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Le mani nel cassetto del Chichingiolo
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ALL'AVVOCATO ANGELO MAIORANI
 

Una mattina, all'inizio del nuovo anno scolastico, entrando nella nostra aula trovammo ad attenderci, in compagnia di un altro signore, il Professor Milani, allora preside del Istituto V. Bottego. Alcuni giorni prima il Preside ci aveva comunicato che il Consolato Italiano e la Sovrintendenza Scolastica avevano deciso di inserire la lingua araba nel nostro programma. La loro scelta era stata dettata del fatto che molti di noi, raggiunto il diploma, avrebbero trovato lavoro nei paesi della sponda orientale del Mar Rosso, quindi nella penisola arabica o in altri paesi del medio oriente, comunque in paesi di lingua araba.
Il nostro visitatore, di media statura, viso abbronzato, capelli brizzolati, portava un paio di occhiali da vista dalla forma tondeggiante, non comuni in quel periodo. L'abito di color antracite, un doppio petto leggermente teso sullo stomaco era accompagnato da una cravatta color rosso scuro. Nella mano sinistra stringeva una consunta cartella di cuoio marrone.
A prima vista mi sembrò leggermente impacciato e timido. Ascoltò le parole di presentazione di Milani, poi sorrise e lo ringraziò. Uscito il preside, il nostro nuovo professore ci invitò a sedere e per buoni cinque minuti ci studiò attentamente, uno per uno, forse per memorizzare i nostri visi. Solo allora potei veder bene i suoi occhi decisi e penetranti. Poi, aperto il registro di classe, fece l'appello facendoci andare uno alla volta alla cattedra e, ancora una volta, ad ognuno di noi dedicò altri 10 - 15 secondi di intenso studio, quasi volesse immediatamente entrare in noi per capire chi fossimo.
Iniziò parlando delle origini del principale idioma del gruppo delle lingue semitiche, la lingua araba. Ci descrisse le popolazioni arabe del periodo preislamico e le divisioni in: gruppo settentrionale delle tribù ismailite e gruppo meridionale della tribù qahtanide le quali parlavano rispettivamente, la lingua araba settentrionale e la lingua sud-arabica, più erudita di quella settentrionale e più vicina alla lingua d'Etiopia.
La zona Sud-Occidentale della penisola arabica aveva visto già grandi civiltà coi i regni dei Minei, dei Sabei e degli Himyariti. Comunque sia, l'Arabia del periodo preislamico era una accozzaglia di tribù bellicose ed ignoranti che vagavano tra le aride steppe, razziando e in costante lotta l'una contro l'altra. Le accomunava soltanto la qasida, ossia quel canto istintivo, spontaneo usato per decantare la vita, la natura selvaggia del paesaggio desertico, la bellezza e le virtù della donna, ma, anche, importante mezzo di comunicazione tra le genti. La qasida, da dialetto usato dai beduini del Negd, Muhammed la trasforma, la modella, e dal rozzo idioma ne esce uno strumento meraviglioso di filosofia, di scienza, di grande letteratura e mezzo assai completo di teologia. La nuova lingua Muhammed la utilizza per la compilazione del testo sacro, e ne fa la lingua ufficiale della nuova religione.
La classe, che normalmente era indaffarata in tutt'altre faccende, eccezione fatta per i soliti pochi, aveva seguito l'interessante premessa presentataci dal nostro nuovo insegnante. Il suo modo calmo di parlare, di esporre le cose, ci aveva letteralmente affascinati. Proseguì dicendoci che comunque il suo corso aveva il solo e fermo intento di portaci in breve tempo a dialogare con persone di lingua araba, e a permetterci di scrivere in modo comprensibile semplici comunicazioni di lavoro e brevi lettere. Non ci nascose le difficoltà che avremmo incontrato durante il suo corso, in particolare nella pronuncia di alcune lettere delle 28 che compongono l'alfabeto arabo. Ci fece alcuni esempi di suoni laringei e aspirati cosi difficili per noi italiani. Avrebbe basato il nostro studio sulla lingua parlata con particolare riferimento alla zona del Mar Rosso, consapevole che stava, in parte, rivoluzionando i metodi di studio abitualmente usati, visto che ci avrebbe fatto scrivere la lingua parlata. Cosi facendo voleva evitarci i disagi e lo sconforto di tutti gli studenti che si erano avvicinati allo studio della lingua regolare scritta e, poi, non essere in grado di scambiare due parole di dialogo.
Ci raccontò di quando, dopo aver frequentato con onore i corsi di lingua araba presso l' Istituto Orientale di Napoli, e, proposto dallo stesso Istituto quale insegnante, venne inviato a Bengasi, si accorse, con grande disappunto, che non era in grado di capire quello che gli veniva detto. La lingua araba ha una sua peculiare caratteristica; infatti, nessun arabo scrive come parla e parla come scrive.
Forte delle sue tante esperienze aveva preparato un libro: "Corso Pratico Elementare di Lingua Araba Parlata", stampato da il Poligrafico S.A. di Asmara. Ci mostrò la sua copia e ci disse, quasi scusandosi, che aveva fatto del suo meglio per mantenere basso il prezzo di vendita del suo testo e che non avrebbe voluto far spendere dei denari alle nostre famiglie. Il nostro professore portò spesso in classe amici suoi musulmani per farci sentire ed abituarci alla corretta pronuncia di quei suoni tanto differenti da quelli della nostra lingua.
Con il completamento del primo anno del corso di lingua araba parlata fummo in grado di scambiare semplici frasi con interlocutori di madre lingua e ricorderò sempre il piacere che provai entrando in un negozio di Godaif tenuto da un yemenita. Gli chiesi il prezzo dei datteri esposti alla vendita e contenuti in un sacco di juta, ottenuta la risposta in arabo, ne acquistai per un carro armato (25 cent.), pagai, ringraziai ed usci dal negozio impettito come un corazziere. Gli sforzi fatti dal nostro professore-avvocato davano i suoi frutti!
Alcuni di noi ebbero anche la fortuna di frequentare il nostro prof. d'arabo anche al di fuori della scuola. L'uomo era un provetto pilota motociclista e possedeva la più bella motocicletta di Asmara, una Norton Dominator bicilindrica dal rombo possente. Io potevo contrapporre una modesta Benelli 250 del 1939, altri compagni invece avevano mezzi più moderni. Comunque il fatto non ci impedì di fare delle belle gite sul percorso Asmara-Nefasit-Decamere-Asmara. Due volte fummo anche invitati a trascorrere qualche giorno nella sua concessione agricola nella valle del Tabò, nella zona di Ghinda, dove, solo qualche anno più tardi la mano vile di un bandito della banda di Uoldegrabriel Mosasghì lo uccise gettandogli addosso una bomba a mano, ben sapendo che, se lo avessero affrontato lealmente, a viso a aperto, da veri uomini, li avrebbe fatti scappare come dei conigli.
Più di una volta mi sono riproposto di scrivere alcune righe sull' avv. Angelo Maiorani, persona che ho stimato moltissimo e della quale serbo un caro ricordo. Poi, però ho sempre abbandonato l'idea perché timoroso di non essere capace di mettere in piena luce l'italianità, la signorilità e l'umanità che lo contraddistinguevano.
Non mi è stato facile parlare di un uomo mite, tollerante e a volte timido ma forte e coraggioso che partecipò all'ultima carica a cavallo della storia coloniale quando, durante la difesa di Keru contro il 144.mo Field Regiment, le bombe a mano e le sciabole italiane si opposero eroicamente alle mitragliatrici Bren dei soldati britannici e dei loro sinistri mercenari.
Dopo il diploma, la vita mi ha portato a calcare le sabbie di molti paesi arabi dell'Africa e del medio oriente. Dalla Libia all'Oman, dallo Yemen all'Iraq e al Libano ed ogni volta che ho iniziato un nuovo cantiere, il primo mio pensiero è andato a quel bravissimo insegnante di lingua araba che mi aveva guidato e prendendomi per mano mi aveva fatto salire i primi gradini verso la conoscenza di una delle più belle, precise e complete lingue del mondo.
Ancora adesso, con i pochi capelli bianchi che mi sono rimasti, quando uso la mia Ducati, la prima accelerata di motore è per il Soldato del Gruppo Bande Amara a cavallo che tanto amava le motociclette e, caro Angelo, mi scuserai se ora, un tuo ex alunno ti chiama per nome e ti vuole salutare dicendoti: Riposa in pace nel paradiso degli Eroi, tu che avevi nel petto il cuore di un leone.
Emilio

