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CACIAGLI

 
LA CASA DELL'IMBALSAMATORE
di Daniela Toti
* * * * * * * * *
I

Avevo un'amica, più grandicella, che stava in una graziosa casetta di legno vicino al palazzetto dove abitavo da bambina, sopra la lavanderia "Presto e Bene".
Il suo papà era tassidermista, ed aveva a quel tempo una fiorente attività ad imbalsamare ogni tipo di fauna di cui era ricchissimo il bassopiano eritreo. Facoceri, gazzelle, impala, dik-dik, serpenti, uccelli di ogni dimensione erano le possibili prede di cacciatori residenti, di americani della Kagnew Station e di qualche turista, in genere ospite di residenti. Molte case allora avevano questi trofei in bella mostra in salotto o in entrata. Oggi l'idea può disturbare, tanto è stata coinvolgente ed educativa la campagna anti-caccia sensibilizzandoci ad un rispetto maggiore per la natura che ha rischiato di patire ed ha patito l'estinzione di moltissime specie. Ma, mi duole dirlo, noi non avevamo ancora maturato questo tipo di sensibilità, per cui la cosa esercitava su di me più curiosità che turbamento.
Ho un'idea vaga della tecnica del tassidermista ma penso che l'imbalsamatore conservi i tessuti degli animali morti trattandoli con formalina e quindi strutturi e imbottisca la pelle dell'animale, per mantenere il più possibile l'aspetto che aveva da vivo. Ecco perché entrando in quella casa ti assaliva un odore molto acre dato dalla pelle degli animali, dalla vernice e dai conservanti che venivano usati.
Nel cortile dietro casa avevano delle enormi vasche nelle quali bollivano le ossa per ripulirle e sterilizzarle. Calderoni ribollenti di un mondo parallelo a quello di Harry Potter!
Dovevamo sempre passare rasente ai calderoni (in barba a tutte le norme di sicurezza odierne!), perché attraverso un buco della rete si potesse passare nel campetto vicino, dove ci piaceva scorrazzare, giocare oppure semplicemente arrampicarci su mucchi di sassi quasi si scalasse la più alta delle cime, con il risultato di ginocchia e scarpe scorticate da quei sassoni.
Nei magazzini dietro le vasche erano ammonticchiati i trucioli con cui le pelli degli animali venivano imbottite. Quell'ambiente diverso e singolare esercitava su di me una grande interesse: non ricordo di aver mai provato disagio né fastidio per quegli odori forti; mi affascinavano le collezioni di ambrati occhi di vetro, allineati per tono colore, grandezze e qualità sugli scaffali del laboratorio dove entrambi i genitori della mia amica lavoravano. La sua mamma usava lunghi aghi ricurvi con i quali ricuciva con maestria la pelle conciata e morbida che riempiva di trucioli, impaccandola con dei particolari arnesi di ferro. Le fauci spesso spalancate con i palati, ugole, gengive e lingue fedelmente ricostruiti, le zanne ripulite e lucide inserite perfettamente, i nasi e le labbra di stucco pitturato di nero che completavano l'espressione finale avevano un risultato così reale, a testimonianza dell'arte e della bravura dei due coniugi.
Una volta una iena era piazzata all'ingresso, in attesa di venire consegnata al cliente, immortalata in una posizione in movimento con un'espressione ghignante e terrificante. Passandole vicina l'accarezzai, non sapendo di essere osservata dal padrone di casa, il quale scoppiò in una fragorosa risata e disse alla moglie che queste bimbette d'Africa erano davvero sorprendenti, carezzavano una iena come fosse il cane di casa!
Già, bimbette e bimbetti che crescevamo lassù, sull'altopiano dove l'aria era tersa, i cieli erano stellati, gli alberi avevano il colore azzurro dei palissandri e le siepi il rosa-lilla delle buganvillee, dove la conoscenza di flora e fauna era spesso diretta e reale e… insomma, dove per loro la mastica era mastica e non "cingomma"!

