Uno dei
ricordi più vivi che ho dell'Africa è un soggiorno in
una colonia estiva che facemmo io e mia sorella quando avevo otto
anni e lei ne aveva sei. Quell'estate i miei genitori decisero di
mandarci in una colonia estiva che si trovava a Massaua, la città
di mare più vicina ad Asmara e porto principale dell'Eritrea.
Io non avevo mai visto il mare e per questa ragione quel viaggio aveva
un fascino tutto particolare. Con noi vennero anche i figli del fratello
di mia madre Enrico e cioè Annangela che aveva un anno più
di me, Mariarosa che aveva la mia età e Gianni che era il più
piccolo della compagnia, avendo circa cinque anni. Il viaggio che
facemmo in corriera, fu per noi la scoperta di un mondo nuovo, dato
che attraversammo le montagne dell'altipiano eritreo per scendere,
dopo circa cento chilometri, fino al livello del mare. La strada era
stretta e piena di curve e devo dire per niente rassicurante con le
sue ripide discese, le curve a gomito e gli strapiombi che si aprivano
davanti ai nostri occhi che, solo a guardarli mettevano in noi una
certa ansia, considerato anche il fatto che non vi erano protezioni
ai lati della strada se non qualche muretto nelle curve più
pericolose che non dava certo garanzie di tenuta per un mezzo grande
come il nostro. Tuttavia il nostro entusiasmo era tale che superammo
facilmente i primi timori e ci fu subito chi organizzò dei
cori per farci trascorrere in allegria le ore del viaggio, che erano
all'incirca tre.
Al
nostro arrivo a Massaua, fummo portati nella struttura che doveva
ospitarci, che era un misto di muratura e legno ed era costituita
da un edificio a due piani a diretto contatto con il mare, che si
trovava al di là del cortile del nostro soggiorno. La costruzione
non era recente ma abbastanza funzionale, avendo al piano terra i
refettori e le docce, nonché le cucine, e al piano superiore
i dormitori con relativi bagni.
Le brande erano piuttosto sobrie ed erano costituite da reti con relativo
telaio in ferro che erano agganciate a due file di tubi che percorrevano
tutto il lato maggiore dello stanzone in cui dormivamo. Debbo dire
che la prima impressione al nostro arrivo non fu del tutto positiva
dato che si trattava di un ambiente di tipo militare, molto diverso
da quello familiare cui eravamo abituati e ci volle un po' di tempo
per abituarci alla nostra nuova dimora, ma la nostra giovinezza e
la compagnia allegra in cui ci trovavamo contribuirono a metterci
presto a nostro agio. Inutile dire che in poco tempo facemmo amicizia
con i nuovi compagni ospiti della colonia e ad alcuni di essi furono
ben presto affibbiati dei soprannomi che mettevano in risalto le loro
caratteristiche fisiche e caratteriali. In particolare un ragazzo
piuttosto grassottello fu subito etichettato col nome di Ciccio, col
quale venne sempre chiamato, ignorando il suo vero nome. Come già
detto, il mare era ai margini del nostro cortile, ma si trovava almeno
un paio di metri al di sotto di esso per cui non era possibile immergersi.
Per fare il bagno venivamo accompagnati in una spiaggetta distante
due o trecento metri alla quale si arrivava percorrendo un sentiero
parallelo al mare.
A capo del personale di servizio della colonia vi era una donna di
corporatura enorme, che si chiamava Mafalda, la quale doveva diventare
ben presto famosa per la sua severità e per le spiccate simpatie
verso il regime che ne caratterizzavano ogni suo atteggiamento. Fin
dall'inizio ci inquadrò come se fossimo dei soldati e, quando
ci recavamo alla spiaggia, marciavamo in fila perfettamente allineati.
