordavo? Un unico bar-ristorante e le ghiacciaie che custodivano le birre Melotti? Sicuramente è meglio così, con tante comodità a portata di mano, anche se il fascino non è più lo stesso.
Ritornato ad Asmara, preso dall'entusiasmo e non ancora pago, ho deciso di fare una gita anche nel bassopiano occidentale. Preso a noleggio un fuoristrada di buon ora e, come da buona abitudine presa da mio padre, sono partito alla volta di Agordat.
Stagliata all'orizzonte, la chiesa degli Eroi mi augurava un buon viaggio. Mi sarei voluto fermare in diversi posti ma ho proseguito dritto lasciandomi alle spalle il campo Cicero e poi via, via l'undicesimo chilometro, con il suo laghetto alle spalle del fitto bosco, Belesa e Hametzì, dove mio padre aveva un'azienda agricola (ne ho parlato ampiamente nell'intervista rilasciata a Franco Caparrotti). All'altezza del fiume Anseba ho potuto intravedere, in lontananza, la villa degli Acquisto dove trascorrevo gran parte delle mie vacanze estive. Ricordo ancora quelle "montagne" di mele custodite in enormi magazzini e le battute di caccia che si svolgevano in quelle campagne con Luciano, Pasquale e Marcello.

Ecco poi l'azienda agricola De Nadai, con la sua chiesetta e l'enorme distesa di alberi di frutta che si estende per gran parte della valle. Lo sguardo va oltre e cerca le case bianche di Cheren, dove mi sono fermato nello stesso bar-risorante che frequentavo da giovane. Attaccato alla parete dietro il bancone, c'e ancora il vecchio specchio con la pubblicità "Vini Fenili". Ho fatto una visita al "Cimitero degli Eroi", dove sono custoditi i resti dei valorosi soldati italiani ed eritrei che combatterono nella famosa battaglia di Cheren. Percorsa la discesa del Dongolas, mi sono incamminato verso il ponte di ferro sul fiume Barca fino a raggiungere la mia meta: Agordat.
La cittadina è rimasta come quella che ricordavo io, con la grande moschea e dove, anche qui, ho trovato alcuni abitanti che si ricordavano di mio padre. Difatti nelle vicinanze di Agordat, e più precisamente nella località di Tecreret, mio padre aveva un'azienda agricola di banane e peperoni avuta in "concessione" dal governo dell'epoca. Da ciò nasce la definizione di "concessionari", appellativo con cui venivano definiti coloro che avevano una azienda agricola. (allegare "preghiera (profana) del concessionario"
Ecco, questa è stata la mia vacanza in Eritrea con le sue molte emozioni, a volte delusioni e di cui ho voluto rendervi partecipi, nella speranza che sia servita ad ognuno a ricordare qualcosa del proprio passato che per me resta sempre attualissimo ed indelebile.
Claudio Fareri
(2 - fine)

 
17 Luglio 2011

 
LA MOGLIE DEL FIGLIO DI UN "VECCHIO COLONIALE" RACCONTA
di Franco Caparrotti
 
 

La cosiddetta "par condicio" mi suggerisce che un'intervista alla moglie del figlio di un vecchio coloniale, sia d'obbligo.
Anzi, più che un obbligo, un piacere. Di chi parlo? Daniela l'ha definita "mitica", qualcun altro "cecerona" oppure "loquace", gli aggettivi si sprecano. Bene, parliamo della bella e simpaticissima Rosanna Rossi, moglie di Claudio Fareri, asmarina d'adozione prima e ora asmarina "doc".