Pubblicità tratta da "A Pocket Guide of Asmara"

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II

In casa dell'imbalsamatore si leggeva il Calandrino, rivista umoristica di quegli anni. Ohibò, era un tipo di lettura sicuramente spregiudicata e disinvolta e nel loro salotto io ogni tanto sfogliavo la rivista con i suoi disegni di signorine tutte curve generose, ammiccanti ometti pelati con panciotto e occhialetti sopra occhi strabuzzanti e concupiscenti. Letture proibite? Ma certo che sì ed io, che non avevo nemmeno 9 anni ma ero una ragazzina curiosa, sfogliavo.
La mia amica aveva una sorella maggiore che vestiva come Sandra Dee: vitino da vespa e gonne larghissime, tenute ampie dalle sottogonne. Che meraviglia le sottogonne inamidate e orlate da merletti che nell'onda del movimento rivelavano il pizzo candido. Una volta lei era fuori casa e sul suo letto, rigida in bella mostra, stava una sottogonna da sogno. Mi avvicinai timidamente, non osando neppure sfiorarla. Avrei dato chissà che per provarla ma non osavo. Figuriamoci! Se poi arrivava un grande, che figura ci avrei fatto semisepolta goffamente tra i pizzi della sottogonna?
La sorella maggiore era bravissima a disegnare e ci preparava le bambole-signorine di carta, in costume da bagno o in due pezzi, sulle quali poi potevamo appoggiare, ancorandole alle spalle e a volte anche in vita con le loro alette, dei bellissimi vestiti disegnati da lei: lunghi da sera con drappi e plissettature, da giorno con gonne ricche tenute gonfie da rigidi pizzi, tailleur di linea maschile sportivi oppure eleganti con colli importanti e grandi spille. E poi prendisole, pagliaccetti… abitini chemisier, cappottini a redingote. (La moda allora parlava per lo più francese: piquet, gabardine, georgette, taffetà, chiffon, crêpe de chine…)
Antesignane delle Barbie, la cui ideatrice 50 anni fa prese proprio dalle bamboline di carta l'idea di una bambola adulta, un giorno ci preparò due bamboline disegnandole su un sottile foglio di compensato di legno, colorandole con pittura ad olio. Una cosa davvero speciale, perché quelle bambole ebbero una lunghissima vita. Infatti il guaio delle sagome di carta era che ad un certo punto si piegava la testa o si staccava una mano oppure un piede e allora non si poteva più giocare con il capo ciondolante o con una bambolina monca di un arto. Si cercava di rinforzare con la carta-gommata, alle volte anche con un pezzetto di cerotto ma il risultato era temporaneo. Invece le nuove bamboline di legno erano perfette.
Tenevamo quei preziosi tesori tra le pagine di un libro. Il mio aveva delle illustrazioni dell'India misteriosa, con la dea Kalì dalle molte braccia, i cobra con gli occhiali, le tigri e gli elefanti, i malesi armati di kriss dalla lama a biscia. Fu la mia prima lettura, forse era Salgari?
Poco tempo dopo ci trasferimmo in Rhodesia e certamente le bambole con i loro corredi finirono tra le tante cose da buttare…
In verità con tanti spostamenti e tante case mi è sempre mancata una vecchia soffitta dove trovare dentro il classico polveroso baule il libro con le bambole di carta custodite tra le pagine, tra gli altri pezzi del passato sui quali ricamare chissà quante e quali cose di cui chiacchierare insieme al mondo Chichingiolo.
Proprio quel baule che ho subito identificato nella cassapanca cinquecentesca dell'ava Ildebranda, custode della storia di famiglia nella quale Oriana Fallaci pesca idealmente per il suo ultimo meraviglioso racconto…
Vabbè, lo so che il paragone è inadeguato, ma voleva solo essere un esempio, no?

 

3 Maggio 2009

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