Lei aveva un fischietto che usava per richiamare la nostra attenzione
e, fin dall'inizio, ci spiegò che quando sentivamo il suo fischio
dovevamo accorrere immediatamente, qualunque cosa stessimo facendo
in quel momento. Ci fece imparare delle canzoni di ispirazione fascista
tipo 'Faccetta nera' e altre che cantavamo senza stonare altrimenti
venivamo severamente ripresi. Le premesse, come si può ben
capire, non ci davano l'idea che noi fossimo lì per trascorrere
un periodo spensierato di vera vacanza ma di un qualcosa che stava
a metà tra la scuola e la vacanza, come se fosse un periodo
di addestramento di tipo prebellico e, devo dire, la cosa non ci rassicurava
molto. Del resto noi eravamo nati in un periodo in cui della precedente
guerra non erano rimasti se non i ricordi dei nostri genitori e non
potevamo capire e giustificare degli atteggiamenti del personale che
erano frutto di esperienze dure e anche dolorose che loro avevano
vissuto e che avevano lasciato una profonda traccia nel loro modo
di essere e di rapportarsi agli altri. Ma, devo dire, i giovani hanno
in dono dalla natura una grande duttilità e vitalità
che permette loro di adattarsi ad ogni situazione facendo sempre prevalere
le cose più positive di ogni situazione e trovare un lato comico
delle cose la dove forse un adulto farebbe molta più fatica
a venirne fuori. D'altra parte noi ragazzi venivamo da famiglie di
tipo tradizionale dove, bene o male, c'era sempre un'autorità
costituita da rispettare e in particolare per me che ero abituato
ai rimproveri quasi quotidiani e alle pene corporali abbastanza frequenti
lì forse andavo a migliorare, dato che almeno le pene corporali
mi sarebbero state risparmiate. Naturalmente io e le mie cugine più
grandi ci adoperavamo per seguire da vicino mia sorella Tina e il
cuginetto Gianni che erano alquanto più sprovveduti di noi
e facevamo loro da genitori, devo dire anche con grande senso di responsabilità
che forse ha contribuito anche molto a maturare noi stessi.
Inutile dire che serpeggiava tra noi ragazzi una repressa antipatia
per la signora Mafalda la quale, per sua disgrazia, oltre ad avere
un brutto carattere era anche brutta e grassa come dire: pioveva sul
bagnato, ed io, fin da allora mi ritrovai a considerare come del resto
faccio oggi, come certe donne che non hanno avuto dalla natura il
dono della bellezza non cerchino in qualche modo di compensare questa
loro mancanza con delle maniere gentili ed educate che le renderebbero
molto più accettabili agli altri. Quasi certamente in molti
casi un fisico non gradevole porta queste persone ad avere molte delusioni,
in primo luogo penso nei rapporti con l'altro sesso e queste a loro
volta non fanno che peggiorare la loro disponibilità verso
gli altri innescando per così dire una specie di circolo vizioso
assai nocivo per loro stesse e per gli altri e queste considerazioni
calzavano perfettamente, devo dire, nel caso della nostra tutrice
Mafalda.
I momenti migliori per noi erano quelli del bagno, in cui potevamo
lasciarci andare ai nostri giochi nell'acqua anche perché eravamo
sorvegliati da assistenti più giovani che ci lasciavano una
certa libertà e quello del pasto in cui potevamo scherzare
tra noi e soddisfare il nostro appetito che era tanto, dato il moto
che facevamo e la vita all'aria aperta.
La sera, all'ora di andare a dormire, ci assaliva un po' di malinconia
e il pensiero dei genitori lontani, tanto più che non avevamo
nessuna possibilità di comunicare con loro, ma il sonno ci
coglieva quasi di sorpresa, come un velo bianco sulle nostre menti,
impedendoci di sentire troppo la nostalgia delle mura domestiche.
