Appassionato di problemi economici e, in modo particolare, di tutti i
problemi inerenti lo sviluppo dell'agricoltura, Papà (Luigi Toti)
ricoprì per diversi anni la carica di direttore generale della
Elaberet Estate Share Company, al nostro rientro dall'esperienza agricola
rhodesiana.
I problemi dell'agricoltura moderna non riguardano la vendita dei prodotti
ma bensì la produzione degli stessi. L'Etiopia é uno dei
paesi più indicati per colmare almeno in parte le necessità
di oltre 400 milioni di europei che chiedono verdure fresche e banane
nei mesi invernali ed agrumi e banane nei mesi estivi.
Così recitava il titolo dell'articolo scritto da Papà per
"Sestante", documentario semestrale illustrato della vita politica
economica sociale dell'Etiopia, giugno 1966. E continuava:
[...] Poiché noi uomini d'oggi abbiamo il dovere di preparare
pei nostri figli un migliore avvenire del nostro, un avvenire pacifico,
prospero, sereno, dobbiamo lavorare alacremente. Presupponendo di avere
i capitali necessari per attuare questo entusiasmante programma, sorgono
due domande. Sapendo che esiste una disponibilità di terre, possiamo
coltivarle o sarebbe necessaria una riforma agraria?
Sapendo che possiamo disporre di notevoli precipitazioni atmosferiche,
possiamo contare su queste o sarebbe necessario porre al bando l'accetta
ed estinguere le capre: primi nemici del povero patrimonio boschivo che
solo ancora per qualche anno debolmente differenzia l'Eritrea dalla Dancalia?
La prima domanda pone in rilievo gli ostacoli che un qualsiasi
operatore economico privato ha nell'affrontare la costruzione di dighe
e nello sfruttamento razionale dei terreni a valle.
La seconda domanda, facendo eccezione per quelle imprese agricole serie
e qualificate che sono costrette ad eseguire massicci disboscamenti per
creare fertilissime e redditizie piantagioni intensive la cui flora non
ostacola ma incrementa il fenomeno pluviale, vuole accentuare l'accorato
inutile allarme lanciato qualche decennio fa da un illustre conoscitore
di questi problemi.
Anche gli sparuti cespugli stanno scomparendo dal devastato altipiano
eritreo un tempo coperto di un ricco manto verde di alberi ad alto fusto
ed oggi miseramente brullo e completamente eroso.
Una sola generazione non sarà sufficiente forse per risanare il
male inconsciamente provocato, per rimediare c'é ancora tempo,
brevissimo ma sufficiente. I presagi ci sono: già noi vediamo un
lento operoso esodo delle popolazioni valide che dall'altopiano si riversano
senza accette e senza capre nel fertile bassopiano. Tutto sarà
dissodato, bonificato con un duro, incessante lavoro il cui utile sarà
diviso in parti uguali: una per il sostentamento delle popolazioni stesse,
l'altra per il rimboschimento e la conservazione di queste alte terre,
che, nuovamente coperte di verde, ricompenseranno i generosi figli a valle
con piogge regolari ed abbondanti.
Oh, Papà, ben altri tristi disegni aveva riservato il fato a quella
terra così amata, e a noi, suoi figli aveva riservato altre sponde:
" ... né più mai toccherò le sacre sponde
ove il mio corpo fanciulletto giacque
".
***
ERA IL "GIARDINO"
L'ingresso
Noi abitavamo
in una comoda villetta nel settore caseario. In altre parole tra le stalle,
vicino al caseificio.
A parte l'odore proveniente dalle stalle, al quale tuttavia ci si abituava
nel giro di qualche giorno, avevo con quella nostra seconda casa un bellissimo
rapporto. La collego alla famiglia riunita, ritrovata, alla presenza di
Papà; alla vacanza; a tutti quei bellissimi libri letti ora in
veranda ora sull'altissimo letto di ferro che mi era stato assegnato;
ad Ameté che si era trasferita lì con Papà per accudirlo
maternamente quando era solo e noi eravamo ad Asmara; alle serate quando
non si andava come di consueto su al "piazzale" ma si giocava
con Papà a Monopoli; alle casse di mango che lo zio Alessio ci
portava su da Cheren.
