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COME
FU CHE DA ASMARA SI ANDÒ IN QUEL DI ADDIS
di Daniela Toti
Papà
aveva brillantemente realizzato un progetto agricolo di grande
dimensione, che potesse avere abbondante disponibilità
dell'elemento principe per l'agricoltura: l'acqua. Ottenuta dall'Awash
Valley Authority la concessione governativa di 5.800 ettari di
terra meravigliosamente benedetta dal fiume Awash, nacque la Melkasadi
Agricultural Estate Share Company, la MAESCO.
Venne quindi il tempo che anche la famiglia si trasferisse in
Etiopia. Lasciare Asmara, i parenti, gli amici di sempre
fu proprio amaro.
L'aereo per Addis decollava sempre al mattino prestissimo; si
partiva da casa prima dell'alba per raggiungere l'aeroporto alla
prima luce che compare tra la fine della notte e l'aurora. Con
gli occhi rossi e il cuore gonfio salutammo dall'alto la nostra
Asmara al suo risveglio.
Addis Abeba è una bella città. Poco più alta
di Asmara, ha un clima mite e costante anche grazie alle sue sorgenti
termali. Più verde di Asmara, perché più
ricca di acqua, ha una abbondante vegetazione che le conferisce
l'aspetto di un giardino. Ha quei tipici contrasti delle metropoli
del terzo mondo, dove palazzi moderni sorgono accanto a capanne
di fango con il tetto di lamiera, dove strade asfaltate si intersecano
con vicoli terrosi, o melmosi a seconda della stagione.
La conoscevamo per esserci già andate qualche volta in
vacanza ed io più recentemente per lavoro.
Mi inserii facilmente in questa città così cosmopolita
e mi ci sentii subito molto bene. Preludeva lunghi tempi felici.
Furono felici ma purtroppo molto brevi.
La prima uscita che facemmo fu per andare a visitare Melkasadi.
Era proprio Agosto come oggi, ma del 1972. Essendo però
in una fase iniziale e quindi pressoché un enorme cantiere
edile dove si stavano costruendo canali di irrigazione, centri
di raccolta, abitazioni, uffici, officine e la Guest/Rest House,
pernottammo al Kereyou Lodge, nell'Awash National Park. Si trattava
di un campo arroccato su una scarpata lungo la gola in cui scorre
il fiume Awash. Gli ospiti potevano dormire in un accampamento
di roulotte.
Appena più in basso un punto di ristoro per i pasti. Dopo
cena un falò al centro delle roulotte per una chiacchierata
prima di ritirarsi per la notte. Tra i massi sistemati attorno
al fuoco sui quali sedevamo, uno sventurato scorpione, disturbato
dalla nostra presenza, zampettava irritato con la coda ritta.
Un addetto al campo lo catturò e lo mise in centro, circondandolo
con un anello di fuoco per non farlo scappare. Assistemmo ad una
terribile danza disperata che si esaurì con la morte dello
scorpione che forse si colpì la testa con il pungiglione
non vedendo via di fuga. Indimenticabile.
Il mattino presto assistemmo all'abbeverarsi di gazzelle, orici,
dik-dik e facoceri. Ci dissero che anche il kudu maggiore veniva
ad abbeverarsi lì, ma non quella mattina. Avrei avuto modo
di ammirarlo, nel suo nobile incedere, durante una delle visite
successive proprio lungo il fiume a Melkasadi. Meraviglioso.
L'Awash National Park era anche molto frequentato da birdwatchers
per le numerose specie di uccelli ospitati nel parco. A beneficio
di qualche appassionato, leggo che possono trovarsi il bucorvo,
il becco-a-scimitarra e la ghiandaia marina d'Abissinia, le otarde
crestacamoscio, kori e d'Arabia, il nibbio bianco, lo spettacolare
gruccione carminio, il pappagallo panciarossa, il fiscal di Somalia
noi riuscimmo a vedere solo qualche otarda prima di lasciare il
campo per dirigerci verso Melkasadi, quella immensa terra che
per la prima volta conosceva il rumore ed il vigore delle pale
che disboscavano, spianavano e livellavano e la compresenza del
cemento usato nelle canalette che, ramificandosi, delineavano
i lotti dei futuri bananeti.
