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Le mani nel cassetto del Chichingiolo
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PERMETTE QUESTO BALLO?
PARTE PRIMA

Una frase, sono certa, che trova un'eco profonda in tutti noi. Chi, infatti, non l'ha rivolta o non se l'è sentita rivolgere?
Divertiamoci a fare un viaggio a ritroso nel tempo. Attestiamoci intorno agli anni '50, ma stringiamoci per far posto anche agli anni '40 da una parte ed ai primissimi dei '60 dall'altra.
"Permette questo ballo?"
Un invito molto formale, ma lo era ancora di più quello formulato nelle decadi antecedenti: " Permette questo ballo con sua figlia?". Una richiesta del genere, dal sapore quasi ottocentesco, che oggi provoca le risate divertite di figli e nipoti, era solitamente accompagnata dalla mano cortesemente tesa verso la fanciulla e da un inchino del capo più o meno accentuato, unito ad un sorriso accattivante rivolto al padre di lei. Quella del sorriso costituiva la variante più marcata. Se il cavaliere conosceva il padre della ragazza o, meglio ancora, se i genitori delle due parti si conoscevano, non c'erano problemi, il sorriso, contraccambiato, era aperto e cordiale e il ballo procedeva piacevolmente. Invece l'assenso era concesso malvolentieri e senza l'ombra di un sorriso, se il ragazzo era sconosciuto o meglio - e qui devo correggermi- siccome ci conoscevamo più o meno tutti, almeno di vista, più che essere sconosciuto il tipo non incontrava il gradimento paterno, per esempio perché aveva fama di scapestrato o, come si direbbe in gergo, di "sciupa-femmine", in tal caso il messaggio, senza parole, era ben chiaro: "Stai alla larga da mia figlia".
Più o meno verso la seconda metà degli anni '50 la formula si snellì e si passò al: "Permette questo ballo?", rivolto direttamente alla ragazza senza coinvolgimenti paterni.
Il ballerino peggiore era quello timido e nervoso. A parte le pestate ai piedi e la mano sudaticcia, il poverino era perennemente teso a rispettare le norme del galateo, cioè a mantenere una distanza riguardosa tra il suo torace e quello della damigella. Ora, se la fanciulla aveva un busto piuttosto piatto, la danza procedeva senza intoppi e forse anche senza eccessivi entusiasmi; se, al contrario, ne aveva uno procace e debordante, il giovanotto, comprensibilmente distratto da tanta grazia, con il pomo d'Adamo che andava su e giù rapidamente a riprova dell'intensità del suo sconvolgimento, incapace di spiccicare parola, incominciava ad inciampare, farfugliava scuse inintelligibili, continuando ad andare fuori tempo e martoriando gli alluci della povera damigella.
Non mancava il tipo che si atteggiava a viveur. Con il sorriso da rubacuori e l'aria scanzonata e un tantino arrogante, si reputava padrone della situazione; sicuro del suo fascino- di cui trovava conferma nelle occhiate ammirate del gentil sesso, concesse tra un languido battito di ciglia e l'altro, con lo sguardo d'aquila studiava la sua preda, senza fretta, aspettando il momento opportuno, magari la canzone adatta o la distrazione del di lei padre, per farsi avanti.
Totalmente agli antipodi era il giovanotto compassato, non timido, ma riservato che ballava rigido come un manichino, con il braccio attorno alla vita della ragazza e la mano posata castamente più in alto che in basso dove restava come incollata per tutta la durata del ballo. C'era anche chi preferiva appoggiare nella cavità della spina dorsale della gentil donzella, a metà schiena circa, le dita della mano ad eccezione del mignolo che, chissà perché, veniva tenuto vezzosamente sollevato.
Merita una menzione particolare l'ammirevole intraprendenza del giovanotto che ballando, anziché conformarsi al metodo tradizionale del braccio teso lateralmente a sorreggere quello della compagna, lo teneva piegato contro il bavero della giacca, con la mano di lei imprigionata nella propria: un gesto confidenziale, abbastanza intimo che poteva sottintendere l'inizio del corteggiamento.
Capitava anche il narcisista che si presentava, profumatissimo, senza mai un capello fuori posto e che sedendosi amava ammirare la punta delle sue scarpe lucidissime e la piega impeccabile dei pantaloni. Intriso di acqua di colonia, che lo avviluppava in una nuvoletta invisibile alla vista, ma non all'olfatto, terminato il giro di danze, lasciava addosso alla dama, a perenne ricordo, una dose consistente di quegli effluvi.
Quanto alla conversazione l'iniziativa partiva quasi sempre dal giovanotto. "Come ti chiami?" era la frase d'apertura al primo incontro, che serviva a rompere il ghiaccio, seguiva un "che classe fai?' e, se le pause non erano troppo lunghe, si approdava a "che canzoni ti piacciono?" A questo punto era più facile intavolare un discorso perché sulle canzoni preferite c'era sempre qualcosa da dire.
Teatro delle danze organizzate in casa era la stanza più grande, generalmente la sala da pranzo, oppure il salotto. Sedie, divani e poltrone venivano appoggiati contro le pareti ed occupati da nonne, madri, zie e comari. Padri, nonni e compari c'erano anche loro, ma spesso scomparivano per fumare in giardino o in terrazza e lì si attardavano a chiacchierare. Le signore, invece, no, quelle erano sempre onnipresenti e non si lasciavano scappare il benché minimo dettaglio. Ad esempio, un ragazzo ed una ragazza che persistevano a fare coppia fissa per più di due balli consecutivi diventavano l'oggetto di grande interesse: i colli delle comari si allungavano, le teste si avvicinavano e i sussurrii si intrecciavano fitti, fitti. I fidanzati "ufficiali" erano marcati stretti, non parliamo poi dei "filarini". Se si eccettuava il bacio furtivo scambiato in fretta, complice il corridoio in penombra, con lo strategico appostamento dell'amica del cuore che fungeva da palo (favore peraltro ricambiato alla prima occasione), la probabilità di poter avere una qualche, seppur fugace, parentesi di privacy era nulla, quindi si vanificava la speranza di poter passare dagli sguardi amorosi e dagli sporadici baci rubati a più tangibili amplessi. Dove andare? Le luci nella sala da ballo restavano rigorosamente accese; in giardino c'erano padri, zii, cugini a cui si aggiungevano bambini vocianti che si rincorrevano tra cespugli ed aiuole. Le camere? Per carità, chi mai avrebbe osato?! E poi, anche volendo rischiare il tutto per tutto, come fare con trenta paia d'occhi attentissimi che non perdevano un colpo? Nonne e prozie, giustificate dall'età vetusta, potevano anche permettersi di sonnecchiare di quando in quando, ma madri, zie e comari, giammai! La segreta parola d'ordine era: "All'erta!".
Allora, in che modo riuscivano i fidanzatini degli anni Cinquanta ad avere una briciola di privacy per scambiarsi quattro effusioni senza il codazzo di testimoni oculari? Il metodo o metodi dovevano pur esserci, visto e considerato l'alto numero di matrimoni celebrati in quegli anni, oppure - e qui mi sorge un forte dubbio- era forse quella del matrimonio l'unica scappatoia disponibile, concessa con la benedizione di tutti?
C'è qualcuno che vuole raccontarsi?