 
 

MAIORANI Angelo, professionista, agricoltore, n. Guardia Sanframondi (Benevento) 10-IX-1902; D. presso l'Ist. Orientale di Napoli (1922). L. giur. (Univ. Napoli, 1925). Con. Marcella Vannini, f.: Giuliana. Già insegnante di arabo nelle Scuole Medie della Cirenaica (1922-27); in serv. amministrat. in Libia e traduttore presso il Min. delle Colonie (1927-30); trasferito in Er. nel 1930, vi prestò servizio quale funzionario direttivo con vari incarichi, fra cui vice commiss. di Agordat (1933-34), residente di Tessenei (1934-35), capo dell'Uff. Politico del Settore del Setit (1935), reggente la direz. degli Affari Economici del Gov. dell'Er. (1936-37). Dal 1937 svolse attività di avvocato in Asmara. Concessionario agric. in Valle del Tabò (Damais), ha sviluppato le preesistenti piantag. fruttifere iniziate da A. Cavanna e successori, concessione ripetute volte assalita e danneggiata da bande di scifta nel periodo 1948-51. Relatore economico e consigliere legale del Consolato Americano in Asmara, dal giu. 1950. Presid. del Moto Club Eritreo (1948-49). Cultore di studi sulla lingua e dialetti arabi, ha in corso di pubblicaz. alcuni studi di lingua araba e diritto islamico, ed in preparaz. un corso di lingua araba volgare. Ha visitato l'Egitto (1933, 1937) e lo Iemen (1932). Comm. dell'Ord. della Cor. d'It.; cav. dell'Ord. Colon. della Stella d'It.; camp. 1935-36, 1940-45, med. di br. v.m., cr. di gu. al merito, med. per servizio in Libia ed Africa. lnd.: Via Sapeto 13, Asmara.
(Da: Giuseppe Puglisi, CHI E'? dell'Eritrea 1952 Dizionario Biografico (con una cronologia) - Agenzia Regina Asmara, pag. 190)

 
24 Marzo 2006

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