Vicino alla stazione di pompaggio, dove sarebbero state istallate
sette gigantesche pompe che avrebbero portato l'acqua dall'Awash
ai bananeti, abitava un numerosa comunità di cercopitechi
verdi: sono simpaticissime scimmiette di un tranquillo colore
grigiastro che forse sfuma appena nel verde. Erano molto agitate
per il movimento e il rumore così vicino al loro habitat,
indisturbato dall'inizio dei tempi fino alla nostra recente intromissione
con i lavori. Ci sconsigliarono di avvicinarle.
Quegli spazi immensi, quel cielo, quei profumi li ho ancora negli
occhi, nelle narici e nel cuore
il rumore di quei silenzi,
il canto dell'Africa.
"Io conosco il tuo canto, Africa
ma tu, Africa, conosci
il mio canto?" si chiedeva Karen Blixen e forse non ebbe
mai la risposta nemmeno lei.
D.
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15 Agosto 2007
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INCURSIONE AD ABU GAMEL
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MONTE ABU GAMEL (m. 931), al confine
tra Eritrea e Sudan, sulla sinistra del fiume Gasc: pietra
nuda e lisciata dai venti, con massi erosi in precario
equilibrio. (Illustrazione tratta dal volume "L'Africa
Orientale, Vol. 2 - a cura dell'Istituto per gli studi
di politica internazionale, A. Mondadori 1936). |
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L'etimologia
di questo termine, di natura quasi prettamente araba, aveva
ed ha tutt'ora diverse interpretazioni da parte della popolazione
del luogo (bassopiano eritreo). C'era chi sosteneva che
significasse "Padre del Cammello", altri erano
convinti che indicasse la "Gobba del Cammello".
Quello che resta sostanziale è che questi due grandi
mammelloni di roccia, creati nel bel mezzo della sabbiosa
savana eritrea, apparivano appunto come dei turgidi seni,
pronti ad allattare un piccolo/grande dio della natura.
Provenendo da Tessenei, verso sud, questi due agglomerati
rocciosi segnavano simbolicamente il confine tra Eritrea
e Sudan. Si entrava in territorio sudanese, senza che ci
fosse alcuna cartellonistica che ne attestasse la veridicità.
Nell'immensa pianura circostante ci si poteva imbattere
in strette piste carovaniere, in qualche vecchia traccia
di pneumatici di veicoli militari che non troppo spesso
controllavano il territorio circostante i due montarozzi
nella vana eventualità di sorprendere qualche trasgressivo
contrabbandiere o quel qualcuno che inavvertitamente avesse
violato il simbolico confine. Tutto il resto era rappresentato
dalla vasta savana fittamente punteggiata dalle acacie spinose
ed una vasta gamma di animali selvatici.
Il caldo torrido e l'assenza di acqua
non consentiva la costante presenza di esseri umani, se
non durante la stagione delle piogge, quando qualche sporadico
acquazzone alimentava brevemente i piccolissimi "wadi"
circostanti dove ci si potesse abbeverare. Incuriositi dalle
tante versioni forniteci, decidiamo di partire alla scoperta
di questo inconsueto luogo, per successivamente organizzare
una partita di caccia ai confini del mondo.
Partendo dalla cittadina di Tessenei si percorrono circa
30 km. Non è un viaggio estremamente lungo
Superati i primi 20 km, si entra a contatto con l'aspra
natura del luogo. Facciamo subito i primi incontri: una
numerosa famiglia di struzzi con un nutrito stuolo di piccoli
che vengono subito circondati dagli adulti per protezione.
Più avanti una ventina di facoceri tra adulti e piccoli
che con le code alzate ad antenna si allontanano velocissimi.