Quando non ci recavamo alla spiaggia, potevamo giocare nel grande
cortile del nostro soggiorno e, generalmente, facevamo delle accanite
partite a pallone. Fu proprio durante una di queste partite a pallone
che accadde un episodio che ci fece stare per qualche ora con il fiato
sospeso, facendoci capire quanto il mare fosse pericoloso oltre che
bello e divertente. Durante una delle nostre partite di calcio infatti
il pallone superò la rete di cinta e finì in acqua e
prima che uno di noi riuscisse ad afferrarlo o tirarlo a riva con
l'uso di una canna, cominciò ad allontanarsi rapidamente spinto
dalla corrente che lo portava verso il largo. L'acqua era piuttosto
profonda e nessuno ebbe il coraggio di gettarsi a nuoto per raggiungerlo.
Fu avvertito allora un custode di colore, di nome Seium, che lavorava
nella colonia affinché ci aiutasse a recuperare la palla. Questi
pensò allora di raggiungerla servendosi di una piccola imbarcazione
che era legata al vicino molo, procedendo a remi. Quando lui partì
il pallone era già abbastanza lontano e si avvicinava al relitto
di una nave che giaceva a circa trecento metri dalla riva. Raggiungere
il pallone non fu difficile per il nostro amico Seium. Il recupero
del pallone fu salutato con un grido di gioia da parte di tutti noi.
Il difficile per il custode si doveva dimostrare il ritorno a riva
in quanto le forti correnti tendevano a spingere la barca verso il
largo e il suo remare affannoso serviva solo a frenarne la deriva
ma non certo ad avvicinarsi al nostro villaggio. Seguirono momenti
di grande tensione tra di noi e tra il personale di custodia. Il poveretto
annaspava inutilmente remando quanto più poteva ma senza sortire
alcun risultato. La barca si allontanava sempre più e, dato
che la sera incombeva, la cosa si faceva moto preoccupante. Fu a questo
punto che una delle nostre assistenti, resasi conto che non c'era
tempo da perdere , decise di recarsi al vicino porto per avvertire
una motovedetta di servizio affinché corressero in suo soccorso.
Dopo non molto tempo vedemmo partire la motovedetta che si recava
a soccorrere il malcapitato che era ormai un puntino nell'orizzonte
appena visibile. Fu raggiunto in breve tempo dal mezzo di servizio
e agganciato con una fune che lo rimorchiò fino a pochi metri
da noi. Inutile dire che quando mise piede sulla terraferma scoppiò
un lungo applauso per i marinai che lo avevano soccorso e gridi di
gioia da parte nostra che avevamo molta simpatia per quell'uomo modesto
ma sempre gentile e premuroso con noi. Non era difficile intravedere
sul volto dell'uomo i segni della fatica che aveva fatto per remare
e al contempo della paura che aveva provato e penso che in seguito
si sia guardato bene dall'avventurarsi in mare in quel punto così
insidioso e pieno di correnti. Inutile dire che, come misura cautelare,
ci fu impedito da allora di giocare a pallone nel cortile, sostituendo
quel gioco con altri come il salto della corda, moscacieca, nascondino
eccetera.
Nonostante la nostra giovane età eravamo piuttosto maliziosi
e non era raro il caso in cui qualcuno di noi cercasse di spiare le
femminucce quando si facevano la doccia al piano terra o le nostre
assistenti che erano piuttosto giovani e bellocce. Accadde così
che una sera, mentre il nostro amico Ciccio si apprestava a spiare
dal buco della serratura la nostra custode che si era recata in bagno,
questa uscendo all'improvviso e trovatolo chinato di fronte alla porta
in atteggiamento inequivocabile, gli assestò un sonoro ceffone,
che mentre fu un monito per noi, non poté frenare l'ilarità
e la derisione nei confronti del maldestro amichetto. Per alcuni di
noi la lezione non fu sufficiente a scoraggiarne le iniziative e la
curiosità morbosa e, come misura precauzionale, furono studiati
mezzi più sofisticati e ingegnosi per raggiungere lo scopo.