Franco: Cara Rosanna grazie anche a te per la disponibilità nel concedermi questa intervista e per aver consentito la pubblicazione della stessa. Quando hai conosciuto Claudio e cosa ha fatto scattare la molla?
Rosanna: Ho conosciuto Claudio durante una gita al lago Trasimeno, bada bene, gita organizzata da un gruppo di asmarini, ero stata invitata da una mia ex collega di lavoro. Era la mia prima uscita di casa dopo un lungo periodo durante il quale, in seguito ad una mia delusione d'amore, avevo interrotto qualsiasi rapporto con il mondo esterno e mi ero chiusa in me stessa, decidendo di non volermi più innamorare. La giornata al lago trascorse molta allegramente anche perché Claudio mi fece, fin da subito, una corte serrata e sembrava quasi che a quella gita partecipassimo solo noi due. Da parte mia, la cosa mi faceva molto piacere, ma come ti ho detto, non volevo far trasparire i miei sentimenti, per paura di non mantenere fede a quanto mi ero ripromessa. Durante il viaggio di rientro a Roma, a causa del traffico e dato che viaggiavamo su due auto diverse, ci siamo persi senza neanche salutarci e scambiarci i reciproci numeri di telefono. Dopo circa un mese, la stessa collega m'invitò al primo e unico raduno degli asmarini che si tenne a Roma, con l' eccezionale presenza di Renato Carosone. Prima di accettare l'invito, cercai di sapere se tra i partecipanti ci fosse stato anche Claudio, siccome mi ero resa conto che "il ragazzo" non mi era indifferente. Avuta la conferma che anche lui avrebbe partecipato, accettai immediatamente. Durante quella serata, Claudio continuò a corteggiarmi in maniera tanto sfacciata ed evidente che Bruno Piccoli, anche lui presente a quel raduno, chiese a Claudio: "Chi è questa signorina? E' la tua ragazza?" Dopo quest'avvenimento, prima avvisaglia, galeotto fu un invito a cena a lume di candela, durante la quale è scattata la molla che mi ha fatto ricredere nell'amore e capire che Claudio era l'uomo giusto.

F.: Quando fu che Claudio ti chiese di sposarlo? Hai accettato subito ed eri convinta di quello che facevi?
R.: Devi sapere che la mia unione con Claudio non ha seguito i "normali" canoni, perché noi prima di sposarci siamo andati a convivere. Questa è stata una delle prime decisioni da me presa con la mia testa e in completa autonomia, andando contro sia i miei genitori sia alla mia forma mentis. Ero talmente innamorata e convinta di ciò che facevo che non ho dato ascolto a nessuno, e adesso mi rendo conto che il tempo mi ha dato ragione. Pertanto la classica domanda: "Mi vuoi sposare?" l'ho ricevuta dopo circa cinque anni di convivenza, ma è stata sempre molto commovente al punto che il nostro matrimonio è avvenuto dopo solo tre mesi da quella dichiarazione.

F.: Com'è Claudio come marito e come padre? Raccontaci un po' di lui dopo ventidue anni di matrimonio.
R.: A questa domanda non posso risponderti che positivamente, posso affermare che Claudio, per me, è un marito meraviglioso, l'uomo che ogni donna vorrebbe sempre al suo fianco. Per lui non ci sono hobby, impegni di lavoro ecc. che siamo più importanti di me e della sua famiglia. Egli è sempre grato per ciò che faccio ogni giorno e se qualche volta discutiamo, è sempre il primo a chiedere scusa e a cercare, con un sorriso, di fare pace. Come tutti però, anche lui ha i suoi difetti. Ciò che gli rimprovero maggiormente, soprattutto ora che sta andando avanti con gli anni, è che sia molto ansioso.
Come padre è un bravo papà sempre presente, sia quando i figli erano piccoli sia ora che sono più grandicelli; mi ha sempre aiutata a crescerli ed ha sempre giocato con loro. A conti fatti, posso affermare che questi ventidue anni trascorsi insieme sono stati i più belli e vissuti di tutta la mia vita, nonostante vi siano stati anche momenti molto dolorosi che insieme siamo riusciti a superare.

F.: Sposando Claudio, in un certo senso sei diventata asmarina di adozione e ti sei trovata subito bene tra gli asmarini. Raccontaci un po' questa tua "passione" se la possiamo così definire.
R.: Franco, hai perfettamente ragione quando parli di "passione", è la definizione esatta per esprimere i miei sentimenti nei confronti di Claudio e di Asmara. Sono rimasta affascinata sia da lui sia dai racconti della sua vita trascorsa in quella terra. Pertanto ho incominciato a frequentare i suoi amici asmarini che, di conseguenza, sono diventati anche miei e con i quali ho un ottimo rapporto, come avrai avuto modo di notare durante le diverse occasioni.