Tutti i settori erano recintati, e quello dove vivevamo noi comprendeva
il Caseificio, appunto, dove erano preparati ottimi formaggi e veniva
imbottigliato il latte pastorizzato e omogeneizzato, quindi la casa del
casaro, tre edifici di stalle, la nostra casa, altre stalle e, ultima,
la porcilaia.
Dietro vi era il mulino per la preparazione del mangime, la stalla dei
tori da monta, quella dei vitellini per la vendita, quella delle vitelle
da crescere per la produzione del latte, quindi le abitazioni del personale
specializzato, locale, addetto alle stalle ed al caseificio. Di fronte
vi era un agrumeto. In alto sulla sinistra si andava verso le dighe in
muratura, preziosa riserva idrica dalla quale si ricavava l'energia elettrica
per l'azienda. Avevano importato dall'Italia delle carpe, che avevano
trovato un habitat molto favorevole in quei bacini. Infatti crescevano
numerose e saporite. Le pescavamo usando per esca una speciale pastella
di uno strano composto a base di mais e formaggio grana, inventato dal
casaro, che però funzionava davvero. Sulla destra invece, tra agrumeti
ben recintati e divisi da ordinate strade asfaltate, si accedeva al cuore
dell'azienda, dove, a destra di un viale di magnifici flamboiant,
c'erano gli uffici, la falegnameria per la fabbricazione delle cassette
per la frutta, il centro di imballaggio, ed il conservificio, dove si
preparavano ed inscatolavano pomodori pelati e salse di pomodoro per il
mercato locale ed esportazione. Alla sinistra del viale vi era la chiesa
e l'abitazione della famiglia De Nadai, poi le tre villette dei capi azienda,
quindi il "piazzale". Questo era l'ombroso spiazzo di fronte
alla vecchia, ma perfettamente conservata e carica di fascino per il suo
stile coloniale, abitazione dell'originario proprietario dell'azienda,
Casciani, vicino agli alloggi per gli scapoli ed alla mensa aziendale.
Il "piazzale" era per noi ragazzi il luogo d'incontro per trascorrere
quelle lunghe meravigliose giornate di vacanza, oppure le calde serate,
mentre i genitori erano riuniti nella sala mensa (che fungeva da circolo-dopolavoro)
a giocare a briscola, scala quaranta o ramino, oppure - tutti insieme
- a tombola.
A valle c'era la zona Cenduk, dove era l'officina per la manutenzione
del macchinario e la vecchia, odorosa fabbrica di corda ricavata dall'agave.
A valle vi erano anche le coltivazioni di peperoni e pomodori, gli uni
per l'esportazione in Europa e gli altri per la lavorazione al conservificio.
Stagionalmente vi erano anche le distese di erba medica, o Alpha-alpha,
per l'alimentazione del bestiame.
Poco distante
da casa De Nadai, c'era il famoso baobab dove i ragazzi avevano costruito
una "casa" che, scalata, assumeva di volta in volta la funzione
di nave pirata, aereo di guerra, fortino, casa ... non essendoci limite
alla fantasia dei nostri giochi.
Ma anche ogni pianta di mango era una valida possibilità di scalata.
Noi eravamo perennemente arrampicati, quasi noi stessi fossimo i freschi
e meravigliosi frutti di tutti gli alberi da frutto dell'azienda. Bastava
fossero grandi, frondosi e alti ed erano nostri. Ricordo un filare di
Zaituni (Guava) che, avendo i rami lisci e robusti, usavamo per "appenderci"
con le gambe, lasciandoci andare a testa in giù. Erano gare di
resistenza, nelle quali noi ragazze nulla avevamo da invidiare ai maschiacci,
tanto eravamo in perfetto clima di "pari opportunità".