VUOI BALLARE?
PARTE SECONDA

Passiamo agli anni '60. Si respirava più libertà. Come gli anni '20, gli anni '60, soprattutto la seconda metà, sono stati come uno spartiacque, caratterizzati da sostanziali trasformazioni che hanno segnato anche le decadi successive. Erano gli anni della contestazione, degli hippie, dei figli dei fiori, anticonformisti, amanti dell'amore, libero dalle inibizioni e dalle imposizioni di una società giudicata ipocrita e retrograda. Ad Asmara l'impatto era naturalmente meno drastico con ripercussioni non così coinvolgenti, smussate com'erano dalla distanza.
"Vuoi ballare?"
Era l'invito semplice, scanzonato e diretto di quegli anni. Ci si scatenava dimenandosi ed ancheggiando al ritmo sincopato del twist, ma quando arrivava il lento, gli adulti, volendosi mostrare al passo coi tempi, chiudevano di buon grado un occhio, ed evitando di atteggiarsi a cerberi, spingevano la loro magnanimità fino al punto di appartarsi nella stanza adiacente, naturalmente lasciando la porta comunicante ben spalancata e così facendo regalavano un poco di libertà ai giovani. Senza indugi le coppie, approfittando di quella insperata opportunità, si esibivano, guancia a guancia, nel ballo della mattonella, dondolandosi languidamente al ritmo melodico della canzone di grido.
Se poi i padroni di casa si mostravano particolarmente tolleranti e soprassedevano sullo smorzamento temporaneo delle luci, allora i baci e le strette mozzafiato erano per forza di cose scontate. Ne erano la prova le pettinature scompigliate, i rossetti sbavati, l'aria imbarazzata o trasognata e le risatine nervose delle coppiette allorché le luci venivano inaspettatamente riaccese dal burlone di turno. Qualche volta, ma raramente, nel buio si sentiva lo schiocco di una sberla e "manolesta", ahilui, con una guancia in fiamme, batteva furtivamente in ritirata, in cerca di lidi più ospitali.
Riconosco che ricordando il passato si corre il rischio di idealizzarlo come se esso fosse stato avulso da preoccupazioni e problematiche, non era così e lo sappiamo. E' bello semplicemente ricordare che eravamo giovani come tanti, con aspettative, speranze ed esigenze come tanti, con altalenanti momenti di gioie e dolori, di esaltazioni e delusioni, proprio come i giovani dell'altro ieri, o quelli di oggi, di domani, di sempre.