F.: Gli asmarini ti hanno accettato a braccia aperte e sei passata dallo status "adottivo" a quello "doc". Ne sai più te che noi asmarini. Com'e' possibile?
R.: Devi sapere che il passaggio dallo status di adottiva a quello doc è stato graduale ma continuo, grazie al mio carattere molto espansivo e al benevolo benvenuto da parte della vostra comunità asmarina. Tu dici che a volte, della vostra città e dei suoi abitanti, ne so più io che voi asmarini. Ciò è dovuto al fatto che ho sempre ascoltato con interesse i racconti di Claudio, spesso accompagnati da foto, filmati e quant'altro, che memorizzati ed elaborati hanno fatto si che, pur non essendoci mai stata fisicamente, io abbia potuto avere una percezione, immaginaria ma molto vicina alla realtà, sia dei luoghi sia delle persone che vivevano ad Asmara.

F.: Semplicemente straordinaria. Senti, a questo punto penso che sia giunto il momento per te di visitare Asmara e le altre località dell'Eritrea.
R.: E' tanto che lo chiedo, anzi lo chiediamo (anche i figli) e sono sicura che un giorno non lontano Claudio farà avverare il nostro sogno. Sarebbe bello fare il viaggio con un gruppo di amici. Che ne dici Franco? Chissà!

F.: Di Claudio, abbiamo parlato abbastanza. Come hai detto sopra, hai partecipato al raduno asmarino di Roma e poi è stato un susseguirsi. Parlami dei raduni, delle sensazioni che ti trasmettono.
R.: Dopo quel famoso primo raduno di cui ti ho già parlato, ho partecipato a diversi vari altri raduni, sia quelli organizzati dal Mai Taclì, sia quelli organizzati dal chichingiolo. Superato il primo impatto è ovvio che negli anni a seguire sono sempre andata più volentieri visto anche come sono stata subito accolta e ben voluta dalla stragrande maggioranza degli asmarini. Come potrai immaginare, sia durante gli uni che gli altri sono sempre stata accolta calorosamente tanto che quando si avvicina la data di un nuovo raduno sono io che sollecito Claudio a prenotare, quasi che l'asmarina ansiosa di rivedere gli amici sono io e non lui. Ogni raduno è stato per me un'occasione per aumentare il mio bagaglio di notizie e di conoscenze che mi permettono di partecipare ai vostri discorsi con maggiore cognizione di causa.

F.: Il rapporto con il cibo com'è? Logicamente parliamo delle pietanze eritree, come lo zighini, lo scirò tanto per citarne qualcuno.
R.: I cibi che hai nominato mi piacciono tantissimo tanto che ho cercato, fin da subito, di imparare a cucinarli e ho avuto come insegnante l'indimenticabile e straordinaria Zafù.

F.: A questo punto prendo in prestito una domanda ricorrente di Gigi Marzullo: Rosanna, fatti una domanda e dacci la risposta.
R.: Franco, tu sei abituato a fare e non a rispondere alle domande: perciò, visto che me ne dai l'opportunità, ora sono io che chiedo a te che cosa hai pensato di me la prima volta che mi hai conosciuto e ti sarai chiesto, "Chi è questa "cecerona" tanto loquace che si permette di parlare di Asmara senza essere un'asmarina?"

F.: All'inizio l'ho pensato sicuramente, destando in me tanta curiosità; poi frequentandoti ho imparato conoscerti meglio e posso ben dire che sei la benvenuta tra noi.
R.: Se permetti, terminerei questa intervista ringraziando e abbracciando tutti voi "chichingioli" per come mi avete accolta e per l'affetto che dimostrate nei miei riguardi ogni volta che ci incontriamo e un ringraziamento speciale al grande Francesco De Leonardis che con tanto amore e pazienza si dedica all'organizzazione dei raduni permettendoci di trascorrere dei bei momenti e tenendoci uniti con questo giornale virtuale.

F.: Grazie Rosanna da tutti noi e penso a questo punto anche dal nostro Francesco. A proposito del viaggio ad Asmara insieme, ho iniziato a pensarci…

 
24/07/2011

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