Qualche chilometro più avanti un forte rumore come
di terremoto. Non si distingue nulla; si ferma la macchina
e, volgendo lo sguardo verso sinistra da dove proviene il
rumore, all'orizzonte, coperti da una folta coltre di polvere,
osserviamo migliaia di gazzelle "ariel" che disperdendosi
nella vasta savana con i loro zoccoli emettono il rumore
e alzano un gran polverone. Di lì a poco, un piccolo
nucleo di orix ci osserva per nulla impensieriti dalla nostra
presenza; poi otarde, lepri, aironi, grandi agglomerati
di tessitori che si dispongono sulle cime delle acacie per
passare la notte. Sono sicuramente di ritorno da una delle
loro tante razzie ai campi di "dura".
Alle falde dell'Abu Gamel, un affascinante
spettacolo. Il suolo intorno ai due massi rocciosi è
coperto da un fitto manto nero. Avvicinandoci, ci rendiamo
conto che sono milioni di faraone che razzolano scavando
piccoli fossati per procurarsi il cibo. Sorprese della nostra
presenza, si alzano quasi simultaneamente in volo e vanno
a rifugiarsi sulle rocce più alte dei due agglomerati.
Allo starnazzare delle faraone, due spaventatissime linci,
che probabilmente si stavano godendo l'ombra sotto le acacie,
fuggono con scatti serpeggianti e raggiungono le loro tane
verso la cima di uno degli agglomerati.
L'approssimarsi del tramonto con i primi segni del crepuscolo
offre uno spettacolo fantasmagorico, mai prima visto! Quasi
d'incanto, dalle alte e larghe fenditure delle rocce dell'Abu
Gamel, a gruppi sempre più compatti, escono stormi
di pipistrelli che volteggiando con le loro strepitose acrobazie
scendono a sciami dall'alto per andare a caccia d'insetti
nella piana sottostante. Restiamo affascinati da questo
incredibile, affascinante spettacolo, ma il buio si fa sempre
più intenso; a malincuore si deve rientrare a casa.
Vincenzo
Acquaviva
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15 Agosto 2007
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RICICLAGGIO
di Elvira Romano Fenili
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Riciclaggio:
un argomento diffuso, molto attuale. Se ne parla ovunque ed estesamente
perché proprio dalla serietà della sua programmazione
e dal coordinamento dei provvedimenti per la sua attuazione dipende
la sopravvivenza del nostro pianeta.
Alle disquisizioni tecniche ad alto livello già stanno
provvedendo coloro che, avendo studiato e sviscerato il problema
dal punto di vista socio-economico ed ambientalistico, possono
fornirne una panoramica con cognizione di causa.
Le mie annotazioni sul riciclaggio sono, invece, considerazioni
che definirei casalinghe, alla buona, nate da osservazioni personali
che, non a caso, mi hanno fatto pensare anche all'Asmara della
nostra giovinezza.
Prendiamo, ad esempio, i viveri acquistati: il Nord America, secondo
i dati statistici recenti, ne consuma soltanto metà e getta
via il resto. Il consumismo, prodotto del dopoguerra, così
ben orchestrato dalle multinazionali, ha, infatti, trovato terreno
fertile nell'euforia e nel benessere di quegli anni, facendo di
"usa e getta" la parola d'ordine corrente.
La catena di interdipendenza, creata dalle crescenti esigenze
familiari e dalla conseguente richiesta di maggiori risorse economiche,
generate dagli alti consumi, ha rafforzato la necessità
di avere due stipendi in casa, trasformando il lavoro della donna
fuori delle pareti domestiche da occasionale e saltuario a permanente
e continuo. Di conseguenza il tempo per occuparsi della famiglia
e dell'andamento domestico è diventato limitatissimo. Per
fortuna in aiuto della donna sono arrivati oltre agli elettrodomestici
anche le confezioni molteplici di cibi precotti, surgelati ed
inscatolati. Da qui a creare la montagna di rifiuti il passo è
stato breve.