Elvira Romano
Settembre 2007


BALLO GALEOTTO

Il costante evolversi della specie umana fin dai primordi a tutt'oggi, ha plasmato modelli di comportamento, apportando considerevoli migliorie che il più delle volte hanno consentito di assaporare la vita secondo canoni e sensazioni che hanno arricchito le nostre concezioni più intime, nonché le nostre manifestazioni estemporanee.
Fatta questa premessa, l'evolversi della musica, del canto e conseguentemente del ballo, possiamo affermare che sono stati elementi primari di grande impatto che hanno generato profonde trasformazioni sensoriali nella stragrande maggioranza del genere umano.
Ma veniamo a tempi più recenti e più precisamente agli anni tra il '50 e '70, anni peraltro che in quasi tutto il mondo hanno visto un significativo proliferare della musica leggera attraverso le incomparabili voci di notevoli cantanti. In Italia possiamo citare Rita Pavone, Gianni Morandi, Domenico Modugno, Bobby Solo, Mal, Little Tony, Celentano, Mina e via di seguito. In America, quelli che mi vengono a mente sono Paul Anka, Elvis Presley, Dean Martin e tantissimi altri che hanno riempito l'etere con le loro melodiose canzoni. A questi rappresentanti del bel canto, si possono sicuramente annoverare i tanti nomi di cantanti e musicisti latino-americani che attraverso un repertorio assai più ritmato hanno oltremodo coinvolto l'opinione pubblica.
Alle melodie e al suono si è inevitabilmente arrivati a seguire i ritmi, inventando nuovi tipi di ballo quali il rock and roll, lo shake, il cha-cha-cha, il twist, la samba, la rumba, il limbo, fermo restando che i mitici tango e valzer erano e restano immortali.
Il tipico tam-tam che esaltava doti di nuovi cantanti, canzonette e musiche si propagava giornalmente in ogni angolo del mondo, senza escludere la nostra piccola, ma vivacissima Asmara, dove giornali e dischi di ogni sorta venivano copiosamente venduti. Racconti di chi aveva la fortuna di viaggiare per poi esporre fatti salienti per aver partecipato a manifestazioni canore e balli vari, erano argomento parecchio dibattuto. Non di meno, la costante trasmissione di brani famosissimi dalla radio della base americana Kagnew Station incentivavano la curiosità e la voglia di ballare dei giovani.
Per ciò che attiene alle prime feste degli iniziati, dalla curiosità si passò quindi a voler emulare i balli casarecci che già in Italia erano diventati di moda. I primi approcci con questo tipo di divertimento casareccio della domenica pomeriggio, all'inizio non ebbe gran successo, dovuto al fatto che erano appunto tentativi di natura prettamente familiare e che, in prima battuta, coinvolgeva pochi giovanissimi ragazzi e ragazze più o meno della stessa età e le mal assortite festicciole venivano fatte in angusti saloncini dove oculatissimi genitori vegliavano sulle nostre poche e scadenti evoluzioni ballerine. Intorno al perimetro del saloncino, venivano disposte le sedie che si riusciva a recuperare anche dalle altre stanze. In un angolo veniva allestito un tavolo con tovaglia e tovaglioli, dove i partecipanti potevano appoggiare i vassoi con pasticcini e qualche sporadica bottiglia di Coca-Cola.
Le ragazze, normalmente, sedevano tutte in una zona del salone, mentre i ragazzi occupavano la parte opposta. Aleggiava un senso di vergogna e poteva sembrare immorale poter stare vicini. Se sul giradischi veniva suonato un buon ballabile, erano pochi quelli che azzardavano la richiesta di ballare. Credo poter ricordare che all'Asmara non esistesse una scuola di ballo, quindi ad ognuno restava la capacità di potersi esibire attraverso le sole proprie capacità autodidatte. Poteva succedere quindi che i maldestri rudimenti dei passi di danza potessero costituire un "pesante" pericolo per l'incolumità dei calli della ragazza o del ragazzo. Infine la brevissima festa si concludeva al tramonto dopo essersi addolciti la bocca con pasticcini e Coca-Cola, per poi tornare a casa con le "pive nel sacco", ma con il serio proposito che la prossima festa sarebbe stata più esuberante sotto tutti i punti di vista.