I nomi dei "fissi": Francesco, Danilo, Pina & Anna De Nadai,
Pietro e Laura Casciani, Daniela, Antonella & Marisa Toti, Angelo
e Pina Chirizzi, Sonia e Giancarlo Ertola. A periodi, c'erano i nostri
amici compagni di scuola "visitors da Asmara" tra i quali Danila
Boattini, Ionne Bristot, i Di Giulio, (e chissá quanti altri).
Poi c'erano I vicini/confinanti di concessione: Ninfa, Pia Giulietta &
Roberto, Pasquale, Luciano, Marcello Acquisto & la sorella di cui
ora mi sfugge il nome. Eravamo anche uguali a vedersi: in calzoncini e
maglietta e capelli corti, (ogni mese il più sportivo dei barbieri
ed il barbiere degli sportivi, come simpaticamente si definiva Domenico
Lobbia, veniva a "potare", indistintamente chiome di uomini
e donne, grandi e piccini).
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La Chiesa
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Gli agrumeti
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Il conservificio
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Le case, il caseificio,
le stalle
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La grande diga
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Alle sei di
sera suonava il Vespro. Allora, ovunque fossimo, si correva tutti in Chiesa.
Dato che non era rispettoso che noi bambine si andasse in Chiesa in calzoncini
(monelle sì, ma pur sempre al femminile), le mamme avevano preparato
una gran varietà di gonnelline arricciate in vita da un elastico
che con molta praticità si potevano infilare sopra gli shorts,
consentendoci rapidamente una decorosissima entrata in Chiesa per il Santo
Rosario. Ci fu anche il periodo del ricamo-a-tutti-i-costi. Non so a chi
venne in mente (probabilmente alla Signora Linda) l'idea che fosse senz'altro
più consono alle ragazzine un pomeriggio di ricamo che non la scalata
sul baobab o sulle piante di mango, fatto é che per "almeno"
un paio d'ore tutti i giorni dovevamo ricamare. Ma le cose fatte insieme
non pesano più di tanto per cui, all'ombra dei berceau ho imparato
il chiacchierino (me lo insegnò la signora Gradisca), l'orlo a
giorno, i punti quadro, erba e pieno. Un inutile tentativo all'uncinetto
mi invise il genere, mentre la maglia mi dava più soddisfazione.
Papà
ci portava spesso con lui nei suoi giri di perlustrazione per l'azienda,
a bordo della sua Land Rover. Se c'era stata pioggia durante la notte,
allora si faceva attenzione ai termitai che, numerosi, svettavano nella
valle, perché proprio vicino ai termitai spesso si trovavano dei
funghi profumati e, secondo una teoria di Papà, sicuramente commestibili.
La teoria non fu mai sfatata e sono qui a raccontarvela. Il motivo principale
però dei giri di controllo di Papà era l'acqua, questo prezioso
elemento di vita, che veniva convogliata dal monte Giaogiao, o Dente del
Diavolo, alle dighe in terra per mezzo di una canaletta lunga una dozzina
di chilometri.
Una volta andai con Papà fin su al Giaogiao a piedi. Papà
si disse certo delle mie capacità di scalatrice dandomi così
il 'la' per confrontarmi con l'impresa, che, devo dire, riuscì:
il mio primo trekking, ma allora non sapevo nemmeno l'esistenza di questa
parola!
Il periodo delle piogge coincideva con quello delle vacanze, per cui Elaberet
era sempre verdissima, il fieno cresceva alto e sbocciavano spontanee
le Gloriose Abissiniche. La fine del periodo delle piogge veniva
annunciato dai gialli fiori del Maskal, e tutti gli uccelli cambiavano
il piumaggio, diventando coloratissimi. Bengalini dal petto azzurro e
rosso, Vedovelle con la coda lunga dai metallici riflessi blu, Tessitori
rossi o gialli e neri che fabbricano nidi elaborati
Elaberet era
davvero il "Giardino".
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