Ora molti paesi industrializzati, allarmati dai danni irreparabili
e pericolosi arrecati all'ambiente e dimostrati scientificamente
da studiosi ed ambientalisti con statistiche alla mano, stanno
operando un'inversione di tendenza, cercando di trovare nei cibi
biologici, nei prodotti genuini e soprattutto nel riciclaggio
il modo per tamponare, anche se parzialmente, il danno.
Ecco, quindi, i supermercati che fanno a gara per incoraggiare
i clienti all'acquisto, a prezzi irrisori, di graziose e robuste
sporte di tela in sostituzione di quelle di plastica. Le autorità
municipali, per coordinare meglio le operazioni di riciclaggio
e rendere co-partecipi le persone del loro contributo positivo
e costruttivo per la salvaguardia dell'ambiente, distribuiscono
a tappeto degli interessantissimi calendari dove, oltre ad evidenziare
le date - varie a seconda delle zone - in cui i bidoncini grigi,
blu e verdi vengono svuotati dei loro contenuti, con coloratissime
didascalie e fotografie spiegano come e dove vadano a finire i
rifiuti e le percentuali del loro recupero. Le città canadesi
sono invase da enormi tabelloni pubblicitari che ritraggono David
Suzuki - noto scienziato canadese che da anni si batte contro
i soprusi e gli abusi causati dall'inquinamento al nostro habitat
- che con una mano tesa a sorreggere una lampadina "verde",
invita a sostituire quella tradizionale per dimezzare il consumo
energetico pur ottenendo lo stesso grado di luminosità.
Ebbene tutte queste sollecitazioni esterne per la difesa ambientale
ed il recupero di quanto non è stato ancora totalmente
compromesso mi hanno fatto constatare quanto veramente in sintonia
con i programmi attuali fosse l'Asmara della nostra giovinezza.
Il popolo acquistava il sacco di taf e quello di orzo o grano
mentre verdura e frutta, carne e uova, tè e caffè,
zucchero e pane venivano acquistati in piccole quantità
a seconda delle necessità. Al mercato ci si recava muniti
di "zembil" e sporte di tela robusta perché quelle
di plastica non esistevano. I cibi surgelati, precotti, liofilizzati
erano sconosciuti, così come limitati erano quelli in scatola,
quindi tutto quello che si acquistava era, come si definirebbe
oggi, "biologico", frutto naturale di una terra avara,
che diveniva straordinariamente generosa laddove la situazione
idrica lo permetteva.
A paragone degli standard attuali, dobbiamo riconoscere che eravamo
tutti straordinariamente parchi, indipendentemente dalla disponibilità
finanziaria individuale e dall'estrazione sociale. Non mancava
il necessario, tuttavia sprechi e sperperi erano generalmente
mal tollerati.
Ma, per rimanere in tema di riciclaggio, vediamo un poco cosa
conteneva il vecchio bidoncino dei rifiuti alla fine della giornata.
Senz'altro l'occasionale buccia di banana o la scorza del mandarino,
a seconda della stagione, né potevano mancare le spoglie
di cipolla, aglio o pomodoro, tre ingredienti basilari per cucinare
sugo o zighini che fosse, non dimentichiamo qualche guscio di
uovo, qualche buccia di patata e... possiamo chiudere il coperchio.
Così poco? Eh, si! perché dei rimasugli di carne
o pollo, pasta o pane che fossero non restava nulla, ci pensavano
i cani e i gatti di casa oppure, per chi non li aveva, i randagi
famelici a ripulire ogni cosa. Carte, cartoni e giornali, fatti
a pezzi, servivano, imbevuti di petrolio, ad avviare il fuoco
del fornello a carbone o ad alimentare quello del mogogò.
Quanto a bottiglie e barattoli vuoti di vario genere, purché
non rotti, essi venivano conservati per eventuali utilizzi futuri,
come contenitori di berberè, scirò, spezie o altro.