Volendo sorvolare tutti gli altri infausti o riusciti tentativi di feste caserecce, è da notare che inossidabili, impavidi patiti del ballo erano riusciti a trasformare locali prima adibiti ad altre manifestazioni, in veri e propri ritrovi da ballo così come il thè danzante al C.U.A. o quello del Circolo della Croce del Sud con l'aggiunta della tombola serale. Ovviamente le troppe restrizioni dei genitori venivano drasticamente ridotte potendo gli stessi partecipare alle danze. I tempi, di conseguenza erano più elastici e si poteva ballare fino a tarda sera. Certamente la comunità festaiola non era più rappresentata dai soli adolescenti e le scelte di fare un ballo galeotto "tête-à-tête", alcune volte capitava poter rendere partecipe un'avvenente giovane signora. Le personalità caratteriali e i propositi più o meno focosi dei giovani danzatori erano innumerevoli. I maschietti il più delle volte agghindati con abito scuro, si atteggiavano a novelli "casanova" con il fermo proposito di conquistare "la femme fatale" che vestita alla moda e con la sigaretta spenta in bocca, li guardava con sufficienza. Poi c'era il presunto cow-boy che vestito di blu-jeans, camicia dagli sgargianti colori, pesante cinturone in cuoio arricchito da vistose, luccicanti borchie, stivaletti a punta ed un cappello da mandriano del Texas, sentenziava che quella civettuola stuzzicante con la sua striminzita minigonna sarebbe stata sua sicura preda (propositi che poi solitamente non si realizzavano). Si aggiungeva il maldestro emulo di Rodolfo Valentino con la sua eterna sigaretta accesa che puntava deciso alla conquista dell'elegante intellettuale che fin dal primo ballo lo stordiva con i suoi discorsi accademici che esulavano completamente da quella che era la vera essenza del ballo in corso, anziché offrire un approccio più attinente all'atmosfera invitante. Il poveraccio, piuttosto che incappare in un'altra insospettabile intellettuale, preferiva rimanere seduto e osservando ballare gli altri più fortunati, si fumava l'intero pacchetto di sigarette.
Ben presto ai due locali summenzionati, se ne aggiunse un terzo che rimaneva piuttosto isolato, essendo un po' fuori mano ed esattamente a qualche km. dalla città, sulla rotabile Asmara - Massaua. Era il Bar Laghetto che vantava la presenza di una piccola orchestra ben assortita e dove si poteva gustare una buona pizza. Il locale soffusamente illuminato, rappresentava il rifugio ideale di ben affiatate coppiette, nonché incorreggibili predatori e predatrici che dopo qualche ballo, di soppiatto, risalivano il pendio del vicino "boschetto", dove si attardavano nelle indisturbate effusioni amorose.
Volendo divagare potrei aggiungere che il virus del ballo aveva colpito anche Decamerè, il Savoia, se non erro. La spiaggia di Gurgussum dove al limitare del bagnasciuga era stata allestita "una rotonda sul mare", ma che rimaneva quasi sempre deserta. Gli avventori erano tendenzialmente più propensi a fare un "ballo in mare", specialmente durante le notti di luna piena!
Pur essendo stato partecipe alle tante scenette menzionate, sono rimasto un affezionato al "Ballo del Mattone" e lo testimonia l'immagine che allego e che meriterebbe essere accompagnata dalla inequivocabile testimonianza di Lorenzo de' Medici:
"Quant'è bella giovinezza
che si fugge tuttavia;
chi vuol esser lieto sia,
di doman non v'è certezza".