Io non potei fare a meno di osservare come già a quell'età
si delineavano delle nette differenze tra di noi e come mentre alcuni
pensavano solo al gioco, altri cominciavano già a interessarsi
dell'altro sesso e a questo contribuiva oltre che la diversa maturità
fisica e psicologica di ciascuno di noi anche le esperienze avute
in precedenza e l'ambiente in cui avevano vissuto.
Naturalmente, tra di noi, si facevano spesso degli scherzi, ed alcuni
amici erano particolarmente bersagliati, un po' come accade nelle
caserme dei soldati. Uno degli scherzi che ricordo di più lo
facemmo ai danni del nostro amico Ciccio, il quale per il suo carattere
e per il modo di fare si prestava particolarmente come vittima di
queste trovate. Le brande sulle quali dormivamo erano appoggiate alle
estremità su due file di tubi che correvano lungo tutta la
camerata e avevano dei ganci che andavano ad appoggiarsi nei tubi
di ferro in maniera abbastanza sicura. La nostra idea fu quella di
spostare la branda del malcapitato facendo in modo che il gancio non
andasse ad abbracciare il tubo ma fosse appoggiato sulla parte curva
dello stesso, in un equilibrio molto precario, prevedendo che bastasse
un minimo movimento per far cadere a terra la branda. Fu così
che la sera, all'ora di andare a letto, mentre in prossimità
della nostra colonia stava passando un aereo che volava piuttosto
basso a giudicare dal rumore che facevano i suoi motori, mentre il
nostro amico si accingeva a coricarsi, il letto rovinò a terra
e, siccome il pavimento era costituito da assi di legno, il rumore
fu percepito dalle persone che si trovavano al piano terra, le quali
ebbero l'impressione che l'aereo che stava passando avesse urtato
il tetto della nostra abitazione. Ne conseguì un via vai concitato
di persone che si precipitarono a vedere cosa fosse successo, e inutile
dirlo, furono individuati i responsabili dello scherzetto, ai quali
fu comminata una pena che non ricordo, ma che doveva essere adeguata
alla circostanza.
Il
nostro soggiorno però doveva riservarci una amara sorpresa
perché, dopo una decina di giorni che ci trovavamo a Massaua,
scoppiò nella nostra colonia una epidemia di morbillo di così
vaste proporzioni che fummo costretti a interrompere la nostra vacanza.
Alcuni di noi furono portati nell'ospedale del posto, mentre quelli
che non avevano contratto la malattia, tra i quali anche io, furono
caricati su un autobus che ci riportò a casa. Il viaggio di
ritorno fu per me alquanto triste, in quanto non c'era con me mia
sorella, che era stata ricoverata in ospedale. Qui lei rimase praticamente
da sola in quanto i genitori, non so bene per quale motivo, non poterono
andare a trovarla. Per lei fu un vero e proprio trauma trovarsi in
ospedale da sola, e questo episodio fu motivo per lei di paura e di
insicurezza per molto tempo, tanto che anche da grande ne parlava
con angoscia, tanto più che in quei momenti deve aver avuto
il timore di non vedere più la sua famiglia, non avendo l'età
sufficiente per fare un ragionamento razionale. Quando fu possibile
i ragazzi malati furono riportati a casa, con grande sollievo dei
loro genitori. Comunque, parlando col custode del soggiorno, venni
a sapere che anche i ragazzi dello scaglione precedente al nostro
erano stati ricoverati, quella volta per una infezione intestinale,
e questo probabilmente in quanto le condizioni ambientali e il sistema
di trattamento dei cibi non garantivano le condizioni igieniche che
sarebbero state richieste per una simile attività. Del resto
i mezzi di allora erano scarsi e mancavano anche molti prodotti igienici
e sanitari che oggi si usano a presidio degli ambienti, e quindi era
facile incorrere in questi episodi.
Tuttavia mi rimase il ricordo dei bei giorni trascorsi in compagnia
di tanti amici e, soprattutto, la visione del mare che dovevo poi
rinnovare nel 1953, quando tornai a Massaua con la mia famiglia per
imbarcarci nel piroscafo che doveva riportarci in Italia.