Chi
ha vissuto nel continente nero facendo il soldato o l'agricoltore
o il camionista ha provato il
MAL D'AFRICA
una
nostalgia inguaribile per un mondo fatto di purezza e semplicità
Si
è scritto spesso che il mal d'Africa consiste soprattutto
in una specie di nostalgia da parte dell'uomo bianco, anche se
plebeo, fallito o morto di fame, per una terra in cui era vissuto
come un imperatore, circondato da servi. Evidentemente, chi ha
dato questo giudizio ha conosciuto in Africa solo affaristi o
razzisti superbi. Il mal d'Africa lo ha provato anche il soldatino
inviatovi controvoglia; lo ha provato chi ha lavorato sodo come
manovale per vent'anni; chi ha fatto l'impiegato doganale o il
postino; chi ha seminato grano e chi ha piantato cotone; chi ha
perforato la sabbia in cerca di petrolio; chi ha costruito strade
lavorando a fianco degli indigeni; chi ha volato come pilota o
come steward sul Continente Nero.
Ebbene, il mal d'Africa è per noi una condizione psicologica,
che ha le sue origini nella stessa natura umana, la quale instancabilmente,
lungo il corso della vita, corre dietro ai ricordi più
antichi. Il viaggiatore, il soldato, il piantatore, il marinaio,
il manovale, hanno trovato in Africa, inconsapevolmente, un ricordo
del passato più lontano dell'umanità; qualcosa che
i nostri antenati avevano e di cui ora noi abbiamo perduto conoscenza.
L'Africa è l'immagine della terra primordiale, della Madre
primeva che generò gli uomini nei miti di tutte le genti;
è il solo continente apparentemente ancora senza tempo
e senza confini.
Ogni anno, per una città che s'arricchisce di cinema e
di luci al neon c'è una piantagione che viene mangiata
dalla foresta, un fiume che cambia corso, una tribù che
si rinselvatichisce. Ma ci sono anche lagune tranquille, paludi
senza fine, altipiani azzurri, montagne di porpora, donne che
sembrano create in quell'istante, vegetazione che esplode in una
notte, erba che ingiallisce in un mattino, animali che obbediscono
alle antiche leggi naturali.
Tutte le migrazioni di uccelli che noi europei vediamo passare
nei nostri cieli vanno e vengono dall' Africa, tutte le nostre
civiltà hanno origine dal mare che bagna l'Africa, le nostre
stagioni mediterranee hanno un peso nella fornace del più
grande deserto del mondo. Gli americani, e così gli asiatici,
non subiscono il mal d'Africa: sono appena poche decine gli "insabbiati"
in qualche remoto villaggio. Ma gli europei sono ancora a migliaia,
angariati, odiati, combattuti, però restano, o ritornano.
Molti hanno detto: "Non sono un missionario, né un
esploratore, né un turista, voglio solo ritornare in Africa".
Gli americani hanno il West, le sue montagne e i suoi deserti,
gli orientali hanno anch'essi i loro deserti e le montagne più
alte del mondo; noi abbiamo l'Africa. Il deserto è stato
per generazioni di inglesi un richiamo conturbante al di fuori
dei loro interessi strategici; gli italiani hanno risalito il
Nilo per cent'anni, ma non hanno tentato di impadronirsene; i
francesi hanno viaggiato in Abissinia e nel Niger, ma non vi hanno
condotto spedizioni militari. Dov'è allora la volontà
di potenza? Questa si esercita per altre ragioni, o militari o
economiche o demografiche.
Disse una volta Jomo Kenyatta, presidente del Kenya, che un uomo
senza madre è come se ruotasse in orbita attorno a qualcosa
a cui disperatamente cerca di aggrapparsi: un uomo rimasto solo
cerca sempre un appiglio verso il più tenero ricordo della
sua giovinezza. Ebbene, quando un uomo civilizzato giunge in Africa,
sente di aver trovato un antico appiglio, qualcosa che cercava
da tempo, non la libertà più assoluta di fare o
strafare, dando ordini e facendosi servire (quello non genera
mal d'Africa, quando lo si perde, ma solo rabbia impotente), ma
avvincendosi in un legame, in un vincolo difficile da sciogliersi,
in cui il suo spirito ritorna ai ricordi primordiali: il legame
Terra-Uomo, il legame Uomo-Animali, il legame Cielo-Uomo, che
non sono più gli artificiosi legami con la Civiltà
moderna, il Lavoro, il Dovere, il Rispetto Umano, ma un vincolo
che libera l'anima in un mondo di assoluta purezza.
Si può guardare negli occhi un africano e capire il perché
del suo attaccamento alla fede degli antenati, alla verità
dei fatti naturali, alla concordia delle specie nell'ordine dei
rapporti dettati dai millenni.
Chiunque si avvicinerà all'Africa senza desideri di potenza
subirà il mal d'Africa, chiunque vi stabilirà una
legge dura e personale vi troverà un'amara sconfitta.