Vincenzo Acquaviva


LE FESTE!

Ma ve la ricordate la tensione emotiva, l'eccitazione, l'emozione che l'aspettativa delle nostre festicciole avevano per noi allora?
Una volta ricevuto l'invito, c'era l'importante fase del permesso: "Posso andare?", superata la quale i passi successivi erano "Chi c'è? Chi viene?" e poi il "Cosa mi metto?". La preparazione e l'anticipazione erano altrettanto belle della partecipazione vera e propria.
Per me una fase abbastanza critica nei preparativi era anche il "Che scarpe mi metto?". A 15 anni ero già alta come ora ma la maggior parte dei miei coetanei dovevano ancora finire di crescere, per cui per il ballo la scarpa doveva essere assolutamente piatta, senza tacco. E la scarpa piatta non ha la stessa grazia della scarpa con tacchetto, che inoltre slancia e dona eleganza... e poi così piatta sembra anche terribilmente lunga... meno male che la moda e il clima dell'altopiano ci consentiva a qualsiasi stagione il sandalo con strass che poteva essere basso senza perdere in dignità e stile, quale fantastico compromesso tra classe ed esigenza!
Fra noi ragazze c'era una sorta di "cooperativa" del trucco. Non tutte infatti avevamo a disposizione tutti gli artifici necessari ma unendo le forze si riusciva ad avere una scelta davvero sorprendente di fondotinta, ombretti, ciprie e profumi. La fase pettinature mi vedeva spesso estrosa interprete. Armata di pettine, lacca e "invisibili" (mollette molto sottili) riuscivo a creare per le amiche quelle fantastiche acconciature cotonate e sollevate sulla nuca con trecce, ricci e boccoli... l'energico fissaggio avrebbe poi consentito di poterle sfoggiare per qualche giorno, se solo si aveva l'accortezza di "fasciare" la testa con carta sottile e foulards prima di andare a dormire.
Ma che belle che eravamo alla fine di tutti quei preparativi!
Splendide nei nostri teen con la smisurata gioia di vivere e di scoprire cosa ci fosse per noi dietro l'angolo.
Rosy cantava il brano "La prima festa che darò" cover del twist "It's My Party" di Lesley Gore…

"La prima festa che darò,
sarà magnifica vedrai,
tu mi ha promesso che verrai,
a casa mia ti aspetterò...
potrò ballare insieme a te,
e sotto gli occhi di Mammà,
potrò tenermi stretta a te,
e qualche bacio scapperà."