E quelli in eccedenza? Ci pensava, lo ricordate no?, il "baal
tiè" di turno a farne incetta.
Che lezione di riciclaggio! Davvero un eldorado per gli ambientalisti
più accesi! Il segreto, semplice proprio come il classico
uovo di Colombo, stava nel fatto che all'epoca eravamo ancora
immuni dalla febbre dell'"usa e getta" che stava nel
frattempo infettando il mondo industrializzato. In poche parole,
eravamo degli avanguardisti e non lo sapevamo; infatti, noi tutti
allora, seppur ignari, vivevamo in armonia e senza grande fatica-
bisogna riconoscerlo- con l'ambiente secondo i diktat degli ambientalisti
odierni. Questi , oggi come oggi, stanno impegnando le loro energie
al consolidamento della presa di coscienza nelle nuove generazioni,
al fine di ottenere, attraverso la loro rieducazione ed il ridimensionamento
delle esigenze individuali, un uso oculato delle risorse disponibili.
Il grande vantaggio per l'Asmara di allora e per quella attuale
consiste nell'aver evitato il travolgimento del consumismo. Eventualmente
questo ci arriverà ed è prevedibile che trasformerà
tutto anche lì. Speriamo, però, che quando questo
succederà il popolo eritreo, avvantaggiato dal senno di
poi del mondo industrializzato, ne limiterà i danni, sfruttandone
intelligentemente i benefici, senza esserne sopraffatto.
Chiudo
con una frase lapidaria e più che mai attuale di Cicerone:
"Ut sementem feceris, ita metes". (Come avrai seminato,
così raccoglierai).
Elvira
Romano
Agosto 2007
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27 Agosto 2007
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L'ORA
DI DISEGNO TECNICO
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Nel
decorso dei quattro anni di Istituto, nelle sezioni riservate
ai futuri geometri, veniva impartito l'insegnamento di una delle
materie più interessanti, il disegno tecnico. Designato
all'insegnamento della materia era il prof. Fornaini, esimio architetto,
che nel corso della sua lunga esperienza di valido professionista,
ancor parecchio tempo prima di occupare il posto di insegnante
presso l'Istituto "V. Bottego" di Asmara, aveva partecipato
con notevole successo a vari progetti di natura socio-politico-culturale,
a nome e per conto delle Autorità Governative dell'ex Colonia
Italiana, distinguendosi durante questa prima fase della sua la
brillante carriera, senza ovviamente escludere il successivo,
gravoso e finale onere dell'insegnamento del disegno tecnico.
Era doveroso fare una succinta panoramica del consistente lavoro
esplicato dall'architetto in Africa Orientale; sebbene ora, per
chi non lo avesse conosciuto, diventa imperativo doverlo descrivere,
con tutto rispetto e modestia, dal punto di vista umano, caratteriale
e professionale, almeno per quelle che sono state le mie esperienze
personali.
L'architetto Fornaini era di pura estrazione toscana e più
esattamente senese. Di bassa statura, sempre elegantemente vestito,
coi capelli nerissimi, lisci, impomatati e pettinati all'indietro,
tanto che a distanza sembrava portasse un aderentissimo cappello
nero. Spesso lo si incontrava camminare con passo spedito nei
viali più frequentati della città. Ricambiava il
saluto dei suoi alunni con un rapido gesto della mano senza interrompere
la sua andatura da maratoneta. Se però gli capitava di
incrociare con lo sguardo una giovane signora elegante, che spesso
poteva essere la mamma di un qualche suo alunno, si fermava di
botto, poi senza esitazione ripartiva, accelerando l'andatura
per raggiungerla, magari sul marciapiede opposto. Attenendosi
alle più esigenti e scrupolose regole del galateo, prendendo
la mano della signora, la baciava con un inchino e quindi, si
soffermava per esternare i suoi complimenti e apprezzamenti significativi
per l'abito elegante, per le scarpe perfettamente in tinta, per
il gradevole incedere femminile e quant'altro potesse stimolare
la "prescelta" ad esternare la sua gratitudine per i
pregevoli complimenti ricevuti. Era un modo elegante, signorile
e certamente discreto per manifestare il suo mascolino interesse
nei confronti del "gentil sesso" da cui veniva irrimediabilmente
attratto.