Organizzai la prima festa per i miei sedici anni!
E la musica era la "mitica" musica, Quella dei Beatles, dei Rolling Stones, dei Dik Dik. E al suono di "Black is Black", di "A Whiter Shade of Pale", e di "Nessun mi può giudicare" la festa si animava.
Non fu semplice chiedere a Papà il permesso di farla. Lo feci a tavola e fu buffissimo. Ero talmente tesa per la richiesta che volevo fare che quando fu il momento mi sbagliai e invece di chiedere se potevo dare io una festa chiesi se potevo andare a una festa… La situazione fu salvata proprio da lui, che, bonario, propose che avrei potuto darla io una festa. "Tu che ne pensi?" mi chiese. Io non pensavo: ridevo e piangevo, soffiavo il naso, e mi guardavo in giro incredula e felice.
E la festa fu un successo.
Furono dei successi anche le molte altre feste che organizzai. Una delle ultime, quella per il diploma, aveva come soggetto il Far West e gli invitati dovevano intervenire vestiti in tema. Fu divertentissimo preparare la casa per la festa. Mi aiutò molto Anna Maria, pomeriggi interi a pitturare il cartone che avrebbe poi trasformato il salotto in saloon. La porta del fu sostituita da due ante corte tipo saloon, all'entrata fu parcheggiata una tenda indiana, alle pareti appendemmo dei posters di attori e cantanti, ai quali avevamo aggiunto cicatrici, cappellacci da cow-boy oppure penne e trecce da pellerossa, con l'opportuna scritta WANTED DEAD OR ALIVE e relativa taglia. Anna Maria si fece prestare da Danilo delle selle che contribuirono all'identificazione West dell'arredamento. Il bar fu trasformato, con i cartoni dipinti, in un vero e proprio bancone e mettemmo una stella da sceriffo al petto di Mamma, incaricata alla distribuzione degli alcolici a sua discrezione. La partecipazione fu massiccia ed entusiasta. La casa sembrava davvero il set di un film di Sergio Leone, casting cow-boys, cow-girls, pellerossa, messicani, donnine da saloon...
Organizzai anche una delle prime feste di "rottura" con il convenzionale. Oggi sarebbe normalissimo, ma dare una festa "in jeans" a metà/fine anni 60 era davvero contro corrente. Jeans e scarpe da ginnastica, contrapposti ad una mise da mezza sera, panini e grandi recipienti con granatina, menta e orzata contrapposti a ricercati buffet di tartine e pizzette con coca cola, fanta e sprite, quello che allora era inconsueto, ma che anticipava la normalità di oggi. (Pioniera del casual? chi l'avrebbe mai pensato!).
Daniela Toti

IL BALLO

Sulla facciata del palazzo delle Esposizioni di Roma all'Eur, si legge: "Italiani, popolo di navigatori, di pensatori, ecc." ed io aggiungerei pure di ballerini. Il ballo, infatti, ci accompagna sin dai primi anni della nostra infanzia; le nostre mamme, si dilettavano vedere noi pargoli muoversi al ritmo delle note del 78 giri che uscivano dai grammofoni dell'epoca.
Poi quando il ballo non ci attirava in quanto gli interessi erano ben altri, allora ci veniva assegnato l'ingrato compito di segugi. Regolarmente depistati dalle amiche della sorella che ogni qualvolta ci fosse una festa da ballo "casalinga", escogitavano diavolerie più impensabili per tenerci lontano dalle effusioni dei fidanzatini.
A parte le feste da ballo classiche del CUA (i famosi The Danzanti della domenica pomeriggio), quelle del GSA, o dell'Undicesimo chilometro, era abitudine organizzare feste da ballo nelle case. Alle feste "ufficiali", gli strusci non erano ammessi tra "i primi amori " erano appannaggio solo e rigorosamente delle coppie di fatto e, non potevano essere molto "osè". Allora per dar seguito agli approcci scolastici, alle prime "cotte", alle sbirciatine durante le passeggiate lungo il corso o addirittura durante la S. Messa ecco, che arrivava l'aspettato invito alla festa a casa di Tizio o Caio o Sempronio.
I genitori consci che la feste fossero a case di amici, vigilate dalla mamma, mandavano le proprie figlie al ballo a condizione che venisse anche il fratellino. Il guastafeste.
Stessa sorte toccava a noi, quando ormai cresciuti e intenti a destreggiarsi con "il ballo della mattonella" il più gettonato, ecco apparire all'orizzonte la "spia". Allora le luci, prima basse ora si accendevano al massimo e dalle melodiche note di "Lisa dagli occhi blu" si passava rapidamente al twist di "guarda come dondolo, con le gambe a angolo". A questo punto ecco lo spirito di ballerino venir fuori e, tutti cercavano di mettersi in mostra e far vedere il proprio talento. Si passava poi al Boogie Woogie, e qui a far da padrone erano i professionisti, bisognava dare spazio alle loro piroette e volteggi.
Era la volta dell'Hully Gully, poi il Cha Cha Cha. Veniva fuori poi le scellerata idea del ballo della scopa. Ve lo ricordate? Bisognava passere la scopa al rivale, evitare di riprenderla e molto più non rimanere con la scopa tra le mani al termine della musica. A volte c'era la "gelida manina" che metteva fine alla musica quando la scopa era tra le tue mani. Inevitabilmente pagavi pegno e ti ripromettevi di render pan per focaccia.
Finalmente, passato il pericolo ecco di nuovo spegnersi le luci e lasciarsi "Cullare legati al granello di sabbia" del bravo e nostrano Nico Fidenco. Che oblio!!! Il sogno si spegneva quando improvvisamente le luci si accendevano. Tutti impacciati cercavamo di ricomporci e capire cosa fosse successo. Non era la mamma e neanche il fratellino di turno. La luce era stata accesa inavvertitamente. Che rabbia, avresti lapidato l'autore dell'infausto gesto. Bisognava soprassedere. Il tempo era ormai scaduto. Bisognava ringraziare e togliere il disturbo.
Ahimè, allora non c'erano i cellulari, quindi niente messaggini. Era bello sognare ad occhi aperti, addormentarsi e poi, il risveglio era ancora più emozionante. Da lì a poco, avresti rivisto il tuo "amore" tra i banchi di scuola... Galeotto fu il ballo... per molti di noi.
Franco Caparrotti