Nell'ambito della scuola e dell'insegnamento, il professore era
di carattere gioviale, scherzoso quel tanto che basta. Sarcastico
e ironico al momento opportuno, con spiritose battute di natura
inconfondibilmente toscana. Disponibilissimo al colloquio educato
e costruttivo, con particolare riferimento alla sua materia, tuttavia
risoluto, determinato e puntiglioso nell'insegnamento del disegno
tecnico, il professor Fornaini induceva a far risaltare negli
elaborati di disegno quella impercettibile vena architettonica
che magicamente impreziosiva tutti i componimenti degli studenti
che avessero apprezzato le sue regole ed i suoi trucchi. Il professore,
infatti, sapeva con tanto zelo trasmettere a noi giovani l'entusiasmo
che ci avrebbe ispirato al meglio. Debbo inoltre aggiungere che
tendenzialmente era molto elastico nel senso del "vivi e
lascia vivere". Questa condizione veniva applicata in molteplici
occasioni durante l'anno scolastico quando l'architetto, appassionatissimo
di calcio italiano e strenuo tifoso della Fiorentina, veniva inesorabilmente
colpito dalla febbre del totocalcio con impegno inverosimilmente
accanito. Capitava, infatti, che l'esigenza di compilare le tante
schedine del totocalcio con sempre nell'animo l'imperitura speranza
di una vincita milionaria e la preoccupazione di poterle inoltrare
in Italia in tempo utile e cioè prima del torneo calcistico
della settimana successiva, lo spingesse, piuttosto che alla stesura
di una nuova lezione di disegno, alla compilazione di un cospicuo
numero di schedine che estraeva dalla sua voluminosa valigetta
di morbida pelle nera. Dopo averci esortato a prodigarci nell'elaborazione
di un disegno a nostro piacimento, senza l'impegno di doverlo
consegnare in quella stessa data, a testa bassa iniziava a compilare
le schedine farfugliando: "1, 2, X - X, 2, 1 - 2, X, 1"
e via di seguito, a seconda del giudizio strettamente personale
di quale delle squadre avrebbe potuto vincere, perdere o pareggiare.
Sotto l'egida dei vari scudetti delle squadre italiane, per noi
studenti queste pause rappresentavano la manna dal cielo. Il compito
frettolosamente assegnatoci poteva aspettare, lo avremmo potuto
fare anche a casa e consegnarlo la volta successiva. Con circospezione,
uno alla volta ci avvicinavamo alla cattedra dove, dopo aver sbirciato
la compilazione di una qualche schedina, qualcuno con un minimo
di infarinatura calcistica, azzardava un suggerimento positivo,
negativo o di parità per una o l'altra squadra in lizza.
Il professore, letteralmente immerso nei suoi pensieri, ovviamente
fortemente dubbioso dei punteggi assegnati, senza alzare la testa;
pertanto senza la benché minima percezione che la classe
era interamente intorno alla cattedra, alcune volte accettava
il suggerimento suggellato da una ricercata premonizione dello
studente e, apportando le modifiche, soggiungeva: " se mi
fai perdere, te fo una nota di demerito!".
L'incanto svaniva se malauguratamente qualche ragazzo suggeriva
la quasi scontata sconfitta della Fiorentina, basando questa affermazione
sulla indiscutibile superiorità della squadra avversaria
rispetto alla Fiorentina. Non c'erano giustificazioni, al massimo
si poteva accettare uno scontro in parità, mai una sconfitta!