L'ABbiCciDì DELLE FESTE

Io, D., il mio debutto in società lo feci che avevo 15 anni. L'invito alla festa di compleanno di A., graziosissima e simpatica compagna di classe, mi aveva sorpreso e deliziato: il mio essere stato sempre goffo e timido con le ragazze non mi lasciava molte speranze e invece… Il sabato della festa arrivò, appuntamento per le 16,30. C'erano tutti, o quasi, i compagni di classe e qualche altra faccia conosciuta che erano poi o il filarino di questa o la filarina di quello.
Sulle feste, su come comportarsi, mi ero fatto raccontare un po' di cose da C. che di mondo ne conosceva più di me, o almeno così lasciava intendere. Ovvio che, tra noi maschi, il filo del discorso andava inevitabilmente a finire su come "puntare" una ragazza. Capii subito che non sarebbe stata una cosa facilissima ma non mi disarmai, incosciente com'ero, e mi presentai all'ora stabilita, regalino in mano (un libro, mi pare di ricordare…), vestito da far pena ma con tanta voglia di debuttare.
L'appartamento di A. era dalle parti della Cattedrale, giravi l'angolo, salivi due rampe strette di scale ed eri lì. La sala da pranzo era stata sgombrata del tavolo, messo in un angolo per i vari vassoi di panini e rinfreschi, le sedie allineate al muro, il giradischi di C. (una fonovaligia di altri tempi che avrei poi ereditato quando C. lasciò Asmara) su un tavolino, qualche disco già pronto per essere suonato e un'atmosfera che mi parve dapprima poco festaiola ma che poi si animò con l'arrivo degli ultimi invitati e, finalmente, dopo un lungo quanto inutile rumoriccio, si cominciò a ballare. D'altronde alle feste si andava soprattutto per ballare, il lento innanzitutto, e poi ci potevano pure stare "Sugar Sugar" degli Archies, "Proud Mary" dei Creedence, "Yellow River" di Christie, ma erano i Bee Gees, Tom Jones, Engelbert Humperdink che ci facevano stare all'erta.
E via col primo giro. Seduta in un angolo, da sola, c'era B. Poco più alta di me, capelli castani lunghi sulle spalle con una scriminatura in mezzo che andava tanto di moda allora, moderata minigonna ma scarpe a piattaforma di rigore, la ragazza era già la fidanzata di un giovanotto che però non era presente quel pomeriggio. Rispettando antiche regole della consuetudine meridionale, era stata "promessa" e il matrimonio si sarebbe celebrato non appena l'interessata avesse compiuto la maggiore età e con essa avesse anche conseguito il diploma di maturità. Gli unici che non ballavano nella stanza eravamo proprio noi due. Mi avvicinai e, dopo aver ripassato velocemente le teoretiche imbeccate di C., chiesi se voleva ballare.
B. mi guardò prima con occhio sorpreso e poi aggiunse con un fare che mi parve allora piuttosto spiccio e seccato: "Ma tu, sai ballare?"
Valeva la pena mentire e mentii: "Sì, so ballare".
"Allora va bene".
Era il momento del lento, il tempismo perfetto. Lei si alzò dalla sedia, io feci per avvicinarmi alla damigella ma lei mi bloccò subito piazzandomi le mani sulle spalle tenendo le braccia perfettamente rigide e tese. Era il segnale inequivocabile che tra noi due potevano esserci solo non meno di 70 centimetri e nemmeno un timido tentativo di avvicinamento. Non era il tocco magico che avevo pregustato per quel ballo ma mi adeguai: ero alle prime armi e dovevo dare l'impressione di saper ballare. Ci riuscii discretamente al punto che B., alla fine del disco, mi ringraziò e si rimise a sedere.
C., che aveva seguito le mie evoluzioni dall'angolo opposto della stanza avvinghiato alla sua bella, si avvicinò e mi chiese: "Com'è andata? Bello, vero?". Bello era sicuramente bello, tenere le mani sui fianchi di una ragazza, anche se da distanza siderale, non era cosa affatto malvagia. Se poi, per caso, sfioravi appena, seppur maldestramente, le fettucce di seta del reggiseno… Beh, sì, cominciavo a comprendere ed apprezzare tutto il fascino del ballo lento. Non era la distanza tra i corpi che contava, era il gioco di mano che mi avrebbe condotto in paradiso.
La padroncina di casa, al secondo lento, si avvicinò a me e senza alcun preambolo mi chiese di ballare. Evidentemente dovevo aver dato prova, ballando con B., di saperci fare perché mai mi sarei aspettato un invito così perentorio e per giunta dalla festeggiata. Ero pronto a ri-piazzare le mie mani sui fianchi della signorina quando questa si strinse a me, braccia intorno al collo, guancia sua contro guancia mia, due cuori appiccicati, e io mi ritrovai con due braccia penzoloni che non sapevano più cosa afferrare. Sul momento, tanta generosità mi gettò nel panico che tuttavia durò poco perché compresi al volo qual era la direzione da prendere e accolsi il suo giro-vita con slancio ed energia.
Alla fine si rifece sotto C. Stavolta non parlò, mi strizzò l'occhiolino e disse solo "Eh?!?!" con quel tono da gran viveur che lo avrebbe sempre contraddistinto. Sbirciai per un attimo B. che stava ancora seduta, sola, mani in grembo, nel suo angolo ad aspettare. Conclusi ingenerosamente che con lei, B., il paradiso poteva solo attendere.

Ringraziamo Roberto Di Marco per le copertine e i dischi di questa pagina

22 Ottobre 2007

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