A dimostrazione, il professore guardava furente l'alunno e alzandosi
in piedi, additandolo sentenziava: " tu fai l'uccello del
malaugurio, sparisci, altrimenti la prossima volta che incontro
il tu babbo, te faccio fare una bella lavata di capo!". Il
malcapitato tornava umiliato al banco.
Il contrattempo riportava il professore alla realtà. Rendendosi
conto di essere accerchiato dall'intera classe, visibilmente preoccupato
che il Preside potesse fare una visita a sorpresa, ricacciava
rapidamente tutti ai propri posti per comunque concludere senza
interferenze l'elaborata compilazione delle schedine rimanenti:
non poteva rinunciarvi.
A conclusione, sebbene mi sia attardato un po' nel descrivere
episodi di natura essenzialmente umana, ecco una nota importante
che testimonia le incomparabili capacità tecnico-architettoniche
del professore.
Ricordo che in una delle diverse occasioni in cui era stato assegnato
un compito in classe con le solite due ore per il completamento
dell'elaborato di disegno e conseguente consegna, il professore,
solito a spostarsi da un banco all'altro per suggerire a questo
o a quell'alunno soluzioni tecniche per apportare migliorie al
disegno stesso, in una di queste occasioni si soffermò
presso un banco e notato un francobollo appoggiato sul lato superiore
sinistro del foglio da disegno di un alunno, lo prese per osservarlo
attentamente, quindi chiese a chi appartenesse. Lo studente, visibilmente
preoccupato, confessò che il francobollo era suo, aggiungendo
che lo aveva portato per mostrarlo al compagno di banco, essendo
ambedue appassionati filatelici. Il professore, con un cenno di
compiacimento chiese al ragazzo di consentirgli di cedergli il
francobollo per un'ora circa, perché era interessato a
riprodurre la minuscola aquila stampata sullo stesso. Lo studente
tranquillizzato dalla richiesta, accettò senza indugi.
Intimando alla classe di fare silenzio l'insegnante, si allontanò
per qualche minuto e rientrò portando un foglio da disegno
di considerevoli dimensioni che stese e appuntò sulla cattedra
iniziando la certosina, difficile opera di elaborazione a carboncino.
La seconda ora volgeva al termine per cui la classe iniziò
a consegnare sulla cattedra l'elaborato.
La constatazione della destrezza e maestria con le quali il professore
aveva portato a termine l'opera di riproduzione dell'aquila, da
scala ridottissima a scala quasi reale, ci lasciò allibiti.
L'aquila appariva nella sua magnificenza di indomito rapace e
sembrava che con le ali spiegate fosse in procinto di spiccare
il volo. La classe ancora una volta era tutta intorno alla cattedra,
non certo per elargire suggerimenti di vittoria, perdita o pareggio
delle squadre di calcio, bensì per accompagnare con uno
scrosciante battimano l'ultimo tocco di carboncino al disegno.
Il professor Fornaini, ringraziandoci per il riconoscimento così
calorosamente espresso da noi tutti, riconsegnato il francobollo
allo studente, ci pregò di ritornare ai nostri posti a
scanso di un'invasione di campo da parte del Preside che avrebbe
potuto sentire il prolungato, inusuale battimano. Suonata l'ora
della ricreazione, il professore, dopo aver staccato il grande
foglio dalla cattedra, lo arrotolò con precauzione e dopo
averne fermato i bordi ed il centro con nastro adesivo si allontanò
con il prezioso carico sotto il braccio salutandoci.
Qualcuno si soffermò in classe per commentare la geniale,
straordinaria abilità dell'architetto Fornaini. Il piccolo,
grande uomo ci aveva conquistati.
Vincenzo Acquaviva
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10 Settembre 2007
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La
"consegna" era stata chiara: "Torna con le foto
con i beles". Ed io ero andata in missione diligentemente
propensa. Porterò al Capo-rale delle bellissime foto di
beles sardi che poco o nulla avranno da invidiare a quelli nostrani,
mi sono detta, tanto più che sono pure parenti stretti,
"i beles, quelle esotiche pennellate di Mediterraneo in terra
d'Africa".
La stagione era quella giusta e i beles pronti. Le pale carnose
dei fichi d'india erano incoronate dai frutti maturi, nei loro
vari colori dal verdolino giallognolo, all'arancio sempre più
cupo, per finire ai toni del rosa intenso e del violetto.
Chi non era pronta ero proprio io. Confesso: ultimamente io non
possiedo più una macchina fotografica mia-mia. Eppure negli
anni migliori ero stata l'orgogliosa proprietaria di una Kodak
idiot-proof, una scatoletta nera che faceva tutto da sola ma che
cadde in piscina e non ci fu niente da fare oltre che recitare
un requiem. Fu poi la volta di una Olympus, pure quella modello
i.p., che funzionò per anni fino a che non la dimenticai
in un autogrill
(mi sono sempre domandata se, nel suo mondo
e dimensione, le fosse poi capitata una storia simile a quella
di Rosalba in "Pane e Tulipani", anche lei dimenticata
in un autogrill
)
Con l'avvento delle macchine digitali, che tutti i miei di casa
hanno prontamente accolto, io ho glissato, affidandomi all'operato
degli altri; è un po' che le mie foto personali non mi
danno molta soddisfazione, sia perché il soggetto non è
più lo stesso di un tempo e sia perché il "travaso"
sul PC mi innervosisce.
Quindi, per tornare ai beles, io non avevo mai l'attrezzatura
adeguata!
E li ho visti sbucare da un recinto di una casa della vecchia
Golfo Aranci (che mi fa respirare aria di Cheren sia per lo stile
della costruzione che per le piante di agave e di buganvillea
che vegetano nel giardino antico), mentre andavo a prendere l'aperitivo
con Luca, ma - sigh! - Luca aveva il telefonino fotografico che
per l'occasione non riusciva a fotografare!
E li ho visti andando a Messa (in questa chiesa che potrebbe essere
stata costruita a Massaua tanto odora di mare dentro e fuori),
ma si sa che a Messa non ci si va con la macchina fotografica!
E li ho visti andando a Pulpuggia da Mario, lungo la stradina
bianca costeggiata da beles (che mi sembra quasi uno scorcio di
Decamerè con questi muretti a secco e gli alberi di eucaliptus)
ma Mario è come me, non viaggia con corredo fotografico!
E li ho visti lassù andando verso San Pantaleo, e mi sarebbe
piaciuto tanto mangiarne uno da quanto erano belli e sicuramente
succosi, ma ero anche senza la lattina attaccata ad un manico
di scopa oltre che senza la macchina fotografica
Caro capo-rale, sono tornata senza foto. E con la voglia di un
buon beles.
Sai cosa? Vado al supermercato e me ne compro un chilo! Quanti
ce ne davano per 5 centesimi?
D.
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Proprio
vero: non ci si può più fidare di nessuno! Ma la
punizione sarà adeguata. Oltre a tutti i rimborsi-spesa
annullati, D. dovrà contare i semini di ogni beles che
mangerà, calcolarne il costo rapportato al prezzo unitario
del beles,
stendere una relazione da inviare in triplice copia alla Settimana
Enigmistica, rubriche "Il Piacere di Saperlo!","Forse
non tutti sanno che..." e "Quesito con la Susi"
e, se pubblicata, sottoscrivere un abbonamento annuale al giornale
a favore del sottoscritto. Solo allora le dirò quanti ce
ne davano per 5 centesimi...
il Capo-rale
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15 Settembre 2007
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Caro
Chichingiolo,
ho letto l'articolo sui beles; casualmente proprio in questi giorni
avevo fatto alcune foto ai beles della mia zona (Grottaglie). Come
vedi sono dei capolavori (non le foto ma i beles)!
Un caro abbraccio,
Antonio Cianci
PS - Se qualche asmarino è in zona fino a ottobre, sarò
felice di offrirgliene.
ciao Antonio
20 Settembre 2007
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